Introduzione. Speciale Prometeo, mito e intermedialità

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L’articolo, che ha lo scopo di introdurre l’omonimo fascicolo monografico, indaga la ricezione del mito di Prometeo, nella sua mobilità non solo diacronica e diatopica, ma anche intermediale. Nel ripercorrere le recenti acquisizioni metodologiche degli studi intermediali, e nel sottolinearne la crescente importanza, il contributo mette in luce la prolifica fortuna della figura di Prometeo attraverso diversi media, dalla letteratura e il teatro fino al cinema, i videogiochi e i meme contemporanei, che ne determinano trasformazioni sostanziali. L’instabilità, caratteristica costitutiva della fortuna del mito, nel caso di Prometeo è legata anche alla mancanza di un solido e unico testo sorgente; la cangiante molteplicità del Titano lo rende una figura emblematica per analizzare i meccanismi complessi della ricezione intermediale.

The article, which aims to introduce the current monographic issue, explores the reception of the mythical figure of Prometheus from an intermedial perspective. By retracing recent methodological developments in intermedial studies and emphasizing their growing significance, the contribution highlights the prolific reception of Prometheus across different media, including literature, theatre, cinema, video games, and contemporary memes, all of which contribute to significant transformations of the myth. Instability, a defining characteristic of the myth’s reception, in the case of Prometheus is also linked to the absence of a single authoritative source text. The Titan’s multiplicity thus makes him an emblematic figure for analysing the complex mechanisms of intermedial reception.

Una didascalia in sovraimpressione nella sequenza iniziale di Oppenheimer informa lo spettatore, eventualmente ignaro di trovarsi di fronte all’ennesima metamorfosi del mito, che «Prometheus stole fire from the gods and gave it to man. For this he was chained to a rock and tortured for eternity». Il riferimento al Titano, già presente nel titolo della biografia scritta da Kai Bird e Martin J. Sherwin sulla quale è basata la sceneggiatura del film di Christopher Nolan (American Prometheus. The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer, 2005), rientra in una casistica verso la quale già Schelling attirava l’attenzione: «La mitologia è essenzialmente qualcosa che si muove».[1] Immunizzato dalla catastrofe del nazismo nei confronti delle ipostatizzazioni del mito, Hans Blumenberg avrebbe neutralizzato il «mito della mitologia» risolvendo quest’ultima nella storia dei suoi effetti: «L’originario rimane un’ipotesi, l’unica base per verificare la quale è la ricezione»;[2] assunto in seguito echeggiato dalla mitocritica più avvertita, che muove dall’ipotesi «d’un sens non inhérent au(x) mythe(s), mais généré en perpétuelle réinvention à partir de la situation du sujet énonciateur».[3]

Se la «mobilità diacronica e diatopica»[4] del mito in generale è ormai un dato acquisito, non lo è altrettanto, o non a sufficienza, la dimensione mediale di tale mobilità. Come ha osservato una studiosa particolarmente sensibile alla questione, «le jeu des prismes interprétatifs est parfois d’une complexité qui repose bien plus que de l’intertextualité littéraire».[5] Ovviamente non godono più di credito semplificazioni come quella che relegava il mito alla sfera dell’oralità, attribuendo alla scrittura un’implacabile funzione demitizzante; per quanto, naturalmente, si continui ad attribuire un ruolo fondamentale all’oralità nei circuiti intermediali dell’antico.[6] È però un dato di fatto che l’attenzione all’intermedialità del mito stenta ancora ad affermarsi, per quanto da questo studio potrebbero trarre beneficio non solo le ricerche sulla tradizione del classico (alle quali aggiunge alcune tessere il contributo di Guido Milanese presente in questo fascicolo), ma anche gli stessi studi di intermedialità, troppo spesso appiattiti su un ‘presentismo’ dimentico del radicamento e della profondità storica delle questioni.

