Diva del cinema italiano degli anni Trenta, Elsa de’ Giorgi è stata anche scrittrice, attrice teatrale e regista. Superata la stagione che l’ha vista impegnata nella recitazione per il grande schermo – ma anche parallelamente ad essa – un fil rouge ha attraversato la sua carriera e ha riguardato l’espressione di una straordinaria intelligenza esperita tramite la frequentazione di vari linguaggi artistici. Entro un orizzonte interpretativo che, ad ogni passo avanti, si rivela via via più articolato, i contributi accolti in questa sezione indagano proprio alcuni aspetti meno noti dell’attività di de’ Giorgi, ma dai quali emergono rilevanti chiavi di lettura.1 Ci si riferisce in particolare all’indagine di Roberto Deidier relativa al nesso tra attorialità e autorialità nella figura della diva e ad alcuni nuclei tematici fondamentali del suo percorso letterario e autobiografico, come la libertà, la verità e la memoria; all’accurata ricostruzione dell’ampio itinerario teatrale dell’artista offerta da Simona Scattina, che ricompone in un insieme unitario l’esperienza di recitazione, gli scritti teorici e il lavoro di regia di de’ Giorgi; all’affondo di Tommaso Tovaglieri sul rapporto dell’autrice con l’universo delle arti figurative, condotto anche attraverso una serie di rimandi alla collezione d’arte della famiglia del marito, Sandro Contini Bonacossi, e il commento di un testo inedito, La ballata dei bravi 1963.

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Gira, il mondo gira

nello spazio senza fine

con gli amori appena nati

con gli amori già finiti

con la gioia e col dolore

della gente come me.

J. Fontana

 

In occasione del centenario della nascita di Italo Calvino, l’attore, regista e drammaturgo leccese Mario Perrotta ha portato in scena il frutto di un allucinato itinerarium mentis intitolato Come una specie di vertigine. Il Nano, Calvino, la libertà. Presentato in prima nazionale a marzo 2023 al Teatro Carcano di Milano, lo spettacolo presentava inizialmente il titolo s/Calvino – o della libertà; è stato poi l’autore a volerlo cambiare, dopo le prime repliche, per fugare ogni aspettativa di spettacolo-omaggio allo scrittore sanremese. L’intento di Perrotta, infatti, è piuttosto quello di ragionare in libertà di libertà e per farlo pensa bene di affondare le mani negli scritti di Calvino «scalvinandoli, scompigliandoli e ricomponendoli»; esigenza già emersa con lo spettacolo del 2022 Libertà rampanti, un dialogo a tre voci con Sara Chiappori e Vito Mancuso, in cui Perrotta ragionava di libertà attraversando vari autori come Sofocle, Sant’Agostino, Shakespeare, Dostoevskij, Morante per approdare, infine, all’immancabile Calvino.

Come una specie di vertigine. Il Nano, Calvino, la libertà – scritto, diretto e interpretato interamente ed esclusivamente da Perrotta si apre sulle note del Mondo (1965) di Jimmy Fontana, che scandiscono, per quattro volte di seguito, il ritmo di accensione e spegnimento dei quattro fari presenti sul palco e puntati sul pubblico. Questi reiterati, iniziali abbagli costringono lo spettatore ad aggiustare rapidamente lo sguardo per dare il benvenuto al protagonista della pièce: Perrotta, emerso dal buio lentamente e progressivamente, appare seduto su una sedia girevole di metallo che sovrasta un’intelaiatura di ferro fissa al pavimento con un microfono ad asta montato su di essa.

