1. Catania contemporanea tra canone e innovazione
Holding back the years è il tema attorno a cui ruota la V edizione del FIC Festival sotto la direzione artistica di Scenario Pubblico Compagnia Zappalà Danza, centro di rilevante interesse nazionale dal 2022. Lo scopo è quello di divulgare tra la cittadinanza alcuni dei principali pilastri del repertorio coreografico contemporaneo, trasmettendo il valore della conoscenza del passato in un’ottica di valorizzazione del presente.
La spilla da balia scelta come immagine del concept grafico è il segno dell’unione tra il vecchio e il nuovo e del dialogo tra canoni e sperimentazione. Nei centri culturali catanesi coinvolti da Scenario Pubblico nella realizzazione del Festival (Teatro Massimo Bellini, Isola Cultural Hub, Associazione musicale etnea, Fondazione Brodbeck, Palazzo Biscari, Associazione Città Teatro, Fondazione Oelle e Cinema King) ‘esplode’ un focolaio artistico che contamina la danza con musica, teatro, cinema e arti visive.
Ad aprire il Festival è una parata danzante per le strade del centro storico della città ispirata al pezzo di repertorio classico La morte del cigno,[1] nella versione di Anna Pavlova[2] del 1907. L’iniziativa, condotta dal Collettivo SicilyMade (composto da Simona Miraglia, Marta Greco, Amalia Francesca Borsellino e Silvia Oteri) invita artisti e pubblico a guardare al celebre assolo come a un campo di esplorazione di stili.
Dalle parole del direttore artistico durante la conferenza stampa d’apertura emerge come il concetto stesso attorno a cui gravita il Festival è in sé ossimorico e per questo degno di nota. Con repertorio, infatti, ci si riferisce soprattutto alla produzione artistica dei maggiori esponenti del Novecento, ma anche ai protagonisti dell’oggi, sconosciuti ai più. Coinvolgere un pubblico eterogeneo e ‘infettarlo’ di creatività consente di creare reticoli emotivi profondi, stabilire sinergie necessarie alla vita dell’arte.
La danza, così come la musica, ha origini antichissime e nelle sue infinite forme ed evoluzioni nei secoli ha rivestito innanzitutto una funzione sociale ed evocativa, ancor prima che culturale. Durante le rappresentazioni classiche il coro occupava lo spazio della skenè danzando, trasmettendo enfasi e solennità a una formula teatrale già di per sé alta. Il movimento, oggi, nasce come atto istintivo e viscerale e come tale modulabile, gestibile, ma non insegnabile. In un’intervista rilasciata nel 2018 a Radio Zammù, canale ufficiale dell’Università di Catania, il coreografo catanese Zappalà sottolineava già come nella danza (e nella sua in particolare) l’istinto sia elemento indispensabile alla composizione coreografica: ogni lavoro, per quanto non unicamente basato sull’improvvisazione, ha comunque nel genio e nell’impulso creativo il suo fondamento. Danzare, ancor prima che un mestiere, è un atto di ‘esistenza altra’ che sovverte il codice morale, fomentando passioni e animalismo oltre i confini del pudore: «il coreografo si consegna all’oggetto della propria devozione, ovvero al corpo»[3] e ne esplora, così, limiti e possibilità corporee e extracorporee.
Come scrive Elena Cervellati, lo stile contemporaneo, nato nel Novecento e in auge al giorno d’oggi, «diviene un privilegiato laboratorio di elaborazione di un nuovo che si definisce nel contrasto con un passato da alcuni percepito come stretto all’interno di confini tracciati da una visione monolitica e limitante».[4] Ogni danzatore coreografo protagonista del presente mette in campo forme di comunicazione nuove, ereditando la cultura del luogo d’origine e trasferendovi la propria visione attraverso l’arte. Il proposito principale diviene quello della ricerca di senso dietro e nel movimento, allo scopo di rendersi unici e riconoscibili. Ragionare, a tal proposito, sulla genesi del pensiero artistico e su come oggi esso si infiltri nel tessuto socio-politico del territorio di chi vi partecipa è ciò che si cerca di fare in questa breve trattazione. Nell’analizzare il rapporto tra lo spettacolo e i luoghi che lo ospitano e in cui originano, si è scelto di assumere come punto di partenza i lavori di Elena Cervellati per quanto concerne la storia della danza, Margherita De Giorgi[5] in riferimento alla figura di Virgilio Sieni e alla sua poetica, Enzo Cordasco[6] per l’approccio critico sulla teatralità di Khan. Molti dei coreografi presenti al FIC sono intervenuti nella sezione dedicata ai workshop, dando corpo a qualcosa di nuovo costruito sul valore del repertorio già esistente.[7] I laboratori condotti da Maud de la Purification,[8] danzatrice di origine francese, parte della Compagnia Zappalà dal 2011 e di quello della statunitense Joy Alpuerto Ritter,[9] ballerina della compagnia del coreografo Akram Khan,[10] sono prova di come in provenienze e tradizioni differenti sia possibile rintracciare elementi comuni di grande impatto visivo.