Fanno eccezione a questo proposito, per precocità e abbondanza, gli studi di Lea Ritter Santini, non a caso profondamente influenzata dalla Mythos-Debatte degli anni Settanta-Ottanta, della quale fu testimone diretta a partire dal fondativo seminario del gruppo di «Poetik und Hermeneutik» dedicato alla ricezione del mito (Terror und Spiel. Probleme der Mythenrezeption, 1968). In dialogo con Blumenberg, collega all’Università di Münster, Ritter Santini avrebbe ripercorso le metamorfosi dei miti greci (Eco, Andromeda, Dedalo, Dafne, Europa… per culminare con il libro dedicato a Ganimede nella cultura tedesca)[7] nella chiave di una comparatistica intermediale che non finisce di stupire per consapevolezza e si direbbe quasi chiaroveggenza. Recentemente la questione è stata rilanciata da Massimo Fusillo, con un approccio transmediale che, ambendo a trovare sbocco in un’«Estetica comparata fra le arti»,[8] rischia di riorientare verso quegli ‘universali’ dai quali la linea schellinghiano-blumenbergiana ha costantemente messo in guardia; e da Maria Grazia Ciani che, al contrario, àncora lo studio di una serie di variazioni intermediali sull’antico, dalle illustrazioni di Le Corbusier per l’Iliade all’Ulisse di Dallapiccola, sull’accertamento filologico della differenza e dello scarto prodotti dalla ricezione.[9]

Sul versante mediologico, la questione dei miti nella contemporaneità, inaugurata dalle folgoranti Mythologies di Roland Barthes, è stata di recente rilanciata da Peppino Ortoleva, per il quale «non si possono capire i miti contemporanei se non si ragiona su come diversi media hanno nel corso della storia cooperato, e insieme si sono divisi il lavoro, nel diffonderli, e nel fornirli di una cornice».[10] Da un lato, i miti «si impossessano man mano di tutti i media disponibili e li piegano alle loro esigenze»; dall’altro lato «i diversi media lasciano la loro specifica impronta sulle storie che veicolano»,[11] producendo effetti di senso non deducibili dalle sole dinamiche intertestuali o più generalmente intramediali.

Prima di ritornare su questi aspetti, vale la pena ricordare ancora, fuori dagli steccati accademici e anche disciplinari, la riflessione di Roberto Calasso che da La letteratura e gli dèi (2001) si prolunga nel postremo Allucinazioni americane (2022). Qui le vicissitudini dei miti sono inseguite nelle loro migrazioni da un medium all’altro, in un percorso che va dal culto alla letteratura e da questa al cinema hollywoodiano, «strass del mito»[12] nel quale «un alieno visitatore del nostro pianeta potrebbe […] ricostruire in gran parte il tracciato della mitologia dell’Occidente».[13]

Claudio Longhi, Prometeo Incatenato, 2012. Foto di Franca Centaro. AFI Archivio Fondazione INDA Siracusa

Oltre all’influenza dei miti sui media e dei media sui miti, sulla quale richiama l’attenzione Ortoleva, si danno anche speciali casi di armonia tra tema mitico e medium, felici congiunture manifestate da una certa attenzione preferenziale verso un certo medium nell’elaborazione di un certo mito.[14] È il caso del mito di Orfeo, che impone una particolare attenzione alla musicalità, e in effetti registra, nella storia delle sue vicissitudini intermediali, una significativa predominanza delle trasposizioni operistiche o sinfoniche; oppure del mito di Pigmalione, preferito dagli scultori in quanto celebrazione della potenza mimetica della loro arte connessa all’autofondazione dell’artista.

