Nell’arco di Phanes del «più ricco et ornato edificio che forse sia stato fatto dagli antichi in qua»,[1] come ebbe a dire Palladio nel Proemio al primo dei Quattro libri dell’architettura, ossia della Libreria Marciana di Venezia, un bassorilievo raffigura Prometeo in atto di animare il primo uomo, attribuito alla Scuola di Sansovino.[2] Datato tra il quarto e il sesto decennio del Cinquecento, presenta un curioso attributo, raro e inedito: Prometeo è alato.
La singolare iconografia dell’evento, divergente dai paradigmi antichi,[3] è passata in sordina, oppure è stata affrontata lasciando aperto il quesito, per cui deriverebbe da una fonte circolante in ambito veneto non ancora riconosciuta.[4]
Secondo la lezione di Panofsky, le immagini si delineano come raffigurazioni convenzionali, depositarie di significati variabili in base al contesto, pertanto nell’interpretazione iconologica è necessario identificare con precisione, prima di tutto, i motivi, per poi ragionare sulle composizioni attivate.[5] Non resta allora che dinamizzare le ipotesi, proponendo qualche tenue tentativo di passage dall’immanente al contestuale, dal fattuale all’intrinseco, limitato ai casi distintivi.
Fu rilevante per il mutamento del clima artistico veneziano l’arrivo in laguna di Jacopo Tatti detto il Sansovino, dileguatosi dal sacco di Roma. Formatosi nell’entourage di Bramante, Raffaello e Peruzzi, giunge a Venezia già celebre e pienamente inserito nell’élite intellettuale. Nel giro di pochi anni mitiga superbamente le esperienze romane e fiorentine dell’Alto Rinascimento con le esigenze locali. Giovando della mediazione artistica e soprattutto politica di Pietro Aretino e del cardinale Grimani, riesce a sollecitare il cambiamento che avverrà dopo gli anni Trenta nel panorama artistico veneziano, complici anche la morte di molti artisti lagunari a causa della peste e l’emigrazione di altri. Già nel 1523 era stato convocato per una consultazione in merito al rinforzo delle cupole di San Marco e in soli due anni arriva a rivestire la massima carica, divenendo proto della Procuratoria di San Marco de supra. Il 6 marzo 1537 l’approvazione del Senato e il voto unanime dei procuratori segna l’avvio della costruzione della Libreria,[6] secondo il progetto di quel «banditore del gusto tosco-romano, ammiratore convinto di quel decorativismo postraffaellesco che era stato uno dei coefficienti più attivi della visione manieristica».[7] In questo momento la Repubblica, considerata lo stendardo della libertà dell’Italia, stava elaborando il proprio mito, e la grandiosa commissione pubblica, sorta come solenne repositorio della ricca biblioteca personale del cardinale Giovanni Bessarione, donata alla Serenissima nel 1468, e come sede illustre della Procuratoria, si iscriveva perfettamente nella nuova imago urbis desiderata dal doge Gritti e dall’establishment.