2. La re-interpretazione dei canoni
La prima assoluta dell’opera di Roberto Zappalà, La Nona (dal caos, il corpo), va in scena nel 2015 al Teatro Bellini di Catania. Per la prima volta il tempio della lirica catanese ospita un ensemble di danza contemporanea, aprendo le porte all’incontro di generi artistici diversi ma che si rivelano, nella messa in scena, complementari. L’opera, ispirata alla Sinfonia n° 9 di Beethoven – trascritta da Franz Liszt per due pianoforti, interpretata dai pianisti Luca Ballerini e Stefania Cafaro – è un viaggio concettuale e astratto negli abissi dell’umano, nel tentativo di scovarne autenticità e vigore. Tutto nasce dall’urgenza di emancipare il corpo dai giudizi e dalle sovrastrutture che lo attraversano indirizzandolo, così, verso la pace. Descrivendo il MoDem, il linguaggio che lo ha reso riconoscibile, Roberto Zappalà parla di «flusso armonico capace di liberare le giunture nelle articolazioni del corpo […] E questo è davvero un movimento democratico che ammette derive e spiazzamenti, interstizi e spaziature, e favorisce un differente ascolto [..] da parte del danzatore».[11] Se è l’uso vigile e al contempo spregiudicato della materia fisica a divenire strumento di libertà, è nelle sole risorse organiche e inorganiche di cui essa dispone che hanno sede armonia e soddisfacimento. In scena figura in egual modo «un’attenzione non esiziale all’estetica del sacro»[12] e un’energia spaventosamente radicata e terrena: la partitura del capolavoro di Beethoven è base per costruire un rapporto concreto e reale fra pentagramma e corpi in movimento. L’opera di Zappalà è dunque orientata a scovare una spiritualità profana, di cui il corpo è unico tempio e di cui lo spazio scenico è il solo confine. È palese in Zappalà l’intenzione di edificare un microcosmo di dualismi capaci di coesistere pacificamente, prototipo di una società ideale.
È bene comprendere, tuttavia, come non esiste mai un solo stratagemma artistico per descrivere il medesimo concetto. È il caso, ad esempio, di Maud de la Purification, oggi insegnante del linguaggio MoDem, intervenuta durante i lavori del FIC. L’artista rilegge l’opera del suo maestro in un gioco di incontri e collisioni. La coreografa affida parte del lavoro all’improvvisazione dei trenta giovani danzatori coinvolti: ciascun ballerino esegue arbitrariamente blocchi della coreografia originale, acquisendone senso e direzione propria.
Se nello spettacolo originale si osserva come l’esigenza dei danzatori è quella di contatto e uniformità, qui il messaggio di universalismo passa attraverso i contrari: si opta per la scomposizione dello spazio scenico e la divergenza nel movimento, stabilendo attriti e connessioni indirette. Il nero di cui sono avvolte le presenze carnali si oppone al chiaro delle superfici e alla luce che attraverso esse si irradia. Ancora una volta, il corpo è l’unico autocrate riconosciuto, capace di monopolizzare il suono con sospiri gravi e conteggi asettici: il binomio ordine-disordine nella grande questione dell’esistenza torna a riproporsi in modo dissonante.
