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Il Prometeo incatenato di Eschilo è una delle tragedie più amate e indagate della tradizione ma è anche, dal punto di vista strettamente teatrale, una sfida di notevole difficoltà. Il protagonista, incatenato a una montagna, resta infatti immobile per tutta la durata della rappresentazione. Il contributo indaga alcune soluzioni adottate (tra il 1954 e il 2023) nell’ambito delle rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa, con una particolare attenzione al Prometeo di Luca Ronconi (2002) e di Claudio Longhi (2012). Lo studio e l’indagine delle due rappresentazioni citate permette di illuminare le dinamiche legate allo spazio presenti nell’opera, e la forte interrelazione tra l’architettura di scena e l’esposizione del corpo del protagonista.

One of the most loved and most researched tragedies Aeschylus’ Prometheus Unbound, from a strictly theatrical point of view, is also a very challenging play. Its protagonist, chained to a mountain, remains motionless for the entire duration of the play. This article investigates some of the solutions adopted (between 1954 and 2023) in the context of classical performances at the Greek Theatre in Syracuse, with particular attention to Luca Ronconi’s Prometheus (2002) and Claudio Longhi’s Prometheus (2012). The study and investigation of the two above-mentioned performances allows us to illuminate the space-related dynamics present in the work, and the strong interrelationship between the stage architecture and the display of the protagonist’s body.

«Spesso mi succede di mettere in scena cose che non conosco con il solo scopo di conoscerle»[1], appunta Luca Ronconi a proposito della sua pluriennale esperienza nel dirigere opere di teatro antico. L’affermazione può essere interpretata in un duplice senso: da un lato il regista denuncia l’impossibilità di comprendere fino in fondo le istanze di un testo così lontano nel tempo e nello spazio; dall’altro mette in luce come la regia sia di per sé uno strumento conoscitivo, che costringe chi la pratica a confrontarsi con i nodi e le questioni irrisolte della drammaturgia originaria. Tanto più l’accesso all’opera risulta impervio, dunque, quanto più il regista è chiamato a prendere importanti decisioni interpretative.

Il Prometeo Incatenato pone al lettore problemi ermeneutici di differente natura, alcuni dei quali sono menzionati o affrontati nelle pagine di questo numero. Ma se si legge la tragedia in una prospettiva squisitamente teatrale, appare chiaro che il testo costituisce una sfida non trascurabile anche per la regia: l’ingresso del protagonista, l’atto di forza con cui viene legato a una roccia, la sua conseguente immobilità sono solo alcune delle concrete difficoltà poste dalla drammaturgia.

Gli studi sulla rappresentazione antica hanno avanzato, in mancanza di dati certi, diverse ipotesi sulla realizzazione e la natura della rupe in scena (forse un pannello ligneo dipinto; forse l’utilizzo di un declivio naturale; forse la piattaforma innalzata del theologeion)[2]; «tutto può essere, o quasi tutto», chiosa con ironia Federico Condello, «e il dibattito minaccia di non cessare mai».[3]

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Una scultura monumentale, quasi totemica, composta da cavi elettrici e fili di rame che, intrecciati come fasci muscolari protesi verso l’alto, terminano in un’enigmatica protome animale. L’autore dell’installazione, l’artista praghese Krištof Kintera, utilizza scarti di produzione industriale per costruire organismi sintetici in cui ogni tipo di materiale, rizomaticamente, diventa elemento ri-plasmabile in funzione di una nuova creazione.

È questa la copertina del libro CHANGES. Riscritture, sconfinamenti, talenti plurimi, che Angela Albanese ha recentemente curato per i tipi di Mimesis.[1] Il carattere evocativo dell’immagine scelta, che rinvia alla mutazione, alla riconfigurazione e all’interpretazione in atto, ben introduce alla lettura di uno studio prismatico, in cui si moltiplicano gli sguardi analitici su un fenomeno cruciale della cultura contemporanea: le dinamiche di ibridazione e intreccio tra linguaggi eterogenei – visivo, verbale, musicale – che si attivano negli autori dal talento plurimo.

