Festival Internazionale della regia (Milano, 24-26 marzo 2014)

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«Iniziativa» è una parola che implica coraggio, oggi. Racchiude in sé la potenza del ‘dare origine’ a qualcosa, la forza di intraprendere una strada; indica la capacità di promuovere. È la ‘spinta’, interna o esterna, che serve per incominciare e ‘dare il via’.

Non si può dire che l’iniziativa sia mancata a Corrado D’Elia nell’ideare questa prima edizione del Festival Internazionale della Regia – sottotitolato Dalla regia critica alla critica della regia e premiato con la Medaglia del Presidente della Repubblica –, svoltasi a Milano, dal 24 al 26 marzo scorsi. Aiutato da Valentina Capone e Alberto Oliva, D’Elia ha messo in moto la macchina organizzativa del Teatro Libero di Milano e ha richiamato registi, critici del teatro e giornalisti, operatori teatrali, studiosi e docenti universitari di spicco del panorama teatrale italiano e europeo del momento. Così, un pubblico assai eterogeneo, ma il cui comune denominatore è la passione per il teatro, è stato accolto e guidato a una riflessione partecipata sul senso della regia teatrale oggi, tematica vasta, ma bene esplorata lungo tutte e tre le giornate di incontri, che sono terminate con un vero e proprio Fringe Festival, che ha visto alcuni tra i registi emergenti della scena nazionale.

Molte le domande poste e su cui gli ospiti e i relatori sono stati chiamati a riflettere; otto le grandi tematiche che le contenevano e le suggerivano: il teatro di regia oggi; il rapporto tra regia e drammaturgia; il binomio rappresentazione e performatività; regia e pedagogia (la figura del Maestro); la regia contemporanea tra pubblico, critica e nuovi media; il teatro italiano e il confronto con l’Europa; declino o metamorfosi della regia?; il teatro tra sopravvivenza, critica e pubblico.

E le risposte?

I molti interventi, pensati per ‘tavoli tematici’, e le cui questioni chiave sono poi state riformulate ai giovani registi del Fringe, hanno in realtà fornito informazioni e spunti difficilmente inscrivibili all’interno di una singola giornata o di un singolo momento di riflessione. L’impressione è stata quella di partecipare a una grande e duratura riunione di famiglia, nella quale i relatori e il pubblico partecipante si sono trovati a discutere e a confrontarsi.

Il fil rouge che ha percorso il Festival è stato, ovviamente, il tentativo di delineare la figura del regista oggi: un regista-leader, in grado di tenere insieme il team di attori e di tecnici (Filippo del Corno, Assessore alla Cultura del Comune di Milano); considerato, ancora, vera e propria ‘maestria’ (Marco Baliani); inscrivibile in quella sfera tutta ‘metafisica’ del teatro, che sta dietro al più ‘fisico’ rapporto tra attore e spettatore (Gabriele Lavia). Un regista insomma che è, sì, il necessario occhio esterno della scena, ma che comincia a essere riconsiderato secondo un nuovo bisogno, quello del riconoscimento di un’autorialità plurale e non più solamente individuale (come segnalano i giovani registi del Fringe). È un regista insignito di una indubbia funzione sociale, di un peso socio-politico, del ruolo di costruttore di senso (Annamaria Cascetta, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), ma che non ha oggi solo il compito di ‘educare’ lo spettatore, bensì quello di ‘informarlo’.

Nessuno ha parlato di un declino della regia, non se ne vede la fine e il tramonto. È invece emersa la consapevolezza di una sua evoluzione, di un cambiamento negli anni, dettato certamente anche dalle diverse esigenze che le nuove scene manifestano e dalle contingenze esterne, soprattutto politiche, che hanno portato a una nuova necessaria concezione del teatro oggi, e quindi del ruolo del regista e della funzione e dell’operato della regia. È certo finito il tempo dei grandi Maestri, quelli universalmente riconosciuti come tali – pensiamo a uno Strehler, per esempio –. Ma se per Maestro si intende il regista ‘illuminato’, è chiaro che figure tali vi saranno sempre, come vi saranno sempre nuove leve pronte a divenire loro discepoli (Marco Martinelli).