In Until the Lions[13] di Akram Khan si assiste ad un cambio di scenario tangibile: la danza del coreografo bengalese rinuncia a ogni forma di cerebralismo intrinseco a favore dell’esaltazione della natura selvaggia. L’opera è ispirata al poema epico indiano del Mahabharata, riletto a più voci nell’omonimo romanzo di Karthika Nair.[14]
Until the Lions takes its title and its inspiration from Karthika Naïr’s poetic reimagining of some tales from the Mahabharata, focusing on the women whose narratives peep around the epic’s corners. These are the lions, the hunted whose stories are lost because the hunters write the history. Here, they take the shape of Amba, a betrayed princess, abducted for obscure reasons by Bheeshma, who then will not marry her because he has taken a vow of celibacy. She swears revenge, undergoes suffering that unbalances the universe, then takes her own life in order to emerge as a warrior in male form, ready to kill the man who destroyed her Life.[15]
L’obiettivo di Khan è il medesimo dell’autrice indiana, ovvero quello di riscrivere in arte la grande letteratura del passato: nella coreografia da lui ideata ambientazioni e sonorità guerresche sono, in realtà, spazi virtuali per una coscienza collettiva che travalica generi e etichette. La danza khaniana, resa manifesta al festival da Joy Alpuerto, sposa un trasformismo corrosivo e inebriante, che assoggetta chi ne è preda o vi assiste. I protagonisti del viaggio, interpretati dai danzatori in scena, sono bestie senza volto per cui il gesto indomito è l’unico linguaggio possibile. Come sostiene Enzo Cordasco, il genio del coreografo si rintraccia nella capacità di «rinnovare l’antica tradizione del Kathak, danza classica indiana caratterizzata dalle rotazioni ossessive del corpo, dalle sciabolate della braccia e dalle ipnotiche nenie eseguite dai musicisti, sviluppando una sorta di kathak contemporaneo, costituito da un incessante contrasto e dialogo nei movimenti tra immobilità e velocità, continuità e frattura».[16] Nel ripetersi di un rituale cupo e cavernoso, l’energia mortuaria e vitale si insidia nei legamenti, nelle punte delle dita, provoca la curvatura della schiena, la tensione di braccia e gambe, imponendo una drastica inversione di tendenza. A ulteriore riprova della forza pervasiva emanata sul e dal-palcoscenico, Sarah Crompton in The Guardian si esprime in questi termini:
The intensity of these performances is underlined by every aspect of the piece. Tim Yip (the director) has turned the stage into the cut trunk of a tree that splits and rises as the world slips out of joint. The musicians and singers sit around the space, intervening in the action, providing an emphatic and glorious soundtrack. Michael Hulls’s lighting animates everything in searching shafts of ever-changing white light. The effect is transfixing, an hour that feels infinitely full of riches, an unforgettable roar.[17]
L’incontro-scontro tra Oriente e Occidente connota anche qui elementi di universalismo, codificabili solo attraverso l’ascolto multisensoriale: «l’intenzione di Khan è quella di riflettere sullo status di icona che il mito in qualche modo subisce. Giungendo al parossismo, in un gioco di estremi, il coreografo estrae l’essenza terrena del “mostro” che, reso divino ed “extra-ordinario”, obbligato a rispondere all’istanza della perfezione, diventa per sé stesso mostruoso e disumano».[18] Si tratta, quindi, di un sodalizio tra Natura e Arte che inizia e cessa con la messa in scena, poiché altrove viene erosa dalla consuetudine.
Da quanto detto fin qui, emerge come la performance appaia credibile solo se in grado di comunicare con formule, anche se non eversive, comunque capaci di osservare regole base di trasgressione. Il superamento delle categorie di genere stratificatesi nella società e nella tradizione del balletto classico sin dalla sua nascita è l’assunto che muove la creazione di Gisellə (studio). Prodotto dalla Compagnia Cornelia Performing Arts, fondata da Nyko Piscopo,[19] lo spettacolo rappresenta un progetto in erba che debutterà proprio sul palco di Scenario Pubblico a settembre 2024. Ispirato al caposaldo fondamentale del repertorio della danza mondiale, esso è il risultato di un mix fra l’estetica del balletto classico e lo stile contemporaneo che diverge, tuttavia, da quelle descritte in precedenza. Il coreografo dichiara di non avere interesse a fondare un linguaggio nuovo che lo definisca, in quanto lo considera un limite per la creatività. «Paragono spesso la coreografia all’arte del parlare», dichiara Piscopo, «i passi di cui è fatta una coreografia derivano da particelle più piccole e già esistenti e possono essere interpretate come lettere dell’alfabeto che compongono una parola. Io costruisco in base ad una narrazione, un messaggio, un concetto; il corpo diventa un mezzo per dire delle cose, così come la voce annuncia i pensieri, il corpo dichiara qualcosa. Credo sia l’esperienza, per il ballerino, la via per raggiungere una propria cifra stilistica».[20]
L’opera del 1841, che racconta l’amore tormentato tra la pura Giselle e il bell’Albert ostacolato dal geloso Hilarion, è una storia di accettazione e perdono sempre attuale che necessita oggi di bilanciamento: Piscopo usa le tecniche già conosciute del partnering e dell’off-balance per creare un’umanità palpabile ex novo: «trovo riduttivo oggi parlare di uomo che solleva una donna» dice lui, sostenendo il principio di equità dentro e fuori i confini del palcoscenico. La scelta musicale è fatta ad hoc per realizzare un quadro narrativo multimediale, nel quale corpo e suono si parlano all’unisono; la mescolanza di alcuni moduli classici del librettista del balletto originale Adolphe-Charles-Adam,[21] canto popolare napoletano e altri input sperimentali, permette ai danzatori di mantenere il focus sui passi curandone la qualità e allo stesso tempo essere liberamente investiti dall’energia prodotta. La Tamurriata nera,[22] dalle cui sonorità si attinge, è la canzone simbolo della tradizione partenopea; forte, verace, è parte integrante della tradizione locale, prova del vecchio che continua a permeare il nuovo. È legittimo forse chiedersi come si concili una scelta musicale simile con un’operazione incentrata al superamento dei retaggi del passato, in senso sociale e comportamentale, puntando a una prospettiva di fluidità di genere tramite codici d’avanguardia. La risposta è probabilmente rintracciabile nel voluto gioco di contraddizioni che il Festival nella sua interezza mette in atto, costringendo il pubblico in sala a una lettura intertestuale e ad un ascolto oltre la logica.