Ponendosi all’interno di un dibattito vasto e composito, che supera i confini disciplinari e che evidenzia la necessità di un approccio comparatistico, il volume curato da Albanese ha senz’altro il merito di porre l’accento su alcuni specimina esemplari relativi alla categoria ermeneutica del Doppelbegabung (letteralmente ‘doppio talento’), tutti sostanziati dall’idea-chiave di sconfinamento tra codici diversi da parte di un medesimo artista.

Per orientare i lettori nel canone di exempla presi in esame, l’introduzione redatta dalla curatrice riassume in modo puntuale gli ultimi approdi teorico-critici intorno al tema del polimorfismo autoriale, a partire dalla basilare distinzione introdotta da Michele Cometa tra doppio talento inteso in senso stretto (quando l’autore fa esperienza di due media considerandoli però come sfere di azione distinte), concrescenza genetica (quando i due media concorrono entrambi alla genesi dell’opera) e intreccio dialogico (quando uno dei due linguaggi integra, amplifica, interpreta e completa l’altro).[2]

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Il contributo ha come oggetto di indagine il FIC Festival (Focolaio di Infezione creativa) realizzato sotto la direzione artistica di Scenario Pubblico Compagnia Zappalà Danza, centro di rilevante interesse nazionale dal 2022. L’evento preso in esame – giunto alla sua V edizione – ha visto il susseguirsi di dieci giornate di spettacoli (dal 3 al 12 maggio 2024), incentrate sul repertorio di danza contemporanea. Dopo una breve panoramica sulla storia della danza, delle svariate forme e significati che ha assunto nel corso del tempo e, in secondo luogo, del linguaggio MoDem, fondato dal danzatore e coreografo Roberto Zappalà, si è scelto di focalizzare l’attenzione su cinque delle proposte artistiche in programma: La Nona (dal caos, il corpo); Gisellə(studio),  rispettivamente in formula workshop e prova aperta, Until the Lions; Variazioni Golberg; Bastard Sunday, dei coreografi Akhram Khan, Virgilio Sieni e Enzo Cosimi.  Il fulcro del lavoro è l’analisi dei diversi linguaggi adottati in queste opere allo scopo di comprendere la genesi del pensiero artistico e le relazioni che si innescano tra performance, pubblico e territorio. 

The object of the article is the FIC Festival (Creative Infection Outbreak), created under the artistic direction of Scenario Pubblico Compagnia Zappalà Danza, a center of significant national interest since 2022. The event examined – at its fifth edition – has given the succession of ten days of shows (from 3 to 12 May 2024), focused on the contemporary dance repertoire. After a brief overview of the history of dance, of the various forms and meanings that it has assumed over time and, secondly, of the MoDem language, founded by the dancer and choreographer Roberto Zappalà, we have chosen to focus attention on five of the scheduled artistic proposals: La Nona (dal caos, il corpo); Gisellə(studio), respectively in workshop and open test format, Until the Lions; Golberg Variations; Bastard Sunday, by the choreographers Akhram Khan, Virgilio Sieni and Enzo Cosimi. The spotlight is on the analysis of the languages ​​adopted in those works aiming to understand the genesis of artistic thought and the relation within performance, audience and territory. 

1. Catania contemporanea tra canone e innovazione

Holding back the years è il tema attorno a cui ruota la V edizione del FIC Festival sotto la direzione artistica di Scenario Pubblico Compagnia Zappalà Danza, centro di rilevante interesse nazionale dal 2022. Lo scopo è quello di divulgare tra la cittadinanza alcuni dei principali pilastri del repertorio coreografico contemporaneo, trasmettendo il valore della conoscenza del passato in un’ottica di valorizzazione del presente.

