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Il contributo dà conto delle questioni tematiche e metodologiche emerse nel corso del Convegno Portrait du marionnettiste en Auteur tenutosi nell’ambito del progetto Puppetplays all’Università di Montpellier nel maggio 2023. Prendendo spunto da alcuni tra i numerosi interventi presentati, si cerca di mettere a fuoco momenti condivisi con il teatro tout court e motivi che connotano i generi delle ‘Figure’ in modo peculiare e specifico. In particolare ci si concentra sulle accezioni di ‘testo’ e di ‘autore’ e sul motivo dell’intertestualità che deriva dalla caratteristica fluida e molteplice del testo spettacolare. Motivi centrali della scrittura per marionette appaiono: il contesto di implicazioni che derivano dal rapporto dell’animatore con la materia; la funzione del ‘non-detto’ in tali drammaturgie; il rapporto tra testo visibile (udibile) e sue stratificazioni percepibili al di sotto e tra le parole.

This paper gives an account of the thematic and methodological issues that emerged during the conference Portrait du marionnettiste en Auteur held as part of the Puppetplays project at the University of Montpellier in May 2023. Drawing on some of the many contributions presented, an attempt is made to focus on aspects shared with theatre tout court and patterns that connote the genres of 'Figures' in a peculiar and specific way. In particular, we focus on the meanings of 'text' and 'author' and on the motif of intertextuality that derives from the fluid and multiple features of the performance text. Key motifs of writing for puppetry appear to be the context of implications arising from the animator's relationship to the material; the function of the 'unspoken' in such dramaturgies; the relationship between visible (audible) text and its perceptible layers beneath and between words.

* Le citazioni tra virgolette, senza rinvio di nota, si intendono riferite agli interventi del convegno, disponibili online: 

https://puppetplays.www.univ-montp3.fr/fr/actualit%C3%A9s/colloque-puppetplays-portrait-du-marionnettiste-en-auteur.

 

Di che cosa parliamo quando parliamo di testo, a teatro? Chi è l’Autore di un testo che vive pienamente solo nella dimensione della scena e di fronte agli spettatori? E che cosa studiamo quando pretendiamo di studiare un testo inafferrabile per costituzione, che si rimette in discussione ad ogni rappresentazione perché sempre in gioco dinamico e dialettico nelle relazioni con gli altri elementi scenici? E ancora, quali e quante accezioni di ‘Drammaturgia’, e quindi di Dramaturg, possibili oggi?

Sono questioni basilari che conosce bene chi si occupa di performatività, teatro e spettacolo.[1] Questioni sostanziali che, come spesso accade, i teatri di figure sbalzano con maggior ‘profondità’ e rilievo. L’occasione per metterle a fuoco nella loro complessità è data dal progetto Puppetplays, che grazie ad un finanziamento ERC (e ad una appassionata ed efficiente équipe), si è proposto di repertoriare testi per marionette (nell’accezione francese dell’espressione Marionnette, ossia comprensiva di tutti i generi assimilabili ai teatri di figure), offrendoli alla consultazione on line entro una solida cornice storico-critica. Ovvero la costituzione di un archivio digitale di testi, strutturato come una banca dati ad accesso libero, ospitata da una piattaforma[2] articolata. Come si legge nella presentazione del progetto, si tratta di «studiare e rendere accessibile ad un vasto pubblico un’ampia selezione di testi per marionette prodotti nell’Europa occidentale», in un’estensione cronologica dal XVII al XXI secolo; 2000 i titoli, dei quali diverse centinaia in versione digitale, oltre ad una serie di pubblicazioni, dossiers e percorsi tematici, strumenti didattici, dizionario degli autori, glossario. Ad oggi sono stati inseriti 600 testi teatrali, che è possibile ‘attraversare’ seguendo percorsi di ricerca diversificati, sfruttando le preziose relazioni segnalate dal gruppo di ricerca in fase di inserimento.