3. L’orizzonte visuale del corpo: culti a confronto
Come è evidente la dimensione della corporeità può essere sondata in molti modi, assumendo in ogni produzione un valore di contesto differente. Nel momento in cui più orizzonti culturali e umanistici entrano in gioco, come nel caso degli spettacoli Solo Goldeberg Variations e Bastard Sunday, è bene comprendere perché il danzatore-coreografo scelga di ‘arrendersi’ all’arte a cui si ispira e come ne rielabora la sintassi. Nel caso di Virgilio Sieni e Enzo Cosimi la sfera del sacro viene affrontata nei suoi aspetti più antitetici: il primo, puro e risanante, il secondo dannato e persecutorio.
Virgilio Sieni[23] nasce a Firenze, culla della pittura rinascimentale italiana, per la quale matura attaccamento e ammirazione. Il dipinto, prodotto di religiosità e al contempo di ingegno umano, è il bacino da cui attinge per spingere la conoscenza oltre il limes: cogliere l’esistente invisibile e acquisirlo attraverso il corpo. Solo Golberg Variations[24] è un susseguirsi di trenta quadri scenici condotti a solo da Virgilio Sieni stesso, in cui il coreografo esplora la natura del gesto, chiave della sua poetica: il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca[25] apre lo spettacolo e rappresenta senza dubbio l’antinomia più interessante. Anna Maria Maetzke[26] ne parla, ritenendolo quanto di più moderno prodotto in quegli anni per uso della tecnica impiegata e potenza del messaggio trasmesso: «si rappresenta qui l’evento fondamentale della storia della redenzione dell’uomo: col battesimo l’umanità può essere purificata dal peccato originale e liberata dalle sue conseguenze».[27] Nonostante sia più semplice cavalcare l’onda del legame col nuovo, Sieni dà vita a un racconto in danza dalle punte anacronistiche: il coreografo si muove nello spazio con movimenti piccoli, dinamici che ricercano la tattilità; nell’intercapedine che si apre tra l’abitudinarietà del gesto e la mossa virtuosistica si individua il valore inedito. La giuntura delle mani di Cristo nell’atto di ricevere il battesimo, riproposta in scena, rappresenta la spiritualità sepolta ma necessaria alla salvezza dei popoli. I ritmi melliflui e ipnotici delle Variazioni Golberg di Bach[28] nascono dalla stessa intenzione del danzatore fiorentino: protezione e esaltazione del bello. Se per Bach sono note e spartiti ad essere curati e adattati, Sieni abbraccia il corpo, il proprio e quello dei partecipanti coinvolti, guidandoli verso la genuinità primordiale: «un metodo di trasmissione è una rispettosa manipolazione dell’altro che serve a scoprire connessioni e possibilità anche estreme»;[29] il tutto avviene in un’ottica di trascendenza e alterità che valica il confine del reale.
Del resto le creazioni di Sieni da sempre sono alimentate da un lavoro a stretto contatto con i ‘cittadini’, i non professionisti. La potenza dirompente emanata da quei due corpi in simbiosi sgretola ogni resistenza della platea, totalmente rapita dalla carica emozionale scaturita dai danzatori.[30]
L’azione di Sieni è probabilmente mossa da una condizione di insoddisfazione dei criteri relazionali che si creano tra gli individui, abituati a parlare solo la loro lingua, e dal bisogno di condurre un’indagine filologica dei sotto-testi durante, prima e dopo il processo creativo. Già Vito Di Bernardi in Ossatura: Mimmo Cuticchio e Virgilio Sieni, marionette e danze in nudità,[31] nel fare riferimento alla relazione organica tra manovratore, marionetta e danzatore, sottolinea l’attenzione del coreografo verso «la meccanica e la vitalità neutra»[32] e la ricerca dell’umano e dell’animato nell’inanimato. Nello spazio creato dal movimento, la declinazione del corpo è modulata, resa divergente dall’ordinario e in tal senso trasformata in bellezza. Virgilio Sieni «è colui che sa spronare l’occhio che guarda e l’orecchio che sente a quelle dimensioni che non sono del senso comune, che non sono del tempo corrente. Egli sa muovere sé stesso e lo spazio intorno ad esso con quella movenza antica che era di coloro che guardavano oltre, che sentivano oltre lo scibile umano».[33] In Variazioni Golberg, la scenografia è spoglia, il buio è in sé la luce di una resurrezione laica a cui ogni essere umano può ambire se debitamente guidato in un cammino di rinascita.