La spilla da balia scelta come immagine del concept grafico è il segno dell’unione tra il vecchio e il nuovo e del dialogo tra canoni e sperimentazione. Nei centri culturali catanesi coinvolti da Scenario Pubblico nella realizzazione del Festival (Teatro Massimo Bellini, Isola Cultural Hub, Associazione musicale etnea, Fondazione Brodbeck, Palazzo Biscari, Associazione Città Teatro, Fondazione Oelle e Cinema King) ‘esplode’ un focolaio artistico che contamina la danza con musica, teatro, cinema e arti visive.

Ad aprire il Festival è una parata danzante per le strade del centro storico della città ispirata al pezzo di repertorio classico La morte del cigno,[1] nella versione di Anna Pavlova[2] del 1907. L’iniziativa, condotta dal Collettivo SicilyMade (composto da Simona Miraglia, Marta Greco, Amalia Francesca Borsellino e Silvia Oteri) invita artisti e pubblico a guardare al celebre assolo come a un campo di esplorazione di stili.

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Gira, il mondo gira

nello spazio senza fine

con gli amori appena nati

con gli amori già finiti

con la gioia e col dolore

della gente come me.

J. Fontana

 

In occasione del centenario della nascita di Italo Calvino, l’attore, regista e drammaturgo leccese Mario Perrotta ha portato in scena il frutto di un allucinato itinerarium mentis intitolato Come una specie di vertigine. Il Nano, Calvino, la libertà. Presentato in prima nazionale a marzo 2023 al Teatro Carcano di Milano, lo spettacolo presentava inizialmente il titolo s/Calvino – o della libertà; è stato poi l’autore a volerlo cambiare, dopo le prime repliche, per fugare ogni aspettativa di spettacolo-omaggio allo scrittore sanremese. L’intento di Perrotta, infatti, è piuttosto quello di ragionare in libertà di libertà e per farlo pensa bene di affondare le mani negli scritti di Calvino «scalvinandoli, scompigliandoli e ricomponendoli»; esigenza già emersa con lo spettacolo del 2022 Libertà rampanti, un dialogo a tre voci con Sara Chiappori e Vito Mancuso, in cui Perrotta ragionava di libertà attraversando vari autori come Sofocle, Sant’Agostino, Shakespeare, Dostoevskij, Morante per approdare, infine, all’immancabile Calvino.

Come una specie di vertigine. Il Nano, Calvino, la libertà – scritto, diretto e interpretato interamente ed esclusivamente da Perrotta si apre sulle note del Mondo (1965) di Jimmy Fontana, che scandiscono, per quattro volte di seguito, il ritmo di accensione e spegnimento dei quattro fari presenti sul palco e puntati sul pubblico. Questi reiterati, iniziali abbagli costringono lo spettatore ad aggiustare rapidamente lo sguardo per dare il benvenuto al protagonista della pièce: Perrotta, emerso dal buio lentamente e progressivamente, appare seduto su una sedia girevole di metallo che sovrasta un’intelaiatura di ferro fissa al pavimento con un microfono ad asta montato su di essa.

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Il contributo dà conto delle questioni tematiche e metodologiche emerse nel corso del Convegno Portrait du marionnettiste en Auteur tenutosi nell’ambito del progetto Puppetplays all’Università di Montpellier nel maggio 2023. Prendendo spunto da alcuni tra i numerosi interventi presentati, si cerca di mettere a fuoco momenti condivisi con il teatro tout court e motivi che connotano i generi delle ‘Figure’ in modo peculiare e specifico. In particolare ci si concentra sulle accezioni di ‘testo’ e di ‘autore’ e sul motivo dell’intertestualità che deriva dalla caratteristica fluida e molteplice del testo spettacolare. Motivi centrali della scrittura per marionette appaiono: il contesto di implicazioni che derivano dal rapporto dell’animatore con la materia; la funzione del ‘non-detto’ in tali drammaturgie; il rapporto tra testo visibile (udibile) e sue stratificazioni percepibili al di sotto e tra le parole.