La tematica del rapporto tra regia e drammaturgia ha aperto, poi, linee di pensiero divergenti, tra chi considera ancora necessaria l’attenzione al testo scritto e chi non la reputa più strettamente indispensabile. Il testo oggi, infatti, si pone come «organismo vivente», e quindi mutabile (Gerardo Guccini, Alma Mater Studiorum Università di Bologna), affidato al corpo dell’attore, un corpo in continua sperimentazione su cui attuare un lavoro pari a quello svolto sulla parola (Arturo Cirillo). L’attore è performer, non è più mero esecutore, ma è capace di svolgere un lavoro autorale, è in grado di «rappresentare» quel che dice, divenendo per questo depositario della propria credibilità (Annamaria Cascetta). Ed è con questo attore che il regista deve oggi confrontarsi, assecondandone e guidandone il lavoro sul testo, attraverso una continua ricerca (César Brie). Ha ancora senso, dunque, oggi parlare di rappresentazione o la dimensione performativa ha preso il sopravvento? Si prende, certamente, in considerazione la possibilità di una convivenza e di un reciproco e continuo scambio tra un teatro «performativo» e quello definibile «classico» (Luca Ronconi). La dimensione performativa, ad ogni modo, è ormai generalmente sentita come necessità, anche perché parte della vita e della quotidianità dell’uomo, considerabile come modus vivendi, e perciò imprescindibile dall’esperienza teatrale (Gabriele Vacis). Ed è per questo che oggi non si può più parlare né di performance, né di spettacolo dal vivo, né di teatro post-drammatico: i tentativi di inquadrare in una definizione il teatro contemporaneo si rivelano difficoltosi (Annamaria Cascetta).

Prevista per l’ultima mattinata del Festival, ma inevitabilmente onnipresente in ogni tavolo per la sua problematica attualità, è stata la riflessione sul tema del confronto Italia-Europa e sulla difficile situazione politico-economica del nostro paese, a causa della quale il settore dello spettacolo dal vivo si trova a sopravvivere fra tagli e rigidità burocratiche, che colpiscono soprattutto generi considerati «più sperimentali» e che faticano, per questo, ad entrare nei circuiti più riconosciuti (Oliviero Ponte di Pino). Il quadro europeo delineato dai relatori, italiani e non, che hanno parlato di sè e delle proprie esperienze attraverso l’Europa, racconta di Stati che credono nell’utilità delle professioni teatrali come mezzo per la conservazione dell’identità nazionale, come l’Islanda e l’Estonia (Sergio Maifredi; Kriistina Reidolv e Inga Koppel) e di governi, come quello tedesco, che investono nella cultura e nel teatro, sovvenzionando persino gli stabili delle cittadine meno popolate, e «concedendo» l’indipendenza di questi dalla politica (Peter Iden). Condizione primaria e necessaria è, poi, l’esistenza di compagnie stabili – un’utopia se si pensa all’Italia –, e differenti appaiono il ruolo e la concezione del Direttore Artistico, che nel nostro paese, così com’è ora, è sentito come uno degli elementi di stallo. Si continua, così, per contrapposizione, a far emergere i nodi della situazione italiana, come la mancanza di spazi, di attenzione ai giovani, di professionalità specifiche.

Eppure, nonostante le contraddizioni e le difficoltà presenti, il resto d’Europa guarda al teatro italiano e alla regia in Italia con considerazione. Sebbene afflitta da numerosi mali, infatti, la regia in Italia resiste. Il teatro italiano è vitale e creativo e si confronta con nuovi linguaggi e innovative modalità, anche fuori dal sistema delle sale.

E per sopravvivere e continuare a rigenerarsi, questa regia in evoluzione ha bisogno anche dei suoi critici, che siano oggi più che mai attenti al regista e non più autoreferenziali e improntati al solo rapporto con il pubblico. Si impone una svolta anche alla critica, dunque, il cui ruolo è fondamentale.

I critici, infatti, devono essere in grado di porre domande, di generare una ‘crisi’, di scatenare la riflessione non solo negli spettatori, ma anche nei registi. Questi ultimi, oggi, chiedono che con la critica si instauri un rapporto di reciproco scambio, che con questa si dia inizio ad una comunicazione grazie alla quale possano essere messi nella condizione di non vedere nelle opinioni del critico la mera ‘distruzione’ del proprio lavoro o la sua semplice esaltazione, ma una analisi costruttiva utile al proprio miglioramento.

Tra interventi, racconti, aneddoti, performances e video, insomma, il Festival Internazionale della Regia in questa sua prima edizione ha creato una vera e propria occasione di incontro di competenze diverse, tutte necessarie perché il teatro di regia possa accrescere la consapevolezza di sé e proseguire il suo cammino di rinnovamento, senza dimenticare ciò che è stato e senza perdere il desiderio di raggiungere ciò che intende divenire.