Nel caso di Prometeo, tema di questo fascicolo monografico (nato da una giornata di studi organizzata da un gruppo di lavoro sulle ‘Migrazioni del mito’ all’interno di un progetto della Facoltà di comunicazione cultura e società dell’Università della Svizzera italiana), la straripante sovrabbondanza e varietà mediale delle variazioni sul mito impedisce di riconoscere univocamente siffatte affinità elettive. Dalla letteratura e dal teatro, con stazioni a suo tempo puntualmente ricostruite da Raymond Trousson, ora ripercorse da Federico Condello,[15] dai media visuali (sino ai più recenti, come si constaterà in conclusione) alla musica,[16] si può dire che non vi sia medium nel quale la vicenda di Prometeo non è stata trasposta; tanto più che la sua storia possiede tali e tanti tratti (il furto del fuoco, l’inganno a Zeus, la punizione, la liberazione per mano di Ercole, la creazione dell’uomo…) che ogni medium ha potuto trovarvi occasioni di identificazione. Fors’anche per effetto delle immagini evocate all’inizio, ma in ogni caso sulla base di riscontri filmografici piuttosto solidi, si direbbe che, negli ultimi anni, la vicenda di Prometeo si sia trovata di casa al cinema, con trasposizioni di tutto rilievo come il Prometheus di Tony Harrison (1998) e quello di Ridley Scott (2012), e la versione non troppo occulta di The Lighthouse (2019) di Robert Eggers (per non dire di quella wendersiana discussa da Vega Tescari nel suo contributo in questo fascicolo). Dei tanti mitologemi che compongono la vicenda del Titano, quello che più ne apparenta la storia al medium cinematografico è rappresentato dalla creazione dell’uomo a partire dall’animazione di un’immagine (si veda qui l’episodio cinquecentesco studiato da Luca Trissino): motivo introdotto da Ovidio (Met., I, 82 ss.), ripreso da Boccaccio e oggetto di inversioni e parodie in Goethe e in Leopardi, oltre che di significative contaminazioni con il mito di Pigmalione ne La estatua de Prometeo di Calderón de la Barca e nella Pandora di Voltaire; ma che solo nelle immagini animate del cinema sembra aver trovato il proprio inveramento più pieno, in un’epoca nella quale il tema del simulacro è al centro di un vivace dibattito.[17]

Va anche detto che, nell’epoca attuale dei miti «a bassa intensità», è andata accentuandosi l’«intercambiabilità» tra i media di volta in volta incaricati di riconfigurare i miti, cosicché questi migrano in un «movimento ininterrotto tra mezzi diversi»;[18] e inoltre l’intercambiabilità tra le stesse figure mitiche, sempre più «dinamiche, sfuggenti, e anche pronte a rimpiazzarsi reciprocamente».[19] Non fa eccezione a questo riguardo la storia di Prometeo, che passando di medium in medium è penetrata nei meme del web (sono l’oggetto del contributo di Sabrina Mazzali-Lurati e Chiara Pollaroli) e nell’universo dei videogiochi. È accaduto in God of War 2, acclamato titolo per Playstation 2 prodotto dai Santa Monica Studios, nel quale il guerriero spartano protagonista della saga si ritrova su un’isola con la missione di liberare Prometeo incatenato. A riprova dell’allentarsi dei vincoli del racconto canonico, la liberazione fallisce; vale anche la pena osservare che il protagonista ha nome Kratos, in un ribaltamento esemplare della scena iniziale del dramma di Eschilo, dove è proprio Kratos a incalzare Efesto affinché inchiodi alla rupe il Titano ribelle. Come ha scritto Roberto Calasso, nel contemporaneo i nomi degli eroi del mito «suonano spesso esotici o impronunciabili, come quelli che si leggono accanto ai campanelli di una casa di immigrati»; purtuttavia «il potere delle loro storie continua ad agire».[20] È quanto accade in God of War 2, dove dal sacrificio del Titano scaturisce il beneficio di una nuova arma, denominata Rage of the Titans, che permette a Kratos il proseguimento del viaggio.