This paper gives an account of the thematic and methodological issues that emerged during the conference Portrait du marionnettiste en Auteur held as part of the Puppetplays project at the University of Montpellier in May 2023. Drawing on some of the many contributions presented, an attempt is made to focus on aspects shared with theatre tout court and patterns that connote the genres of 'Figures' in a peculiar and specific way. In particular, we focus on the meanings of 'text' and 'author' and on the motif of intertextuality that derives from the fluid and multiple features of the performance text. Key motifs of writing for puppetry appear to be the context of implications arising from the animator's relationship to the material; the function of the 'unspoken' in such dramaturgies; the relationship between visible (audible) text and its perceptible layers beneath and between words.

* Le citazioni tra virgolette, senza rinvio di nota, si intendono riferite agli interventi del convegno, disponibili online: 

https://puppetplays.www.univ-montp3.fr/fr/actualit%C3%A9s/colloque-puppetplays-portrait-du-marionnettiste-en-auteur.

 

Di che cosa parliamo quando parliamo di testo, a teatro? Chi è l’Autore di un testo che vive pienamente solo nella dimensione della scena e di fronte agli spettatori? E che cosa studiamo quando pretendiamo di studiare un testo inafferrabile per costituzione, che si rimette in discussione ad ogni rappresentazione perché sempre in gioco dinamico e dialettico nelle relazioni con gli altri elementi scenici? E ancora, quali e quante accezioni di ‘Drammaturgia’, e quindi di Dramaturg, possibili oggi?

Sono questioni basilari che conosce bene chi si occupa di performatività, teatro e spettacolo.[1] Questioni sostanziali che, come spesso accade, i teatri di figure sbalzano con maggior ‘profondità’ e rilievo. L’occasione per metterle a fuoco nella loro complessità è data dal progetto Puppetplays, che grazie ad un finanziamento ERC (e ad una appassionata ed efficiente équipe), si è proposto di repertoriare testi per marionette (nell’accezione francese dell’espressione Marionnette, ossia comprensiva di tutti i generi assimilabili ai teatri di figure), offrendoli alla consultazione on line entro una solida cornice storico-critica. Ovvero la costituzione di un archivio digitale di testi, strutturato come una banca dati ad accesso libero, ospitata da una piattaforma[2] articolata. Come si legge nella presentazione del progetto, si tratta di «studiare e rendere accessibile ad un vasto pubblico un’ampia selezione di testi per marionette prodotti nell’Europa occidentale», in un’estensione cronologica dal XVII al XXI secolo; 2000 i titoli, dei quali diverse centinaia in versione digitale, oltre ad una serie di pubblicazioni, dossiers e percorsi tematici, strumenti didattici, dizionario degli autori, glossario. Ad oggi sono stati inseriti 600 testi teatrali, che è possibile ‘attraversare’ seguendo percorsi di ricerca diversificati, sfruttando le preziose relazioni segnalate dal gruppo di ricerca in fase di inserimento.

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Edipo re, una favola nera, in scena al Teatro Elfo Puccini nel marzo 2022, è uno spettacolo che vuole porre l’attenzione sulla rilettura del mito di Edipo con una sfumatura fiabesca e dark. Dalla drammaturgia alla messa in scena del testo, dalle musiche alla scenografia, tutto porta alla creazione di una costellazione sempre più ampia ed esplicativa che permette di decifrare questo mito in chiave contemporanea. Lo scopo che lo spettacolo si prefigge è quello di riflettere sull’archetipo della figura di Edipo e di proporlo al pubblico trasformato e arricchito da tutta la letteratura che questo testo ha ispirato. In particolare, il saggio analizza alcune scene dell’opera e i dispositivi scenici, prestando particolare attenzione al filo conduttore del destino che attraversa l’intera vicenda. 