Se la religiosità realizzata da Sieni è un credo che rispetta, fortifica e mai distrugge, l’opera di stampo pasoliniano di Enzo Cosimi[34] inscrive corpi e simboli sacri in un quadro di corruzione feroce e perversa. In Bastard Sunday due performer (Alice Raffaeli e Luca della Corte) tagliano lo spazio provocando una ‘ferita’ statica e silente, che si alimenta dallo stesso pozzo di cui si nutre l’omertà. Se è evidente la denuncia al capitalismo e al controllo che esso esercita nella relazione mercato-consumatore, lo spettacolo richiama un orizzonte visuale pasoliniano che affronta e al contempo supera questa categoria. Riferendosi a Salò o le 120 giornate di Sodoma, film-scandalo del 1975, Giulia Bocciero[35] parla più in generale di consacrazione alla «society of desire»[36] in cui piacere e punizione legati alla carne si realizzano in egual modo. Nel lungometraggio, il fascismo (più precisamente la Repubblica di Salò 1943-1945, periodo storico in cui si svolgono i fatti) è espressione di un totalitarismo che castiga i dissidenti attraverso pene infernali; corpo e genitali sono le regioni politiche contro cui si esercita sesso e violenza spregiudicata. Le sevizie vengono compiute da quattro rappresentanti dei poteri della Repubblica Sociale Italiana e da altrettante ex meretrici di bordello[37] in una villa di campagna corredata da quadri d’arte antica e contemporanea: essi sottolineano il doppio volto dell’umano, capace di imprese eterne e celestiali e, al contempo, di orrende nefandezze.
La nudità, protagonista dell’opera di Cosimi è tutt’oggi questione ampia e controversa, posta al centro delle ‘dittature del corpo’ del terzo millennio, mercificazione, abuso, misoginia, sessismo, violenza di genere; in scena il maschile e il femminile si attraggono ma si respingono al contempo, consci di una cornice sociale degenerata che non permette loro di coesistere. Ancora una volta è attraverso il movimento, contrito e sensuale, che la performance attraversa luoghi oscuri, necessari a sottolineare concetti forti e inequivocabili: «per me la pratica sadomasochistica è principalmente un emblema del potere. Indago da anni il sesso, in una certa maniera ho sempre lavorato sulla sessualità, interpretandola anche come segno del contemporaneo».[38]
Sergio Lo Gatto in occasione della prima assoluta di Glitter in my tears[39] (opera gemella a Bastard Sunday per immaginario trattato) aveva già evidenziato alcuni tratti distintivi della ricerca di Enzo Cosimi: «il tocco si dimostra ancora una volta intelligente e complesso, nel creare un montaggio architettonico tra corpo e parola, attivato però da una sorta di fredda camera di controllo».[40] Il sadomasochismo è la cornice drammaturgica che eleva la politica contro il cittadino, l’abuso contro l’impotenza. L’opera di Enzo Cosimi è uno spaccato orizzontale, che stabilisce un legame diretto tra presente e passato storico osservando nell’arte il potere di rivalsa.