Se negli studi di comparatistica ha tardato ad affermarsi, come si è sopra ricordato, una piena integrazione degli studi in prospettiva intermediale, le cose non sono andate molto diversamente nelle scienze dell’antichità. I diversi settori disciplinari – la letteratura e la filologia da un lato, l’archeologia e la storia delle religioni dall’altra – hanno spesso comunicato poco, dimenticando quanto la mobilità intermediale sia in realtà caratteristica costitutiva del mito, nel suo viaggiare tra teatro, letteratura orale, raffigurazioni vascolari, scultura. Per comprendere quanto tardivamente gli studi sul mito antico siano approdati ad uno sguardo pienamente sincretico, basti pensare all’impatto scientifico di pubblicazioni relativamente recenti come Comic Angels (1993) e Pots&Plays (2007)[21] dello studioso inglese Oliver Taplin, che ha indagato a fondo l’interazione tra teatro e arti visive, in particolare tracciando legami e interdipendenze tra le rappresentazioni vascolari e la produzione drammatica antica.

Quanto proficua possa essere un’analisi integrata tra letteratura e iconografia emerge dal contributo di Francesca Berlinzani, che apre il fascicolo esplorando il mito di Prometeo nelle fonti letterarie di Eschilo ed Esiodo, ma anche nel corpo scultoreo del Partenone, nell’arte vascolare attica e nelle raffigurazioni sepolcrali. Appare con chiarezza, nella trattazione, come l’iconografia delle molteplici imprese di Prometeo sopravanzi, per quantità e varietà di allusioni, le fonti letterarie in nostro possesso, dove prevalgono narrazioni focalizzate su singoli episodi (così accade in Esiodo ed Eschilo), che lasciano “fuori campo” altri motivi e caratteristiche del personaggio.

L’instabilità appare, come si è sopra osservato, una caratteristica costitutiva della ricezione del mito; ma il fenomeno pare aumentare d’intensità nei casi in cui non sia possibile individuare un unico testo ‘normativo’, cioè una fonte letteraria capace di superare per complessità e completezza le altre narrazioni, un ipotesto sufficientemente saldo da poter essere poi, nel lungo arco temporale che dall’antichità porta all’oggi, tradito e stravolto. Si mettano a paragone a titolo di esempio – nel tentativo di interpretare gli insondabili meccanismi della tradizione tra antichità e fortuna moderna – le figure di Antigone ed Eracle e le rispettive storie di ricezione. Nel primo caso la tragedia sofoclea appare senza dubbio la più solida e completa delle fonti antiche sul personaggio,[22] a fronte di rare e fugaci allusioni all’eroina nell’epica e nella lirica;[23] le innumerevoli riprese moderne e contemporanee, se pure hanno frantumato Antigone in un «pulviscolo variato e imprendibile»,[24] tuttavia mostrano immancabilmente in filigrana la coscienza (quando non il riferimento esplicito) dell’ipotesto, nella sua focalizzazione di fatti, argomenti, personaggi.

Eracle, proprio come Prometeo, approda invece al teatro attico (non a caso in contesti diversi: l’Eracle e le Trachinie di Euripide, gli Uccelli e le Rane di Aristofane) non come a un punto di partenza, ma registrando un ampio e variegato patrimonio mitico preesistente («la poesia colta è intervenuta solo in un secondo momento»,[25] appunta Burkert) che ne testimonia diversi volti (con una tensione dialettica tra la sfera ctonia e quella divina) e molteplici episodi. Anche per questa ragione, la ricezione di Eracle, esattamente come quella di Prometeo, appare ben più instabile e dinamica di quanto accada ad altre figure. La cangiante molteplicità che accompagna la storia intermediale del mito di Prometeo, infatti, si registra già nelle fonti antiche: «il greco Prometeo», appunta a questo proposito Federico Condello «è solo una tra le molte incarnazioni di una figura che ha molti nomi e altrettante fattezze».[26]