Edipo re, una favola nera, a play staged at the Teatro Elfo Puccini in March 2022, focuses on a reinterpretation of the Oedipus myth in a dark, fairy-tale key. From the dramaturgy to the staging of the text, from the music to the set design, everything leads to the creation of a broader, more complete and explanatory constellation that allows this myth to be deciphered in a contemporary key. The aim of this performance is to reflect on the archetype of the Oedipus myth and to propose it to the audience under a new key. In particular, this text analyses several scenes from the opera paying particular attention to the common thread of Edipo’s fate that runs through the whole story. 

1. La fiaba nel mito

Tra le produzioni del 2022 il Teatro Elfo Puccini di Milano annovera lo spettacolo Edipo re, una favola nera, andato in scena in prima nazionale il 15 marzo 2022, presso la sala Shakespeare. La regia e l’adattamento del mito, firmati da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, intendono proporre una lettura in chiave contemporanea dell’Edipo re di Sofocle. L’aggiunta di «una favola nera» al titolo, infatti, annuncia un nuovo e diverso punto di vista sulla nota tragedia ed è l’idea centrale da cui affrontare l’analisi di questo spettacolo. Il sottotitolo denuncia, infatti, l’operazione artistica alla base dello spettacolo e va analizzato nei dettagli: il termine ‘favola’ rimanda all’antico genere esopiano, ma la struttura che emerge dal percorso di ripensamento e di montaggio è piuttosto quella tipica della fiaba. L’interferenza tra i due generi probabilmente è dovuta al fatto che c’è un rimando alla favola esopiana, ma la narrazione è assimilabile alla fiaba magica studiata da Propp, poiché l’andamento della storia di Edipo diventa quello del bambino, trovatello, che lentamente va incontro al suo destino affrontando una serie di prove. La conversione del mito in fiaba rispecchia l’idea di teatro dei due registi, cioè quella di narrare storie che possano arrivare al pubblico suscitando domande sul mondo contemporaneo, invitando a un’interrogazione non sul punto di partenza, ma su quello d’arrivo. Trasformare il mito in ‘favola’ implica trasporre una storia adattandola al linguaggio teatrale dell’epoca che lo fruisce; questo processo permette di rendere le tematiche più vicine al pubblico di oggi e di far emergere le relazioni tra il mondo antico e quello attuale, coinvolgendo gli spettatori in un percorso di riflessione e confronto. Il mito, quindi, diventa specchio per analizzare le dinamiche sociali, le ingiustizie, i conflitti o le problematiche di ieri e di oggi, ma riuscendo a mantenere una distanza critica, dal momento che la narrazione, travestita da fiaba, assume l’aspetto di un racconto solo apparentemente non contemporaneo.

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Irina Komissarova is a young Moscow-born stage designer who has lived in Lithuania for many years. From 2017 to 2020, she worked with award-winning director Oskaras Koršunovas, founder in 1998 of the Oskara Koršunovo Teatras (OKT) Vilnius and considered the heir to the great pillar of Lithuanian theatre, Eimuntas Nekrošius. She was struck by his scrupulous work on the text and ability to directly extract scenographic elements from it. Thus, having noticed that Koršunovas did not have a permanent set designer while working with the same composers, choreographers, and light artists, she proposed herself for the role.

Koršunovas’ method for creating the scenes, as Komissarova says, is that of a «universal Meccano»: he starts with a first basic element, which he identifies before letting the set designer access the material to enrich it. For the collaborator, this is a real «leap into the void» because, after an initial approach of clarification with the director, they are alone and have the reins of the visual project, all the responsibility for the scene, and must make decisions.

Komissarova collaborated with Koršunovas on Russian Novel (2018) based on the play by Marius Ivaškevičius, one of Lithuania’s leading contemporary playwrights. The play dwells on the story and last months of life of a world famous Russian novelist Lev Tolstoy (1828-1910). In the centre of the play is writer’s wife Sofia Andrejevna, her fate and life upon turning into the wife of a world-class genius. This is also Koršunovas’ first production to include a video projection conceived as a space continue by a set designer. 