4. L’arte come veicolo emotivo e senso del sé: qual è il futuro?
Al FIC Festival va senz’altro il merito di aver aperto dei fronti di conoscenza inediti non solo su diverse culture artistiche, ma anche sul modo di raccontarle: valorizzare l’innovazione attraverso la dialettica del corpo, tracciare la possibilità di indurre cambiamenti in un’ottica di coesione e fratellanza ne ha rappresentato il centro d’azione. Ma perché oggi si è ancora portati a produrre arte? A che serve? Esiste ancora margine per una vera sperimentazione che non emuli la precedente o c’è solo il rischio di una iperproduzione retorica e ripetitiva? Porsi domande simili oggi è d’obbligo e non solo per esercizio intellettuale o progresso sociale, ma per via della capacità della creazione di rendersi veicolo dell’espressione emotiva:
I processi mentali dell’artista ci arricchiscono nel continuo lavoro di rimaneggiamento del senso di sé e del mondo che ciascuno di noi, più o meno consapevolmente, fa nel proprio percorso esistenziale. L’osservazione diretta dell’opera ci porta a cogliere le tracce del tempo, la permanenza di qualcosa che resiste al suo fluire, la fatica di chi l’ha eseguita o di chi la rappresenta. Ci spinge a uscire dai nostri soliti spazi, a essere in un luogo altro con gente altra, a tenere vivo il senso di appartenenza e di condivisione. Riusciamo a sentirci vicini all’artista e a chi, come noi, gode dell’esperienza estetica.[41]
Addentrarsi nell’universo cognitivo e sensoriale che la performance mobile o immobile, con o senza la presenza fisica in scena di colui che ne è autore, esprime, è un’operazione tanto complessa quanto interessante nel momento in cui colui che vi assiste è costretto a rinunciare a categorie mentali esistenti per accogliere diversità e a progresso. L’esperienza artistica (prodotta e fruita) è un’alleanza tacita, i cui termini sono mutabili, spesso scandalosi, in continuo divenire. Scegliere di aderirvi, implica accettarne i nodi, increspature e margini incogniti che solo ricerca e scoperta del senso possono sciogliere e appianare.
1 La morte del cigno (originariamente Il cigno) è un assolo coreografico di Michel Fokine su un brano musicale di Camille Saint-Saëns, Il cigno da Il carnevale degli animali; il balletto viene composto nel 1901 appositamente per Anna Pavlova e messo in scena per la prima volta nel 1907 a San Pietroburgo. Da allora questa coreografia influenza le moderne interpretazioni di Odette ne Il lago dei cigni di Cajkovskij e ispira varie interpretazioni, anche non fedeli alla trama originale, come variazioni del finale trasformato in lieto tragico.
2 Anna Matveevna Pavlova (San Pietroburgo, 12 febbraio 1881–L’Aia 23 gennaio 1931) è stata una ballerina russa, tra le più famose degli inizi del XX secolo. Diventata celebre per la sua grande leggerezza e la grazia delle sue interpretazioni, la sua fama è principalmente legata al celebre assolo La morte del cigno, ivi.
3 R. Zappalà, Omnia Corpora, Catania, Malcor D’ Edizione, 2016, p. 41.
4 E. Cervellati, Storia della danza, Torino, Pearson Italia, 2020, p. 111.
5 Margherita De Giorgi è autrice, tra l’altro, di Presenze competenti. Approcci somatici al gesto e dispositivi partecipative nelle creazioni di Frédéric Gies e di Virgilio Sieni, pubblicato nella rivista dell’Università di Bologna, Antropologia e teatro nel 2010.
6 Enzo Cordasco è autore di una trilogia che affronta i nuovi linguaggi coreografici raccontando la danza contemporanea di questi due decenni del nuovo millennio. L’ultimo volume della trilogia Corpi contemporanei. La danza e le danze di questi anni è stato pubblicato da Era Nuova nel 2022.
7 V edizione FIC Festival, Catania, 2024, <https://www.scenariopubblico.com/events/categoria/fic-v-edizione/>.
8 Maud de la Purification, nasce nel 1983 in Francia. Dopo il periodo di formazione alla Scuola Nazionale di Marsiglia e al Conservatorio Nazionale di Tolosa, lavora con il Ballet National de Marseille e con il Ballet du Capitole di Tolosa. Tra il 2006 e il 2009 lavora in Olanda, negli Stati Uniti e in Germania. Nel 2011 inizia la sua collaborazione con la Compagnia Zappalà Danza come danzatrice professionista. È attualmente insegnante del linguaggio MoDem.
9 Joy Alpuerto Ritter nasce nel 1982 a Los Angeles. Si trasferisce in Germania all’età di quattro anni e qui inizia a studiare danza. È nota per la sua capacità di adattamento a diversi stili dal classico, al folk, al contemporaneo, all’urban style. Partecipa a diverse tour mondiali in compagnie di fama internazionale, come quelle di Akram Khan, Wangramirez, Christoph Winkler, Heike Henning e Cirque du Soleil.
10 Akram Khan nasce nel 1974 a Londra. È attualmente un punto di riferimento per la danza contemporanea mondiale. Fonda la sua compagnia nel 2020 e per il suo calibro artistico, tra il 2000 e il 2011, gli vengono assegnati ben 13 premi, tra i quali il Lorence Olivier Award per la miglior produzione, per l’opera Zero Degrees. Si è esibito in occasione della cerimonia di apertura dei giochi olimpici di Londra nel 2012.
