Teatro di figura belga: due produzioni a confronto

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Troppo spesso considerato folclorico e puerile, il teatro di figura è frequentemente sminuito da discorsi stereotipati e banalizzazioni, quasi si trattasse di una sottocategoria teatrale ontologicamente meno dignitosa rispetto al teatro di attore. Il pubblico non specializzato si radica nella convinzione che, per le sue innegabili origini popolari, il teatro di figura debba necessariamente offrire spettacoli semplici e dalla trama scontata, o perlomeno afferenti al solo teatro ragazzi. Ne deriva una distinzione fra teatro di figura per adulti e per bambini non sempre dai contorni chiari e definiti, il cui rischio è dare adito a fraintendimenti e racchiudere gli spettacoli entro griglie concettuali troppo rigide. Nell’immaginario comune, inoltre, si associa il teatro di figura ai burattini e alle marionette, dimenticando altre tecniche di grande effetto quali il teatro d’oggetti e di ombre, il teatro nero, il ventriloquismo e il bunraku, che possono anche confluire nel medesimo spettacolo secondo combinazioni molteplici. Al teatro di figura contemporaneo dev’essere riconosciuto il merito di aver fatto approdare burattini, marionette e pupazzi entro uno spazio diverso da quello delle baracche e dei teatrini – che pur continuano a esistere –, implicando una rottura della finzione e dei piani narrativi. Animatore e manufatto convivono sulla scena, sperimentando approcci inediti con lo spettatore (bambino e adulto), grazie alla ricerca di nuovi linguaggi, estetiche e grammatiche che investono prevalentemente l’architettura del racconto, l’uso delle luci, le potenzialità allusive ed evocative degli oggetti, il rapporto fra spazio e movimento. Nella storia del teatro di figura italiano questa rivoluzione ha avuto avvio soprattutto tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, prima con la Compagnia dei Burattini di Torino fondata da Giovanni Moretti nel 1967, in seguito con il Teatro del Buratto di Milano, La Baracca di Bologna, il Teatro Gioco Vita di Piacenza e, a partire dal 1976, il Teatro delle Briciole con sede iniziale a Reggio Emilia e, poi, a Parma.

Ed è proprio con un dittico sul Teatro di Figura per adulti che si è conclusa Mostri, la stagione 2015-2016 del Teatro delle Briciole. In cartellone due produzioni teatrali belghe fra loro differenti per tecniche e stile: Conversation avec un jeune homme della Compagnie Gare Centrale di Bruxelles e Soleil couchant del Tof Théâtre di Genappe.

 © Alice Piemme

La prima vede sulla scena l’attrice Agnès Limbos e il danzatore Taylor Lecocq. L’aspetto innovativo dello spettacolo consiste nel coniugare teatro di parola, teatro di figura e teatro danza rendendo l’attore allo stesso tempo manipolatore e danzatore. La Limbos apre lo spettacolo nelle vesti di Attrice-Prologo, presentandoci i protagonisti della storia attraverso un burattino a bastone a tre volti, che ripropone in miniatura le fattezze della Dama, del Lupo e del Giovane. Interagendo con i personaggi alterna i propri interrogativi alle loro risposte e diversifica il timbro di voce per immedesimarsi in ognuno di loro. I brevi dialoghi, reiterati con leggere variazioni, permettono di cogliere il contesto e indirizzano la comprensione dello spettatore verso un possibile significato.

 

La Dama: Io abito qui, nella foresta.
Attrice: Lei abita qui nella foresta, da sola?
La Dama: No, con gli uccelli. C’è qualche problema?
Attrice: No no, lo trovo molto carino, gli uccelli, la foresta, da sola…
 
Il Lupo: Vivo qui nella foresta.
Attrice: Lei abita qui nella foresta da solo?
Il Lupo: No, con mio fratello. C’è qualche problema?
Attrice: No no, lo trovo molto carino.
 
Il Giovane: Io abito qui, nella foresta.
Attrice: Lei abita qui nella foresta da solo?
Il Lupo: No, con gli animali. C’è qualche problema?
Attrice: No no, anzi, lo trovo molto carino, gli animali, la foresta, da solo…

 

In un susseguirsi di scene diverse sempre introdotte da un motivetto composto allo xilofono, le parole si riducono al minimo per lasciare spazio a una conversation fatta di corpi e di oggetti. Quella che era l’Attrice si trasforma nella vecchia Dama. Seduta su uno sgabello girevole dietro a un tavolo, indossa una voluminosa parrucca bianca ancient régime e un ingombrante vertugadin di broccato. Sulla destra il tavolo, sineddoche della casa in cui vive, è ricoperto da una tovaglia arabescata, illuminato da una candela e affiancato da un arbusto spoglio su cui sono appoggiati alcuni corvi finti, emblema di decadenza e morte. Sulla sinistra ampie e alte tende, sorrette da un palo orizzontale, riflettono, grazie a un sapiente gioco di luci, le spesse ombre oblique dei rametti di piccoli bonsai poggiati a terra.