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Mettere in scena la tragedie di Pasolini è un’operazione da far tremare i polsi; lo dimostra l’esiguità di regie tratte dal Teatro di Parola in un contesto, come quello del centenario dell’autore ormai alle ultime battute, che ha visto una fioritura di convegni, mostre, iniziative, e anche spettacoli teatrali – tra cui è da ricordare Questo è il tempo in cui aspetto la grazia, biografia poetica di PPP ad opera di Fabio Condemi e Gabriele Portoghese.[1] Se poche e pochi hanno avuto il coraggio di attraversare il corpus pasoliniano lungo questa direttrice, è quindi particolarmente meritorio il programma Come devi immaginarmi / Progetto Pasolini, curato dal direttore di Emilia Romagna Teatro Valter Malosti insieme a Giovanni Agosti, che ha commissionato allestimenti di tutti i testi teatrali di Pasolini, ideati nel 1966 (durante un grave attacco di ulcera): prima di Pilade, in scena dal 16 al 19 febbraio 2023, ha aperto il ciclo il Calderón diretto da Fabio Condemi; seguiranno Bestia da stile diretto da Stanislas Nordey, Orgia di Federica Rosellini e Gabriele Portoghese, Porcile a cura di Michela Lucenti e Balletto Civile insieme alla compagnia Arte e Salute di Nanni Garella, e Affabulazione di Marco Lorenzi. Un parterre di artiste e artisti diversamente ‘giovani’ (in un paese dove la gioventù artistica è una condanna che affligge ben oltre il mezzo del cammin dantesco) alle prese con una forma, la performance dal vivo, in cui la tendenza alla museificazione può avere effetti devastanti, e la contaminazione con il tempo presente è una necessità imprescindibile.

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In occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975), il direttore di ERT Valter Malosti ha ideato insieme a Giovanni Agosti, storico dell’arte e docente presso l’Università Statale di Milano, il progetto intitolato Come devi immaginarmi per la stagione teatrale 2022/2023 con il proposito di sondare come le nuove generazioni riescono ancora ad ‘immaginare’ l’opera di Pasolini. Infatti, il titolo dell’intero progetto è tratto da quella sorta di trattatello pedagogico che è la sezione ‘Gennariello’ delle Lettere luterane, la raccolta di saggi pubblicata postuma nel 1976. L’ambizioso obiettivo del progetto è stimolare un confronto diretto con il teatro di Pasolini, evitando di ricalcare le categorie critiche già stabilite e promuovendo interpretazioni innovative e originali. È la prima volta che in una sola stagione teatrale viene messo in scena l’intero corpus dei sei testi teatrali pasoliniani (grazie all’autorizzazione concessa da Graziella Chiarcossi), scritti tutti, com’è noto, nel giro di pochi mesi nella primavera del 1966 durante la convalescenza per una dolorosa ulcera allo stomaco, sebbene alcuni rielaborati in seguito.

L’aspetto ancora più rilevante di Come devi immaginarmi, tuttavia, è il fatto che le registe e i registi coinvolti, perlopiù giovani, siano stati invitati a rielaborare il teatro di parola pasoliniano attraverso nuove sperimentazioni espressive che consentano di avvicinarlo alla sensibilità contemporanea, ben diversa da quella della platea borghese degli anni Sessanta (qui la programmazione completa). Si tratta di un progetto volto non solo a far conoscere ad un pubblico giovane l’opera teatrale di Pasolini – di ardua ricezione allora come oggi – ma soprattutto a verificare la tenuta della lezione etica della parola pasoliniana attraverso le rielaborazioni proposte da compagnie molto diverse tra loro, che portano sulla scena istanze artistiche assai disomogenee. Si coglie un esplicito intento pedagogico da parte degli ideatori del progetto, proprio sulle orme del Pasolini ‘luterano’ che si rivolge a un ragazzino partenopeo, Gennariello, nella speranza di trasmettergli la stessa viscerale passione con la quale egli ha tentato strenuamente di mantenere viva la forza autentica della tradizione popolare difendendola dall’aggressione dell’omologazione neocapitalista.

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