Il conflitto è la cifra stilistica di molte delle narrazioni composte da Alessandra Sarchi. Intendo il conflitto in tutte le sue forme, sia interne che esterne: il conflitto in un ambito ristretto di amici, il conflitto interno alla coppia, alla famiglia, e naturalmente interno alla stessa personalità della voce narrante (esplicita o implicita). Non credo che Sarchi metta in scena il conflitto nel suo aspetto più spettacolare e evidente, ma anzi che una delle sue abilità maggiori stia nel nascondere il conflitto nelle pieghe del racconto, là dove può occhieggiare anche solo in un gesto o trasferirsi in un oggetto.
Non è un caso che l’ultima fatica di Sarchi sia l’organizzazione di una importante mostra dedicata a Penelope, cioè a una figura silenziosa che porta dentro di sé il conflitto, sia nella modalità che la mette “contro” i nemici sia in quella che la mette “contro” il marito lontano, cioè fa dell’attesa il lungo rallentamento del conflitto, la sua agonia. Nel suo saggio su Penelope Sarchi sottolinea che è solo nei sogni che emerge in Penelope il trauma della perdita o della distanza: si pensi al sogno delle venti oche uccise dall’aquila.1 Qualunque sia il suo significato, è un sogno che contiene distruzione e sangue, annuncia forse la vendetta di Ulisse ma nello stesso tempo rattrista la sognatrice.