 © Alice Piemme

L’incontro fra la Dama e il Giovane è perturbante. Accomunati solo da una malinconia lunare, i due sono agli antipodi per età e carattere. L’una, schiva e contemplativa, deve fare i conti con gli ululati dei lupi che la minacciano quotidianamente, uscendo persino dalla teiera. L’altro incarna la leggerezza, l’impulsività adolescenziale, non teme il contatto con le belve feroci e, dove passa, favorisce la rinascita di una natura arida e tetra: ad esempio, al solo contatto, il secco arbusto germoglia (tramite un sistema meccanico ad aria che fa ‘sbocciare’ fiori di carta). L’atmosfera surreale e fiabesca (percepibile l’influenza di Perrault) offre un duplice livello di interpretazione, letterale e simbolico: come la presenza assillante dei lupi allude a un pericolo imminente, un inquietante fantasma interiore, così il Giovane può essere una visione, una sublimazione della giovinezza, un’idea platonica eterea e luminosa che, forse non casualmente, si presenta al pubblico infilandosi sul capo una bianca gorgiera a raggiera. Non si tratta solo di un incontro-scontro intergenerazionale, ma di sottili equilibri fra vita e morte, dinamica e stasi. Il Giovane scalda l’ambiente con l’energia contagiosa apportata dalla danza e dalla musica, passando dai Radiohead ai Cold Play, da Ravel ad Al Bowlly. Di gusto barocco i forti contrasti di luce e ombra, le varie citazioni dei tableaux de vanité fiamminghi e la riproposizione di una danza macabra con teschi. Notevole, poi, l’uso straniante di oggetti artigianali e kitsch, come un corvo impagliato trasformato in ombrello o carnevaleschi guanti da lupo mannaro, usati dalla Dama per personificare il Lupo. Il fatto che si usino anche oggetti costruiti ad hoc per la messinscena rende questo spettacolo pertinente solo in parte al teatro d’oggetti, che invece prevede per statuto solo l’uso di oggetti che preesistono alla loro rifunzionalizzazione drammaturgica: in questo caso la teiera, la tazzina, un cucchiaio, una mela rossa, i bonsai, non il burattino a bastone e l’arbusto meccanizzato.

 © Jean-Michel Coubart

Dalla sospesa atemporalità di Conversation si giunge all’iperrealismo di Soleil cuchant. Alain Moreau dà vita a un pupazzo ad altezza naturale riproducente il volto di anziano signore, dentro il cui corpo si integra letteralmente, condividendone gambe, piedi e il braccio sinistro, mentre con il destro ne muove il capo. Di conseguenza, il marionettista si offre allo sguardo dello spettatore, istaurando un rapporto di affettuosa complicità con la figura, quasi si trattasse di un nonno o di un padre. L’uno è radicato nell’altro e senza l’altro non può vivere, cosicché da demiurgo, il marionettista diventa personaggio a pieno titolo, istaurando una particolare simbiosi con la sua creatura, e questo è un altro aspetto rivoluzionario del teatro di figura contemporaneo.

I movimenti sono curati nei minimi dettagli, con una resa naturalistica di tremori, esitazioni, sospiri. È una vecchiaia che si definisce in negativo, nelle sue quotidiane difficoltà fisiche e psichiche, nella zoppia, nei tic nervosi, nell’incapacità di abbottonarsi il gilet o di sistemarsi la cravatta.

In apertura, il vecchio entra da una porta laterale, con un sacco della spazzatura in mano, lo appoggia a terra, vi si siede, si guarda intorno, disorientato, ed esce dall’ingresso che conduce alla platea. Buio in sala. Lo ritroviamo sul palco, trasformato in un lembo di spiaggia dove campeggia una duna, mentre in lontananza si ode il frangersi delle onde sulla battigia. Quelli a cui assistiamo sono gli ultimi istanti prima che il vecchio si stacchi dal mondo, contemplando – piedi nudi nella sabbia – un metaforico tramonto a cui brinda con un calice di birra fino a quando Moreau si sfila delicatamente dalla propria creatura, inaugurando il momento dell’addio: la ‘marionetta’ si adagia a terra con il capo reclinato all’indietro, mentre la sua anima si allontana dietro le quinte. L’oggetto mosso dall’uomo non si trasforma in semplice strumento di racconto, ma è l’uomo che diventa il burattino dell’oggetto, in un suggestivo gioco metamorfico fra animato e inanimato, fra identità e alterità. Una separazione fra i due non è possibile.

 

 

 

CONVERSATION AVEC UN JEUNE HOMME

Ideazione, messa in scena e regia: Agnès Limbos

Animazione: Agnès Limbos e, alternativamente, Taylor Lecocq e Samy Caffonnette

Coreografia: Lise Vachon

Collaborazione: alla realizzazione Sabine Durand

Suono Guillaume: Istace

Luci: Marco Lhommel e Karl Descarreaux

Regia: Karl Descarreaux

Costumi: Françoise Colpe

Consulenza per il movimento: Nicole Mossoux

Consulenza per la manipolazione: Neville Tranter

Burattini Toztli: Godinez Dios

Produzione e distribuzione: Marie Kateline Rutten

Una produzione della Compagnie Gare Centrale con il supporto di Teatro dei Burattini di Parigi e al Théâtre du Champ Roy, Guingamp

 

 

SOLEIL COUCHANT

Ideazione, regia, scenografia, interpretazione: Alain Moreau

Partecipazione alla scrittura e alla regia: Durnez

Creazione musicale: Max Vandervorst

Creazione delle luci: Dimitri Joukovski

Regia del suono e luci: Laura Durnez

Sguardi complici: Delphine Bibet, Thierry Hellin, Seydou Boro et les OKidoK - Xavier Bouvier et Benoit Devos

Scenografia: Geneviève Périat et Alain Moreau

Aiuto alla scenografia: Anne-Sophie Vanderbeck

Costumi: Emilie Plazolles

Distribuzione: My-Linh Bui - Kurieuze et Cies

Fotografia: Melisa Stein

Produzione: Tof Théâtre – Nicole Delelienne et Benoit Moreau

Coproduzione: ONZE, Biennale de la Marionnette et des Formes manipulées - Mayenne, Sarthe, Maine-et-Loire et My Luciole, accompagnement et production de spectacles vivants - Paris.