1. L’opera di Calvino è sempre stata caratterizzata dallo sguardo sugli ambienti e sui paesaggi, osservati non solo dal punto di vista dei personaggi umani ma anche attraverso gli occhi delle altre creature. Queste sono spesso al centro della narrazione: possono rappresentarne il motivo centrale (come nella Formica argentina); oppure assumere la funzione di punctum nella storia (come il camoscio che osserva gli uomini e la natura nel finale di Mai nessuno degli uomini lo seppe, 1950), se non proprio di protagonisti o deuteragonisti (dall’ibrido proteiforme Qwfwq delle Cosmicomiche ai vari personaggi del ‘bestiario’ di Palomar, come il geco o il gorilla albino). È proprio in Palomar che viene illustrata la ragione fondamentale dell’interesse calviniano nei confronti del mondo animale: «per il signor Palomar […] la discrepanza tra il comportamento umano e il resto dell’universo è sempre stata fonte d’angoscia. Il fischio uguale dell’uomo e del merlo ecco gli appare come un ponte gettato sull’abisso» (Calvino 1994, p. 895). Non è un caso perciò che Calvino sia, con molta probabilità, lo scrittore italiano più studiato e interpretato alla luce dell’ecologia letteraria; il rapporto tra l’umano e la storia in relazione all’ambiente e alla natura è infatti un elemento strutturale costante e centrale nell’invenzione e nella riflessione calviniane (mi limito a citare, per l’attinenza con il tema di Teodora, Iovino 2023; per un inquadramento generale, mi permetto di rimandare a Scaffai 2017 e 2023).