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  • [Smarginature] «Ho ucciso l'angelo del focolare». Lo spazio domestico e la libertà ritrovata →
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«Le sue feste sono affollatissime. Lei […] dirige le conversazioni con la sicurezza e la grazia di una madame du Deffand»: così ricorda Elio Pecora nel Libro degli amici (2017) gli incontri organizzati da Elsa de’ Giorgi presso la propria abitazione in via di Villa Ada a Roma nei primi anni Settanta. Ad incrociare le loro esistenze con quella dell’attrice-scrittrice nelle sue abitazioni, a partire dagli anni Trenta, sono stati numerosi esponenti della scena culturale, intellettuale e artistica italiana del Novecento, tra i quali Anna Magnani, Alberto Moravia, Aldo Palazzeschi, Pier Paolo Pasolini. A partire da questo dato biografico, il contributo propone un’analisi dei riflessi e della rielaborazione dell’immagine di de’ Giorgi come figura di salonnière rintracciabile nei testi autobiografici dell’autrice – ad esempio nei Coetanei (1955) – e nell’interpretazione del personaggio della signora Maggi nel film Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pasolini.

«Le sue feste sono affollatissime. Lei […] dirige le conversazioni con la sicurezza e la grazia di una madame du Deffand»: this is how Elio Pecora remembers (Libro degli amici, 2017) the meetings organized in the early seventies by Elsa de’ Giorgi at her home in via di Villa Ada in Rome. Starting from the thirties, there were numerous exponents of the Italian cultural, intellectual and artistic scene of the twentieth century crossing their lives with the actress-writer in her homes, including Anna Magnani, Alberto Moravia, Aldo Palazzeschi, Pier Paolo Pasolini. Starting from this biographical data, the article proposes an analysis of the image of de’ Giorgi as a salonnière that can be traced in the autobiographical texts of the author – for example in I coetanei (1955) – and in the interpretation of the character of signora Maggi in Pasolini’s film Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).

In un’indagine dedicata al rapporto tra Elsa de’ Giorgi e gli spazi domestici, ciò che immediatamente emerge in primo piano, ripercorrendo la biografia dell’autrice e la sua inesausta attività artistica e letteraria, è l’importanza del salotto come crocevia di incontri e luogo di una pratica mondana che ha caratterizzato l’esistenza della diva per un lungo arco di tempo. A partire dagli anni Quaranta e fino ai mesi che hanno preceduto la sua morte, avvenuta nel 1997, de’ Giorgi ha ospitato con cadenze regolari numerosi esponenti della scena culturale, intellettuale, artistica italiana del Novecento, tra i quali si annovera, solo per citare alcuni esempi, la presenza di Renato Guttuso, Carlo Levi, Anna Magnani, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini. Teatro degli scambi tra gli habitué del salotto culturale animato dalla carismatica personalità dell’attrice – dopo il trasferimento a Firenze in seguito al matrimonio, nel 1948, con Sandro Contini Bonacossi – è stata la casa romana di via di Villa Ada 4; indirizzo riportato anche nei bigliettini che de’ Giorgi donava agli amici. Fornito delle componenti materiali che hanno tradizionalmente adornato lo spazio fisico dei salons culturali, come la ricca biblioteca e il pianoforte (cfr. Palazzolo 1985, pp. 56-57), il salotto di quell’appartamento si conserva nel ricordo di un numero considerevole di amici; tra questi, Elio Pecora restituisce nel Libro degli amici l’immagine «di una grande sala, ricavata con l’abbattimento dei muri divisori di quattro stanze» (Pecora 2017, p. 100): di una camera, dunque, che sembra addirittura occupare l’intera abitazione e a cui si aggiungono, sempre come scenari di ritrovi periodici, la casa di via Ruggero Fauro, ai Parioli, abitata dalla diva prima dello spostamento a Firenze, e la villa di San Felice Circeo, sede di indimenticati soggiorni estivi.

