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Nelle note raccolte sul foglio di sala lo spettacolo Questo è il tempo in cui attendo la grazia è presentato come una biografia onirica e poetica di Pier Paolo Pasolini attraverso le sue sceneggiature. Progetto originale 2019 del Teatro Comunale Giuseppe Verdi-Pordenone in collaborazione con Teatro di Roma-Teatro Nazionale, Teatro del Lido di Ostia e Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa, il lavoro è stato concepito dal regista teatrale Fabio Condemi insieme all’attore Gabriele Portoghese e a Fabio Cherstich, che ne ha curato la drammaturgia dell’immagine.

In scena troviamo un’unica figura, Portoghese-Pasolini, che si lascia attraversare da un materiale letterario incandescente, portando avanti un’indagine non tanto sul cinema dell’autore quanto sul suo sguardo. Alcuni frammenti tratti dalle sceneggiature di film editi e inediti – quali Edipo Re, Medea, Il fiore delle mille e una notte, La ricotta, Appunti per un film su San Paolo – scandiscono l’intera durata dello spettacolo fino a inabissarsi nel finale. Le parole e i titoli delle sceneggiature, insieme a videoriprese realizzate da Condemi e da Igor Renzetti, scorrono su uno schermo alle spalle dell’interprete, stimolando gli spettatori a sognare in un gioco continuo di sottrazioni e sospensioni rispetto al procedere della ‘narrazione’, un vero e proprio cinema a occhi aperti.

Abbiamo incontrato il regista di Questo è il tempo in cui attendo la grazia – che di recente si è confrontato nuovamente con Pasolini, affrontando questa volta l’opera teatrale Calderón – per porgli alcune domande sul lavoro di costruzione drammaturgica svolto a partire dalle sceneggiature pasoliniane, sul rapporto che in scena si instaura tra la parola, pronunciata da Portoghese, e l’immagine in movimento, proiettata su uno schermo bianco, e infine sulla relazione aperta e molteplice che si può generare tra questi corpi luminosi e i corpi degli spettatori immersi nel buio della sala.

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In occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975), il direttore di ERT Valter Malosti ha ideato insieme a Giovanni Agosti, storico dell’arte e docente presso l’Università Statale di Milano, il progetto intitolato Come devi immaginarmi per la stagione teatrale 2022/2023 con il proposito di sondare come le nuove generazioni riescono ancora ad ‘immaginare’ l’opera di Pasolini. Infatti, il titolo dell’intero progetto è tratto da quella sorta di trattatello pedagogico che è la sezione ‘Gennariello’ delle Lettere luterane, la raccolta di saggi pubblicata postuma nel 1976. L’ambizioso obiettivo del progetto è stimolare un confronto diretto con il teatro di Pasolini, evitando di ricalcare le categorie critiche già stabilite e promuovendo interpretazioni innovative e originali. È la prima volta che in una sola stagione teatrale viene messo in scena l’intero corpus dei sei testi teatrali pasoliniani (grazie all’autorizzazione concessa da Graziella Chiarcossi), scritti tutti, com’è noto, nel giro di pochi mesi nella primavera del 1966 durante la convalescenza per una dolorosa ulcera allo stomaco, sebbene alcuni rielaborati in seguito.

L’aspetto ancora più rilevante di Come devi immaginarmi, tuttavia, è il fatto che le registe e i registi coinvolti, perlopiù giovani, siano stati invitati a rielaborare il teatro di parola pasoliniano attraverso nuove sperimentazioni espressive che consentano di avvicinarlo alla sensibilità contemporanea, ben diversa da quella della platea borghese degli anni Sessanta (qui la programmazione completa). Si tratta di un progetto volto non solo a far conoscere ad un pubblico giovane l’opera teatrale di Pasolini – di ardua ricezione allora come oggi – ma soprattutto a verificare la tenuta della lezione etica della parola pasoliniana attraverso le rielaborazioni proposte da compagnie molto diverse tra loro, che portano sulla scena istanze artistiche assai disomogenee. Si coglie un esplicito intento pedagogico da parte degli ideatori del progetto, proprio sulle orme del Pasolini ‘luterano’ che si rivolge a un ragazzino partenopeo, Gennariello, nella speranza di trasmettergli la stessa viscerale passione con la quale egli ha tentato strenuamente di mantenere viva la forza autentica della tradizione popolare difendendola dall’aggressione dell’omologazione neocapitalista.

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