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L’approfondimento della poetica di Mario Ricci (1932-2010), porta l’attenzione sugli anni di formazione e delle prime creazioni, che coincidono con il decennio indagato dal presente dossier, gli anni Sessanta. Gli spostamenti geografici del giovane Ricci segnano il punto di avvio del contributo: la Parigi della fine degli anni Cinquanta, dove non è ancora emerso il suo interesse teatrale ma dove riceve stimoli creativi di grande portata; il decisivo viaggio a Stoccolma e l’‘apprendistato’ presso il maestro marionettista Michael Meschke; il rientro (1962) nella Roma effervescente di inizio anni Sessanta. L’orizzonte di riferimento è dunque quello di un contesto di formazione che non prescinde dal paesaggio europeo. Questi episodi biografici segnano in qualche modo anche la seconda coordinata del saggio: il gravitare dell’opera di Ricci, in particolare ai suoi esordi, intorno all’universo delle Figure (nella declinazione della ricerca sui nuovi linguaggi) e contemporaneamente intorno alla dimensione luministica. Centrali quindi i motivi della ‘presenza scenica’ alternativa all’attore in carne e ossa (oggetti, materiali) e la loro ‘attivazione’ (animazione) grazie alla luce. Da tutto il percorso emerge l’importanza fondamentale della collaborazione di Ricci con gli artisti visivi. A partire dal lavoro da noi svolto nell’ambito del progetto Nuovo Teatro Made in Italy 1963-2013 (Bulzoni, 2015) e dai Focus su Illuminazione e Moby Dick realizzati per il portale «Sciami», si è cercato di ricostruire il clima creativo che influenza le prime opere di Ricci, lasciando emergere i procedimenti che rimarranno coordinate imprescindibili lungo tutto il percorso dell’artista (in particolare il principio del collage, la sua ‘variante’ nel montaggio, la ‘tecnica’ e i materiali come portatori di drammaturgia). A differenza che nei contributi sopra citati, basati in larga misura sulla bibliografia esistente in merito, ci si è qui appoggiati in modo determinante ai documenti conservati nell’Archivio Mario Ricci, curato dal figlio dell’artista Filippo Ricci (http://marioricci.net).

The essay on the poetics of Mario Ricci (1932-2010) focuses on his formative years and his first creations, which coincide with the decade investigated by this dossier, the 1960s. The travels of the young Ricci mark the starting point of the contribution: Paris at the end of the 1950s, where his interest in theatre had not yet emerged but where he received far-reaching creative impulsions; the decisive trip to Stockholm and the ‘apprenticeship’ with master puppeteer Michael Meschke; the return (1962) to the effervescent Rome of the early 1960s. The horizon is therefore that of a context that does not disregard the European landscape. These biographical episodes also mark in some way the second coordinate of the essay: the gravitating of Ricci’s work, particularly in his early years, around the universe of Puppetry (in the declination of the research about new languages) and at the same time around the dimension of ‘lighting’. One of the main topics is that of a ‘presence’ alternative to the actor (objects, materials) and its animation thanks to light. In this context, Ricci’s collaboration with visual artists is fundamental. Starting from the work we carried out within the project Nuovo Teatro Made in Italy 1963-2013 (Bulzoni, 2015) and from the Focus on Illuminazione and Moby Dick made for the portal «Sciami», we tried to reconstruct the creative climate influencing Ricci’s first works, letting emerge the procedures that will remain essential coordinates throughout the artist’s life (in particular the principle of collage, the montage, the ‘technique’ and the materials as elements of the dramaturgy). Unlike the above-mentioned contributions, which were largely based on the existing literature on the subject, here we have relied heavily on the documents kept in the Archivio Mario Ricci, curated by the artist’s son Filippo Ricci (http://marioricci.net).

 

1. Esordi. Viaggi e folgorazioni. La marionetta

Così Michael Meschke ricordando Mario Ricci.

Seguiamo una traiettoria eccentrica per avviare questo cammino di riflessioni intorno all’opera dell’artista romano, con l’intenzione di mettere in evidenza la spinta verso il confronto con ciò che accade Oltralpe e l’interesse per pratiche teatrali che attingono dalle altre arti, in particolare quelle figurative.

Continua il grande marionettista svedese:

Mario Ricci è a Varsavia nel giugno 1962 come membro della compagnia durante una tournée al Teatro Lalka. Lo conferma il programma del Festival.[2] Recita come attore il ruolo di un marionettista ambulante tormentato da angeli e diavoli mentre tenta invano di presentare il dramma Orlando furioso

Nel 1962 la compagnia allestisce anche il Principe di Homburg di Kleist.

«Mario era membro della compagnia a tutti gli effetti in questa sua sfida più importante: perché le maestose marionette ‘ad aste’ erano difficili da manipolare, ultra-leggere, grandi, con bastoni di alluminio, in una messa in scena molto impegnativa». 

La testimonianza di Meschke esprime anche una nota di rimpianto per non aver seguito poi l’attività dell’artista.

