Audrey Diwan, La scelta di Anne – L’Événement

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La giuria della 78ª Mostra del Cinema di Venezia, a maggioranza femminile, presieduta dal regista coreano Bong Joon-ho, affiancato tra gli altri da Chloè Zhao, premia con il Leone d’oro la pellicola francese l’Événement per la forza del tema trattato e per la sua capacità di incidere sulla superfice.

La copertina dell’edizione italiana del libro di Annie ErnauxLa locandina del film Audrey Diwan

La regista Audrey Diwan compie la scelta precisa di mantenersi fedele al codice espressivo crudo, veritiero, spregiudicato di Annie Ernaux, al cui omonimo libro il film è ispirato, utilizzando la medesima disinibizione come chiave stilistica di rappresentazione. È dunque la corrispondenza dei linguaggi che permette un costante intreccio tra scrittura e immagine e l’esplorazione a tutto tondo della complessa dimensione psicofisica della protagonista.

Siamo nella Francia degli anni Sessanta, Anne, giovane studentessa caparbia e tenace, resta incinta in seguito ad un rapporto occasionale, ma la legge non le consente di interrompere la gravidanza legalmente con procedure sanitarie sicure e dunque è costretta a ‘fare da sola’. Inizia così un percorso di disperata ricerca di soluzione all’evento indesiderato per vie clandestine e rischiose, segnato da un crescendo di angoscia, dolore, perdita di sensi.

L’Événement è un film che non risparmia, che scandisce angosciosamente le tappe del trauma della protagonista, interpretata in modo convincente dalla giovane attrice Anamaria Vartolomei. Esattamente come nel libro, anche nel film si sviluppa una sequenza di quadri di agonia, che trascinano in un vortice chi guarda. Il ritmo è quello di una danza funebre dalle tinte macabre, in cui vita e morte si incontrano e si fondono, determinando una convergenza ancestrale tra esperienza letteraria e cinematografica. Il potenziale visivo della scrittura di Annie Ernaux prende progressivamente forma davanti alla cinepresa, quasi come se il racconto si materializzasse nello stesso momento in cui viene scritto.

Anne/Vartolomei mantiene per tutta la durata del racconto una piena centralità corporea e attitudinale, grazie anche a un calcolato gioco di piani e sequenze. La sua è una postura fuori dal coro, di cui le autrici riescono con maestria a marcare le differenze rispetto al gruppo di coetanei e non. La fermezza meccanica e impenitente che orienta Anne a sbarazzarsi del ‘problema’ è solo strumento necessario ad un progetto più grande: la denuncia sociale contro una morale ipocrita e la scarsa tutela per le donne.

Nonostante la discriminazione di cui Anne è vittima, la Diwan costruisce una figura femminile dalla personalità risolta, fortemente definita, al di sopra della rigidità del suo tempo e dei giudizi morali che essa produce. La modernità della ragazza non si rintraccia solo nella scelta di non portare a termine una gravidanza in un’epoca in cui ciò non era consentito, bensì nella straordinaria capacità di essere al di sopra del momento storico, di sviluppare un pensiero autonomo, di separare razionalmente il giudizio sociale da quello nei confronti di sé stessa.

Ernaux e Diwan, pur adottando due diversi canali espressivi, riescono a far sentire una sola voce, capace di sospende ogni possibile riserva etica e di affermare, paradossalmente, un nuovo desiderio di maternità libera e consapevole. Del resto la posizione da cui procede la narrazione di Ernaux è netta («Può darsi che un racconto o un film provochino irritazione o repulsione, che siano considerati di cattivo gusto. Aver vissuto una cosa, qualsiasi cosa, conferisce il diritto inalienabile di scriverla»; A. Ernaux, L’evento [2000], trad. it. di L. Flabbi, Roma, L’orma, 2019, p. 52) e su questa si muove la drammaturgia del film. Durante la scena, del tutto senza filtri, nella quale Anne tenta di provocarsi l’aborto, il corpo dello spettatore si contorce dal dolore insieme a quello della giovane («La mattina dopo mi sono stesa sul letto e mi sono infilata il ferro da maglia nel sesso, piano piano. Andavo a tentoni senza trovare il collo dell’utero e non riuscivo a fermarmi appena sentivo un po’ di dolore»; ibidem). Il punto più alto e definitivo del martirio è l’espulsione dell’oggetto indesiderato, seguita passo dopo passo con toni di angoscia crescente, tanto nel film quanto nel romanzo: «Ho visto un piccolo bambolotto penzolarmi dal sesso. […] L’ho preso in mano e mi sono trascinata lungo il corridoio stringendolo tra le cosce. Ero una bestia. […] ci pare di vedere un inizio di pene. Taglia il cordone. […] Tiro lo scarico» (ivi, p. 90). Il defluire del feto (maschile) attraverso il condotto rappresenta l’esito di una travagliata lotta tra la supremazia del sesso (maschile o femminile che sia) e la scelta individuale. Il rito del sacrificio è concluso, la vittima è stata offerta in cambio della libertà.

Il linguaggio sessuale penetra nel tessuto letterario, come la sonda abortiva nella giovane Anne, scavando verità e consapevolezze dolorosamente necessarie per la testimonianza. «Ho finito di mettere in parole quella che mi pare un’esperienza umana totale della vita e della morte, del tempo, della morale, e del divieto, della legge, un’esperienza vissuta dall’inizio alla fine attraverso il corpo» (ivi, p. 110): chiude così il suo romanzo autobiografico Annie Ernaux, al termine di un processo di trasformazione che apre a nuovi scenari di volontà e consapevolezza. Nell’epilogo del film si ribadisce la centralità dell’intenzione performativa di ogni narrazione, e in particolare dell’avventura letteraria della doppia protagonista (reale e figurata); alla domanda del professore su cosa intenda fare del suo futuro professionale, la risposta si orienta nettamente verso la scrittura, diventata irrinunciabile missione di vita.

E forse il vero scopo della mia vita è stato soltanto questo, che il mio corpo, le mie sensazioni e i miei pensieri diventino scrittura, qualcosa di intelligibile e di generale, la mia esistenza completamente dissolta nella testa e nella vita degli altri (ibidem).