 Maître du Policratique de Charles V, Creazione del mondo e Prometeo anima l’uomo, 1375-1399 circa, da Anonimo, Ovide moralisé, Lyon, Bibliothèque municipale, ms. 742, f. 4r

La tradizione latina (attraversata in questo fascicolo dal contributo di Simone Mollea) porta una chiara testimonianza di tale ininterrotto e dinamico movimento tra diversi media, generi e registri. Se da un lato Prometeo appare come un campione dell’humanitas (così in Varrone e in Aulo Gellio, cfr. Mollea), dall’altro, manifesta sembianze comiche nella Rhetorica ad Herennium e poi nella tradizione satirica romana. Una trasformazione, quest’ultima, pienamente coerente con alcuni motivi originari del mito: il Titano appare già in Esiodo come un trickster, un briccone divino, sempre connesso alla violazione dei confini, alla rottura dei tabù, alla dimensione dell’inganno (e dunque del riso). Varrà la pena, in questa sede, ricordare l’etimologia della parola greca traducibile come ‘buffone’, cioè bomolochos: il lemma è fondato sui componenti bomos ‘altare’ e lochos ‘agguato, imboscata’. Il celebre episodio esiodeo che vede Prometeo ingannare Zeus nella divisione delle carni sacrificali è, a tutti gli effetti un ‘agguato intorno all’altare’, cioè un atto di furbizia e inganno svolto in un contesto legato alla sacralità: il Titano possiede dunque in sé non solo le caratteristiche dell’eroe ma anche quelle del buffone. Nel IV libro della Rhetorica ad Herennium Prometeo appare come un mendicante che – con effetto di comica antifrasi – elemosina carboni ardenti. È possibile accostare l’immagine di Prometeo straccione proprio al termine bomolochos che nella letteratura greca oscilla tra gli ambiti semantici di ‘buffone’, ‘spavaldo’ e ‘mendicante’.[27] La capacità di incarnazione del Titano compie sorprendenti atti di sintesi, abbracciando con agio la complessità degli opposti: da dio a straccione, da super-uomo a buffone.

La molteplicità di motivi riconducibili al mito di Prometeo trova una rispondenza in un immaginario iconico straordinariamente ricco per varietà e quantità: Prometeo alle prese con le carni sacrificali; Prometeo con in mano la fiaccola del fuoco; Prometeo incatenato alla rupe/mangiato dagli animali/Prometeo crocifisso; Prometeo trickster/straccione; Prometeo alato/angelo. Significativi appaiono, in questa prospettiva, tre contributi presenti in questo fascicolo: Chiara Cauzzi, ripercorrendo la creazione di una mostra bibliografica dedicata al Titano, rende conto di tale mobilità iconografica anche nelle illustrazioni e nelle xilografie che accompagnano le edizioni a stampa tra Cinquecento e Novecento; il già citato contributo di Luca Trissino indaga invece la ricorrenza del motivo di Prometeo Alato nel Rinascimento Veneto, in un processo di vera e propria «grammaticalizzazione delle ali». Maddalena Giovannelli analizza, invece, le rappresentazioni teatrali contemporanee del corpo di Prometeo, prendendo in esame le differenti soluzioni visive adottate di volta in volta dalla regia.

La caleidoscopica varietà figurativa ha di fatto impedito la sedimentazione di un canone, creando una galassia di possibili iconografie di Prometeo, senza mai riuscire a imporre una tassonomia. Un simile polimorfismo non è la norma nella fortuna dei miti, le cui rappresentazioni si addensano più frequentemente intorno a pochi episodi della saga (si pensi, a titolo di esempio, alla centralità dei temi del sacrificio e della metamorfosi nelle rappresentazioni di Ifigenia,[28] o all’infanticidio per Medea). Prometeo appare invece, fin dai suoi esordi preletterari, dinamico e sfuggente, prestandosi così a interpretazioni (letterarie, filosofiche, figurative) antipodali; il fenomeno di dispersione e di mobilità, individuato da Ortoleva come uno degli aspetti identificativi del mito nella cultura contemporanea (come già accennato prima), appare per certi versi già inscritto nella lunga e travagliata storia ricettiva del Titano.