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Le questioni legate alla crisi climatica e all’antropizzazione del nostro pianeta sono ormai al centro delle preoccupazioni dell’umanità a causa delle trasformazioni che coinvolgono e determinano le esistenze. In questo contesto, l’attenzione degli artisti e degli scrittori può giocare il ruolo di suscitatrice di prese di coscienza rispetto ai nuovi problemi e sfide alle quali siamo sollecitati. Le pratiche artistiche situate (Haraway) possono essere considerate come strumenti per provocare la consapevolezza degli spettatori, e la conferenza-performance costituisce uno strumento efficace per trasmettere concetti e idee. Emmanuelle Pireyre, scrittrice e performer francese, accompagna la scrittura dei suoi romanzi con la costruzione e la messa in scena di conferenze durante le quali si avvale di diversi oggetti multimediali per puntare l’attenzione su pratiche e situazioni odierne in stretto legame con la manipolazione genetica, la crisi sociale, lo sfruttamento del territorio. L’analisi della conferenza-performance Chimère permetterà di comprendere la portata intellettuale e l’agentività di tale pratica artistica.

The issues related to the climate crisis and the anthropisation of our planet are now at the centre of humanity’s concerns because of the transformations affecting and determining lives. In this context, the attention of artists and writers can play the role of raising awareness of the new issues and challenges we are facing. Situated art practices (Haraway) can be considered as tools to provoke the awareness of spectators, and the lecture-performance constitutes an effective tool to convey concepts and ideas. Emmanuelle Pireyre, a French writer and performer, accompanies the writing of her novels with the construction and staging of conferences during which she makes use of various multimedia objects to focus attention on today’s practices and situations in close connection with genetic manipulation, the social crisis, and the exploitation of the territory. The analysis of the lecture-performance Chimère will provide an insight into the intellectual scope and agentivity of this artistic practice.

 

Nel luglio del 2014 ho assistito per la prima volta a una conferenza-performance letteraria.[1] Ero andata come uditrice a seguire i lavori di una giornata di studio dal titolo La littérature du XXIe siècle, che si inseriva nel congresso annuale dell’Association Internationale des Etudes Françaises (AIEF), un’istituzione solida e tradizionale nata in Francia alla fine della seconda guerra mondiale, che riunisce studiosi di lingua, letteratura e cultura francese. L’AIEF organizza un congresso annuale che si sviluppa su tre giornate, ognuna delle quali si concentra su un tema di ricerca specifico, privilegiando un approccio diacronico in modo che siano suscitate riflessioni a largo spettro sulla storia della cultura. Nel 2014 il programma prevedeva oltre alla prima giornata dedicata alla letteratura contemporanea, due approfondimenti: uno sullo scrittore Romain Gary e l’altro su Les mémoires historiques en France du XVIIe au XIXe siècle.[2] La letteratura del ventunesimo secolo mi interessava perché era ed è ancora il mio ambito di ricerca privilegiato, per di più avevo scoperto dal programma che si sarebbe trattato di autrici e autori e opere che si situano alla confluenza tra la letteratura e l’arte. Inoltre, proprio in quel periodo, mi ero avvicinata al lavoro di scrittrici e scrittori che uscivano dallo spazio del libro stampato e creavano nuove forme per fare e dire le loro creazioni.[3] Così, in chiusura alla giornata di studio, ho assistito stupita, divertita prima e entusiasta poi, alla conferenza-performance di Emmanuelle Pireyre che si è presentata con un cappello di pelo di lince sulla testa e ha intrattenuto il pubblico in sala, composto per lo più da persone in età avanzata, con alcune tematiche che aveva trattato nel suo libro Féerie générale.[4] Il testo è caleidoscopico e tratta di argomenti disparati che affrontano situazioni reali, proponendo sette domande tra cui: «Comment habiter il paramilitare?», «Friedrich Nietzsche éyait-il halal?», e ancora «Comment fait-on lelit d’un homme non schizoide e non aliené?». L’autrice ha inoltre intrattenuto il pubblico con una presentazione power point accompagnata da alcuni video e da intermezzi musicali. L’assemblea ascoltava le risposte alle domande che la performeuse si era posta e guardava sullo schermo la proiezione dei brevi video dove Pireyre stessa era in scena in qualità di intervistatrice di esperti che l’avrebbero supportata nella sua ricerca. In quell’occasione capii che, in maniera divertente, la letteratura aveva trovato nuovi spazi per dispiegarsi e per continuare a svolgere il suo ruolo di stimolatrice di idee e di prese di coscienza, di trasmettitrice di conoscenza anche di argomenti che esulano generalmente dalla sfera letteraria. In questa performance, che si intitola Lynx, Pireyre si interroga su situazioni contemporanee delicate, sull’impatto della tecnologia e della rete Internet sui nostri modi di vita, sulle mode e sui luoghi comuni, sulla corsa agli armamenti… e si propone come non esperta che cerca i riscontri documentandosi e interagendo con gli esperti e gli scienziati. La sua pratica di costruzione di una letteratura di indagine, che pone l’attenzione sulla nostra contemporaneità, proponendo percorsi apparentemente tradizionali che sono invece altamente sperimentali, è sintomatica di una rinnovata agentività della pratica letteraria, che esce dal terreno conosciuto e rassicurante della forma libro e si ibrida con altre forme creative mantenendo il suo fine ultimo di porre uno sguardo critico sul mondo.[5] Si tratta di ‘littérature impliquée[6] come la chiamano in Francia, meno politica della scrittura engagée, che opera dall’interno del campo letterario guardando con occhi nuovi la realtà per raccontarla e al tempo stesso per ‘allargare’ la letteratura attraverso nuove esperienze, tentando «de lui faire prendre l’air, de la faire respirer, à partir d’éléments hétérogènes à son territoire – éléments qui peuvent être de différents ordres –, mais aussi de potentiellement chahuter ses formes traditionnelles, en allant vers quelquechose de moins hiératique, de plus délayé».[7]