Lo stesso Ricci lascerà trapelare una certa amarezza per il mancato riconoscimento del suo lavoro, per esempio nella Relazione per il XIV Festival di Parma (1966).[3]

Il confronto con le presenze meccaniche e artificiali[4] appare come una via scarsamente percorsa dalla ricerca italiana di quegli anni, ponendo il lavoro di Ricci in una posizione del tutto singolare. Non vogliamo insinuare che l’esordio con le figure comprometta la sua carriera (dopo un decennio di frequentazione di questi linguaggi i riconoscimenti ci furono, seppure più all’estero), ma potrebbe essere che l’adozione di questi codici così fraintesi e per i quali sono necessari apertura di sguardo e lenti critiche complesse, abbia almeno parzialmente a che fare con il posto che la critica e la storiografia hanno riservato al nostro artista. A una valutazione d’insieme si può forse ipotizzare che la ricerca e la critica (così intrecciate all’epoca) non abbiano incoraggiato due ambiti non al centro del dibattito: quello delle ‘figure’, con la relativa messa in discussione della presenza dell’attore, e quello della sperimentazione sulle potenzialità della luce come drammaturgia, che è l’altro ‘fuoco’ dell’interesse di Ricci. Una linea, quella luministica, che in quegli anni riceve grande attenzione dall’ambito delle arti visive; si pensi alle sperimentazioni di Umberto Bignardi, che con Ricci collabora, ma anche alle opere di Fontana, Munari, Lo Savio, Nannucci…[5]

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  • Il corpo plurale di Pinocchio. Metamorfosi di un burattino →

 Zaches Teatro, compagnia toscana attiva dal 2007 che prende il nome da un racconto di E.T.A. Hoffmann del 1819 (Klein Zaches, genannt Zinnober), ha codificato la sua cifra stilistica lavorando con le maschere, le marionette e altri generi di figure che sin dall’inizio hanno trovato spazio e impiego nelle sue produzioni (One reel, 2006; Faustus Faustus, 2009), ed è a oggi una delle compagnie (ricordiamo anche Riserva Canini e Teatrino Giullare) che più ha sperimentato, in Italia, il teatro di figura, o meglio ‘delle figure’, in tutti i suoi aspetti.

Il teatro russo e i suoi maestri sono stati modello e fonte d’ispirazione per i membri della compagnia. Prima quello fisico dei russi Derevo (compagnia fondata nel 1992 e tuttora diretta da Anton Adasinskij), caratterizzato da un mix di teatro e danza, di pantomima e butho, di performance e arte povera, di clownerie e folclore, che oscilla sempre tra grottesco e visionario; poi quello di Nicolaj Karpov, grande maestro della biomeccanica teatrale. Su questa scia, il lavoro di Zaches, come si legge nella presentazione del gruppo, è «spinto a indagare il connubio tra differenti linguaggi artistici: la danza contemporanea, l’uso della maschera, la sperimentazione vocale, il rapporto tra movimenti plastici e musica/suono elettronico dal vivo». La compagnia risulta pertanto compatta e trasversale allo stesso tempo: ne fanno parte Luana Gramegna (coreografa e regista), Francesco Givone (scenografo, costruttore di maschere e light designer), Stefano Ciardi (compositore, musicista e sound designer) e Enrica Zampetti (dramaturg e interprete).

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Troppo spesso considerato folclorico e puerile, il teatro di figura è frequentemente sminuito da discorsi stereotipati e banalizzazioni, quasi si trattasse di una sottocategoria teatrale ontologicamente meno dignitosa rispetto al teatro di attore. Il pubblico non specializzato si radica nella convinzione che, per le sue innegabili origini popolari, il teatro di figura debba necessariamente offrire spettacoli semplici e dalla trama scontata, o perlomeno afferenti al solo teatro ragazzi. Ne deriva una distinzione fra teatro di figura per adulti e per bambini non sempre dai contorni chiari e definiti, il cui rischio è dare adito a fraintendimenti e racchiudere gli spettacoli entro griglie concettuali troppo rigide. Nell’immaginario comune, inoltre, si associa il teatro di figura ai burattini e alle marionette, dimenticando altre tecniche di grande effetto quali il teatro d’oggetti e di ombre, il teatro nero, il ventriloquismo e il bunraku, che possono anche confluire nel medesimo spettacolo secondo combinazioni molteplici. Al teatro di figura contemporaneo dev’essere riconosciuto il merito di aver fatto approdare burattini, marionette e pupazzi entro uno spazio diverso da quello delle baracche e dei teatrini – che pur continuano a esistere –, implicando una rottura della finzione e dei piani narrativi. Animatore e manufatto convivono sulla scena, sperimentando approcci inediti con lo spettatore (bambino e adulto), grazie alla ricerca di nuovi linguaggi, estetiche e grammatiche che investono prevalentemente l’architettura del racconto, l’uso delle luci, le potenzialità allusive ed evocative degli oggetti, il rapporto fra spazio e movimento. Nella storia del teatro di figura italiano questa rivoluzione ha avuto avvio soprattutto tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, prima con la Compagnia dei Burattini di Torino fondata da Giovanni Moretti nel 1967, in seguito con il Teatro del Buratto di Milano, La Baracca di Bologna, il Teatro Gioco Vita di Piacenza e, a partire dal 1976, il Teatro delle Briciole con sede iniziale a Reggio Emilia e, poi, a Parma.

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