11 R. Zappalà, Omnia Corpora, p. 78.
12 N. Arrigoni, ‘La Nona-coreografia e regia di Roberto Zappalà’, Sipario, 2016 <https://www.sipario.it/recensionidanzal/item/9835-la-nona-coreografia-e-regia-roberto-zappala.html> [accessed 04.06.2024].
13 L’opera debutta a Londra l’11 gennaio 2011.
14 Karthika Nair nasce nel 1972 in Kerala. Grazie a una borsa di studio, ha la possibilità di studiare in Francia dove coltiva il suo interesse artistico. Pubblica sia poesia che prosa e scrive sceneggiature per produzioni di danza. La stesura di Until the Lions: Echoes from Mahabharata richiede cinque anni di lavoro, di cui i primi sono impiegati solo per lo studio e l’analisi del poema epico a cui si ispira il lavoro.
15 S. Crompton, ‘Until the Lions review-Akram Khan’s modern masterpiece’, The Guardian, 2019 <https://www.theguardian.com/stage/2019/jan/20/until-the-lions-akram-khan-review-roundhouse-modern-masterpiece> [accessed 04/06/2024].
16 E. Cordasco, Corpi Contemporanei, Perugia, Edizioni Era Nuova, 2022, p. 66.
17 S. Crompton, ‘Until the Lions review - Akram Khan’s modern masterpiece’, The Guardian, 2019 <https://www.theguardian.com/stage/ng-interactive/2016/nov/18/tim-yip-designs-crouching-tiger-hidden-dragon-giselle> [accessed 04.06.2024].
18 E. Cordasco, Corpi Contemporanei, pp. 66-67.
19 Nyko Piscopo è un ballerino di formazione classica e grande appassionato di arti dello spettacolo. Nel 2019 fonda la compagnia di danza Cornelia Performing Arts: essa si contraddistingue per particolare estetica tra il balletto e la danza contemporanea, con una forte impronta teatrale e sociale.
20 Intervista rilasciata in occasione del FIC Festival all’autrice di questo saggio, nel maggio 2024.
21 Adolphe-Charles Adam, è stato un compositore e critico musicale francese. Autore talentuoso e prolifico di composizioni per l’opera e il balletto è famoso soprattutto per i balletti Giselle (1844) e Le Corsaire (1856), destinati a divenire caposaldi del repertorio della danza mondiale.
22 La Tammuriata nera è una canzone napoletana scritta nel 1944 da E.A. Mario, pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta (musica) ed Edoardo Nicolardi (testo) che racconta la storia di una donna che mette al mondo un bimbo di colore, concepito da un soldato durante l’occupazione americana.
23 Virgilio Sieni è un coreografo e ballerino italiano. Terminati gli studi artistici e di architettura, intraprende lo studio della danza con Antonietta Daviso e moderna con Traut Faggioni. Studia e si perfeziona tra l’Olanda e il Giappone dove approfondisce il movimento artistico dello Shintaido che nelle sue performance unisce arti marziali, danza e utilizzo della voce. Trascorre anche un periodo negli Stati Uniti dove ha modo di frequentare Merce Cunningham, uno dei padri della danza moderna e contemporanea del Novecento. Gode oggi di fama internazionale grazie al suo peculiare stile coreografico incentrato sulla natura del gesto e il superamento del limite.
24 Solo Golberg Variations è il manifesto dell’arte coreografica di Virgilio Sieni, spettacolo emblema delle sue ricerche sui linguaggi del corpo e della danza, in continua relazione con la pittura italiana, dal 1300 al 1600. La musica di Bach scandisce una metrica immateriale sulla quale il movimento viene costruito e reso unico.
25 Il Battesimo del Cristo è un dipinto a tempera su tavola di Piero della Francesca di datazione incerta (1440-1450), conservato alla National Gallery di Londra. Oggi è considerato uno dei principali capolavori dell’artista, per uso di colori e tecniche impiegate, nonché per il carattere universale del messaggio trasmesso.
26 Anna Maria Maetzke è stata una nota e influente storica dell’arte, di cui a marzo 2024 ricorrono i vent’anni dalla morte. Si dedicò per tutta la vita, mettendo a servizio passione e competenza al recupero, salvaguardia e valorizzazione dei beni culturali del territorio aretino.
27 A.M. Maetzke, Piero della Francesca L’opera, Milano, Silvana Editoriale, 2013, p. 24.
28 Le Variazioni Goldberg sono un’opera per clavicembalo consistente in un’aria con trenta variazioni, composte dal musicista e compositore tedesco Johann Sebastian Bach fra il 1741 e il 1745. Sono dedicate a Johann Gottlieg Goldberg, a quel tempo in servizio a Dresda come maestro di cappella presso il conte von Brühl. Per il grande valore strutturale, irraggiungibile tecnica compositiva e carica espressiva ed emotiva, è oggi considerato uno dei più grandi monumenti della musica classica.