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Quella di Sonia Bergamasco, pubblicata recentemente per la collana Gli struzzi di Einaudi, è un’agile autobiografia di circa centotrenta pagine che, fin dal titolo e dal progetto grafico (curato da Ugo Nespolo), mostra una specifica dichiarazione di intenti. Se in copertina si staglia, sullo sfondo bianco caratteristico di Einaudi, la silhouette di un corpo nudo femminile nell’atto di guardarsi allo specchio, il titolo Un corpo per tutti. Biografia del mestiere di attrice rende ancora più palese il focus del testo.

È infatti il corpo attoriale il perno su cui Bergamasco fa ruotare la sua breve narrazione autobiografica, da un lato, ricordando come il corpo sia lo strumento fondamentale della propria espressione artistica e di quella di qualsiasi attrice o attore, dall’altro, ricostruendo la storia di quello che è diventato, lungo gli anni, il suo corpo d’attrice.

Il testo spicca, se si guarda alle autobiografie delle attrici contemporanee, appunto per il modo assolutamente personale di intendere lo scrivere di sé, ovvero tenendo il racconto biografico saldamente ancorato alla descrizione delle pratiche attoriali. In nessun altro caso, se si eccettuano forse Fiato d’artista di Paola Pitagora (Sellerio, 2001) e La stanza dei gatti di Franca Valeri (Einaudi, 2017), è riscontrabile una tale minuziosa attenzione verso ciò che connota il mestiere di attrice; al punto che Un corpo per tutti sembra rimandare, più che alle recenti scritture del sé delle attrici, alle memorie delle Grandi attrici teatrali come, fra tutte, quelle di Adelaide Ristori.

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  • «Lampeggiare nello sguardo». Attrici e attori nel cinema di Pasolini →
Abstract: ITA | ENG

Dopo un breve cameo nella Ricotta (1963), a cui prende parte nelle vesti di una diva, Elsa de’ Giorgi connota l’ultima fase del cinema di Pier Paolo Pasolini, in particolare attraverso l’interpretazione di una delle narratrici in Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Oltre a fornire una sintetica ricognizione relativa al rapporto tra l’autore e l’attrice-scrittrice, il contributo focalizza l’attenzione sul personaggio della signora Maggi in Salò cercando di cogliere nella performance attoriale di de’ Giorgi, così come nell’orizzonte divistico convocato nel film, esiti e possibili motivazioni legate alle scelte di casting da parte del poeta-regista.