Il viaggio di Prometeo ‘a bassa intensità’, nel tempo e nello spazio, mostra dunque con particolare chiarezza la stringente necessità di una prospettiva di studio intermediale, capace di restituirne appieno la complessità e le paradossali inversioni di senso. Se il film di Nolan consegna al pubblico – nel nome di Prometeo – i pericoli e le ambiguità dei ‘doni’ dati al mondo dall’intelligenza umana, vale la pena guardare ancora, e a lungo, il meraviglioso Trittico di Prometeo di Oskar Kokoschka. Dipinta nel 1950, a pochi anni dagli eventi rievocati da Nolan, l’opera mostra sulla tela di destra un Prometeo nudo e scomposto – lo spettatore guarda in prospettiva la pianta dei piedi e i suoi genitali, che lo mostrano ai nostri occhi miseramente umano – mentre lascia scivolare la fiaccola ardente come un lottatore sconfitto. Intorno, e nelle tele centrali e di sinistra, fiorisce una natura dai colori e dalle atmosfere pacifiche (simboleggiata da Demetra) forse irreversibilmente messa a rischio dagli atti del Titano. Osservato oggi, il Trittico pare un inquietante manifesto sull’eredità dell’Antropocene: a conferma – se ancora ce ne fosse bisogno – della capacità del mito prometeico di farsi prisma, e profezia, delle istanze dell’oggi.

 


1 Cit. in P. Ortoleva, Miti a bassa intensità. Racconti, media, vita quotidiana, Torino, Einaudi, 2019, p. XIV.

2 H. Blumenberg, Wirchlichkeitsbegriff und Wirkungspotential des Mythos, in Terror und Spiel. Probleme der Mythenrezeption, hrsg. von M. Fuhrmann, München, Wilhelm Fink Verlag, 1971, pp. 11-66, tr. it. Il futuro del mito, a cura di G. Leghissa, Milano, medusa, 2002, p. 71. Com’è noto, il mito di Prometeo costituisce il filo conduttore di Arbeit am Mythos (1979), pietra miliare nella riflessione novecentesca sul mito.

3 U. Heidmann et al. (a cura di), Mythes (re)configurés. Création, Dialogues, Analyses, Lausanne, Collection du CLE, 2013, p. II.

4 A. Grilli, ‘Dal mito tragico all’immagine su vaso. Nuclei d’azione e dinamiche transmediali’, La Rivista di Engramma, n. 183, luglio/agosto 2021, pp. 95-121: 103.

5 M. Watthee-Delmotte, Études des imaginaires mythiques et interdisciplinarité, in U. Heidmann et al. (a cura di), Mythes (re)configurés, cit., pp. 241-255: 248.

6 Cf. il contributo indicato in nota 4.

7 L. Ritter Santini, Il volo di Ganimede. Mito di ascesa nella Germania moderna, Venezia, Marsilio, 1998.

8 M. Fusillo, ‘Miti, temi, modi. Per una comparatistica transmediale’, Comparatismi, 5, 2020, pp. 12-20: 12; https://www.ledijournals.com/ojs/index.php/comparatismi/article/view/1712 [accessed 4 February 2024].

9 M. G. Ciani, Il canto delle muse. Variazioni sull’arte contemporanea, Venezia, Marsilio, 2022.

10 P. Ortoleva, Miti a bassa intensità, cit., p. 140.

11 Ivi, p. 138.

12 R. Calasso, Allucinazioni americane, Milano, Adelphi, 2022, p. 105.

13 Ivi, pp. 103-104.

14 Cfr. il contributo indicato in nota 3.

15 R. Trousson, Le Thème de Promethée dans la littérature moderne, Genève, Droz, 1964 ; F. Condello (a cura di), Prometeo. Variazioni sul mito, Venezia, Marsilio, 2011, 2022.