29 M. De Giorgi, ‘Presenze competenti. Approcci somatici al gesto e dispositivi partecipativi nelle creazioni di Frédéric Gies e di Virgilio Sieni’, Antropologia e teatro, 7, 2016, pp. 193-195 <https://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/6266> [accessed 04.06.2024].
30 C. Piotti, ‘Solo Golberg Variations-Virgilio Sieni’, Stratagemmi, Prospettive teatrali, 11 settembre 2019 <https://www.stratagemmi.it/solo-goldberg-variations-virgilio-sieni/> [accessed 04/06/2024].
31 V. Di Bernardi, Ossatura. Mimmo Cuticchio e Virgilio Sieni: marionette e danza in Nudità, Roma, Bulzoni, 2019.
32 V. Raciti, ‘Ossatura e anima della marionetta, Sieni e Cuticchio’, teatroecritica, 5 aprile 2020 <https://www.teatroecritica.net/2020/04/ossatura-e-anima-della-marionetta-sieni-e-cuticchio/> [accessed 04/06/2024].
33 M. Rinaldi, ‘Festival so Far Close- Solo Golberg Variations, di e con Virgilio Sieni ed Andrea Rebaudengo’, Sipario, 1° ottobre 2020 <https://www.sipario.it/recensioni/rassegna-festival/item/13434-matera-festival-so-far-so-close-2020-solo-goldberg-variations-di-e-con-virgilio-sieni-ed-andrea-rebaudengo-marco-ranaldi.html> [accessed 04.06.2024].
34 Enzo Cosimi inizia gli studi di danza classica e moderna nella sua città natale per poi perfezionarsi al Centro Mudra creato da Maurice Béjart a Bruxelles e successivamente a New York, presso il Merce Cunningham Dance Studio.Torna in Italia all’inizio degli anni Ottanta e si afferma subito con una prima creazione Calore (1982) che lo proietta ai vertici della giovane danza italiana e, in seguito, crea una sua compagnia Occhèsc. È oggi uno dei maggiori esponenti del filone del post-modernismo e la sua cifra stilistica è sempre orientata a opposizione e denuncia.
35 Giulia Bocciero è una perfomer teatrale professionista, diplomata in canto moderno con diverse esperienze di band come cantate e corista. È fondatrice della compagnia teatrale della Nouvelle Plague e lavora come formatrice per il Centro Teatrale Universitario di Urbino. È laureata in Lingue e letterature straniere (Francese e Inglese) e Filosofia della Comunicazione e autrice del saggio Merce Nuda: il corpo in Salò o le 120 giornate di Sodoma, preso in considerazione come una delle basi teoriche per questa dissertazione.
36 G. Bocciero, ‘Merce Nuda: il corpo in Salò o le 120 giornate di Sodoma’, open source, www.academia.edu, 2015 <https://www.academia.edu/42319871/Merce_nuda_il_corpo_in_Salò_o_le_120_giornate_di_Sodoma> [accessed 04.06.2024].
37 In Salò o le 120 giornate di Sodoma, i quattro poteri rappresentati sono: il Duca (potere di casta); il Vescovo (potere ecclesiastico); il Presidente della Corte d’Appello (potere giudiziario) e il Presidente della Banca Centrale (potere economico).
38 A. Iachino, ‘Sadomasochismo tragico, intervista a Enzo Cosimi’, teatroecritica, 8 maggio 2019, <https://www.teatroecritica.net/2019/05/sadomasochismo-tragico-intervista-a-enzo-cosimi/> [accessed 04.06.2024].
39 Glitter in my tears-Agamennone rappresenta il primo capitolo del progetto Orestea, trilogia della vendetta. Il lavoro non costruisce narrazioni ma racconti astratti dove l’eroe si muove in un paesaggio sospeso in cui si consuma un’esperienza percettiva di corpi.
40 S. Lo Gatto, ‘Sesso e potere. Glitter in my tears di Enzo Cosimi’, teatroecritica, 24 maggio 2019 <https://www.teatroecritica.net/2019/05/sesso-e-potere-glitter-in-my-tears-di-enzo-cosimi/> [accessed 04.06.2024].
41 M. Conte, ‘Come l’arte può influenzare la psiche: la psicologia dell’arte’, Ipsico, 6 giugno 2023 <https://www.ipsico.it/news/come-larte-puo-influenzare-la-psiche-la-psicologia-dellarte/> [accessed 04.06.2024].