After a cameo role in La ricotta (1963), in which she takes part as a diva, Elsa de’ Giorgi characterizes the last phase of Pier Paolo Pasolini’s cinema, in particular through the interpretation of one of the narrators in Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Besides proposing a synthetic insights about the relationship between the author and the actress-writer, the contribution focuses on the character of signora Maggi in Salò, trying to analyze through de’ Giorgi’s acting, as well as the stardom recalled in the film, outcomes and possible motivations related to the poet-director’s casting choices. 

«Restò sempre legato a Elsa De Giorgi […]. A lei, con una divertita soggezione, dedicava – e la cosa durò anni – alcune serate. Andavano a cena fuori: […] Elsa De Giorgi, che amava stendere attorno a sé un qualche alone di spettacolo […], lasciava che alle labbra le venisse, con una foga insolita, certa cultura classica che amava coltivare. Pier Paolo ascoltava» (Siciliano 2005, p. 233): ricordato dalle parole di Enzo Siciliano, il rapporto tra Pier Paolo Pasolini e Elsa de’ Giorgi rientra fra le amicizie instaurate dallo scrittore nella Roma degli anni Cinquanta e Sessanta. Nel 1963 l’autore coinvolge l’attrice-scrittrice nelle riprese della Ricotta assegnandole – e la scelta non appare casuale – il ruolo di una delle dive che, insieme ai paparazzi, irrompono sul set alla fine dell’episodio, ma le relazioni tra il poeta-regista e de’ Giorgi si riflettono, in parte, anche nelle rispettive attività letterarie. Seguendo infatti i rimbalzi suggeriti dalle loro produzioni narrative, poetiche e saggistiche, si scopre che la diva si è rivolta a Pasolini sul finire degli anni Cinquanta per chiedergli di intercedere con Garzanti per la pubblicazione della sua seconda prova narrativa, L’innocenza, poi uscita nel 1960 per una casa editrice veneziana, Sodalizio del Libro; due anni dopo l’autore scrive una prefazione in forma di lettera al testo poetico dell’attrice La mia eternità e, mettendone in evidenza la pregnante metaforicità, rivolge all’opera di de’ Giorgi un’attenzione critica (cfr. Pasolini 2008a). L’artista, dal canto suo, dedica a Pasolini, dopo la sua morte, il poemetto del 1977 Dicevo di te, Pier Paolo.

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  • «Lampeggiare nello sguardo». Attrici e attori nel cinema di Pasolini →
Abstract: ITA | ENG

Il saggio analizza uno dei capitoli più appassionanti della genesi del Vangelo secondo Matteo, ovvero la scelta dell’interprete del ruolo di Cristo. Oltre a ricostruire le diverse ipotesi che portarono all’incontro con Enrique Irazoqui, ci si sofferma sulla qualità dell’interpretazione del giovane studente catalano nel contesto di un’opera segnata da importanti novità sul piano delle riprese e dello stile.

The essay analyzes one of the most exciting chapters of the genesis of Il Vangelo secondo Matteo, namely the choice of the interpreter for the role of Christ. In addition to reconstructing the various hypotheses that led to the meeting with Enrique Irazoqui, the paper focuses on the quality of the interpretation of the young Catalan student in the context of a work marked by important innovations in terms of shooting and style.

 