16 L. Ritter Santini, Il volo di Ganimede, cit., pp. 36 ss.; M. G. Ciani, Il canto delle muse, cit., pp. 59-77.

17 Cfr. H. Bredekamp, Theorie des Bildakts, Berlin, Suhrkamp, 2010, trad. it. a cura di F. Vercellone, Immagini che ci guardano. Teoria dell’atto iconico, Milano, Cortina, 2015, pp. 77-135; S. Denis, J. Stolow, ‘Introduction’, Intermédialités. Histoire et théorie des arts, des lettres et des techniques, Number 22, Fall 2013 : animer/animating, https://www.erudit.org/en/journals/im/2013-n22-im01309/ [accessed 4 February 2024]; G. Didi-Huberman, La Peinture incarnée suivi de Le chef-d’œuvre inconnu par Honoré de Balzac, Paris, Minuit, 1985, trad. it. La pittura incarnata, Milano, il Saggiatore, 2008; D. Freedberg, The Power of Images. Studies in the History and Theory of Response, Chicago, University of Chicago Press, 1989, trad. it. Il potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazioni e emozioni del pubblico, Torino, Einaudi, 2009 (1993), pp. 114-116 in particolare; M. Fusillo, Feticci. Letteratura, cinema e arti visive, Bologna, il Mulino, 2012, le pp. 77-95 in particolare: L’oggetto magico. Animare l’inanimato; F. Herman Jacobs, The Living Image in Renaissance Art, Cambridge, Cambridge University Press, 2005; C. Ossola, À Vif. La Création et les Signes, Paris, Imprimerie Nationale Éditions, 2012; S. Papapetros, On the Animation of the Inorganic. Art, Architecture, and the Extension of Life, Chicago-London, University of Chicago Press, 2012; C. Severi, L’Objet-personne. Une anthropologie de la croyance visuelle, Paris, Rue d’Ulm - Musée du Quai Branly, 2017, trad. it. L’oggetto-persona. Rito Memoria immagine, Torino, Einaudi, 2018.

18 P. Ortoleva, Miti a bassa intensità, cit., p. 139.

19 Ivi, p. XVIII.

20 R. Calasso, La letteratura e gli dèi, Milano, Adelphi, 2001, p. 28.

21 O. Taplin, Comic Angels – and Other Approaches to Greek Drama through Vase-Paintings, Oxford, Clarendon Press, 1993 e Pots and Plays: Interactions between Tragedy and Greek Vase-painting of the Fourth Century B.C., J., Los Angeles, Paul Getty Museums, 2007.

22 Si veda la vasta ricognizione della preistoria del mito in S. Fornaro, Antigone. Storia di un mito, Roma, Carocci, 2012.

23 Sui pochi elementi pre-tragici della saga tebana, cfr. anche F. Condello (a cura di), Sofocle. Edipo re, Siena, Barbera, 2003, in particolare pp. 176-79.

24 M. Rubino, Antigone e le gazzette, in M. Ripoli - M. Rubino, Il mito, il diritto, lo spettacolo, Genova, De Ferrari, 2005, p. 144.

25 M. Burkert, Griechische Religion der archaischen und klassischen Epoche, Stuttgart-Berlin-Köln, Verlag W. Kohlammer, 1977; trad. it. La religione greca, Milano, Jaca Book, 2003, p. 395.

26 F. Condello (a cura di), Prometeo, cit., p. 17.

27 S. Caciagli, M. Corradi, M. Giovannelli, M. Regali, ‘Un lessico per il teatro comico. Buffoni e bomolochoi’, Stratagemmi, 2014, 29-30, pp. 73-102.

28 L. Secci (a cura di), Il mito di Ifigenia da Euripide al Novecento, Roma, Artemide Edizioni, 2008.