Nella galleria di spettri e figure che ingombrano l’imagery pasoliniana un posto eccezionale è occupato dal sintagma di Cristo, emblema di una disposizione paradossale, quella fra santità ed eresia, con cui lo scrittore ha lottato fino alla fine, giungendo a incarnare la medesima istanza martirologica che aveva infiammato (sub specie Christi) la sua coscienza. La potenza del sembiante cristologico si rivela già nel corso della prima stagione artistica tra le pieghe delle Poesie a Casarsa, attraversate da un gioco dialettico tra il corpo di Cristo e lo specchio di Narciso, matrici archetipiche di una accorata ricerca identitaria dell’io poetico. Dentro le atmosfere dell’eden materno, sospese tra innocenza e colpevolezza, l’iterata presenza dell’immagine di Cristo è ancora aereo fantasma di litanie, ludica superficie di processioni e danze; tale leggerezza metamorfica, non priva di tensioni e spasmi, ben presto avrebbe lasciato il posto a un sentimento più cupo del vivere, testimoniato dall’ossessiva ripetizione del motivo della Passione e della Crocifissione. Basta sfogliare i titoli delle sezioni e dei componimenti dell’Usignolo della Chiesa cattolica per cogliere, infatti, un percorso cristologico inedito, non sequenziale, non letterale ma in un certo senso autobiografico e come autoinflitto, legato inestricabilmente al destino personale dell’autore, che ha bisogno di sublimare il proprio dolore attraverso l’identificazione con Cristo (cfr. Rimini 2006, Rizzarelli 2015). Quasi ad apertura della raccolta si incontra il componimento La Passione, un poemetto in cui con accorata partecipazione viene contemplato il calvario di Gesù, attraverso un calibrato impianto linguistico che alterna le voci e i soggetti dell’enunciazione. La dinamica interna del testo sembra mimare in alcuni passaggi la forma del dialogo drammatico: alla prima persona plurale, il «noi» dei fanciulli che guardano e ‘nominano’ la scena, si aggiunge la prima persona singolare, l’«io» che patisce e soffre.

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  • «Lampeggiare nello sguardo». Attrici e attori nel cinema di Pasolini →
  • Arabeschi n. 20→

 

 

Pier Paolo Pasolini non ha mai codificato una puntuale e organica teoria della recitazione cinematografica ma ha sempre prestato grande attenzione alle scelte di casting, intervenendo continuamente su questioni relative al rapporto con gli attori e le attrici. La sua sensibilità verso la dimensione corporale, l’interesse per la relazione tra spazi e figure fanno sì che ogni film rilanci sempre nuove traiettorie di senso legate alla presenza e alle dinamiche di interazione fra interpreti. L’importanza delle pose, dei gesti, degli sguardi dei personaggi determina una frizione costante fra verità e artificio, puntando alla perfetta combinazione fra carattere e atto performativo.

Con la Galleria «Lampeggiare nello sguardo». Attrici e attori nel cinema di Pasolini si vuole disegnare una mappa delle pratiche e delle teorie attoriali messe in atto dal regista, tema finora poco indagato dalla critica ma decisivo per intendere gli equilibri e le dinamiche del suo sguardo. La struttura prevista sarà quella di un dizionario-atlante, con voci dedicate ad attori e attrici che ricostruiscano – dove è possibile sulla base della documentazione disponibile – la relazione fra il regista e l’attore, le peculiari caratteristiche performative che il viso e il corpo di ogni interprete assumono nei film di Pasolini, oppure (nel caso degli attori professionisti e delle star) le modalità con cui lo scrittore si confronta con la loro immagine divistica.

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Il 23 marzo 2022 la redazione di Arabeschi ha incontrato e intervistato Marco Antonio Bazzocchi per discutere di Alfabeto Pasolini, pubblicato da Carocci (2022), seconda edizione rivista di "Pier Paolo Pasolini" (Mondadori, 1998). L'incontro si è svolto in occasione del convegno Lampeggiare nello sguardo: attrici e attori nel cinema di Pasolini, tenutosi il 24 marzo 2022 presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell'Università di Catania per celebrare il centenario della nascita dello scrittore. La nuova edizione dello studio rappresenta l'occasione per tornare ad attraversare alcuni nodi essenziali della poetica pasoliniana, sintetizzati nel volume in forma di lemmi, secondo la formula già rodata dell'alfabeto-atlante. La conversazione si è mossa a partire da alcune considerazioni relative al processo di aggiornamento del vocabolario e ha poi affrontato diverse questioni cruciali per intendere l'itinerario artistico di Pasolini.

 

Riprese audio-video: Alessandro Di Costa

Montaggio: Alessandro Di Costa, Giovanna Santaera

 

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