Berlin, the divided city of course, was just another metaphor, like the angels themselves. Berlin seems to be a city that well represents not only Germany, but also our civilization. In a way, Berlin really represents the world.[1]
Il cielo sopra Berlino, film realizzato da Wim Wenders tra il 1986 e il 1987 con la collaborazione alla sceneggiatura di Peter Handke, è un penetrante dialogo tra cielo e terra, in cui la conquista dell’eternità si scontra e incontra con l’intensa finitezza e sensorialità dell’orizzonte umano. Tra i cieli e le strade di Berlino si dispiegano le ‘ali del desiderio’ – dal significativo titolo inglese dell’opera, Wings of Desire, preferito da Wenders rispetto all’originale tedesco in virtù delle maggiori sfaccettature del termine ‘desire’ –[2] di quella che si può definire una prometeica ribellione e rinuncia all’immortalità per accedere a un livello altro di consapevolezza e conoscenza: non una conoscenza intellettuale, quanto emotiva, sensoriale e soprattutto temporale.
Se il mito di Prometeo narra di un semidio che si ribella alle leggi divine donando all’uomo il fuoco – del progresso o della conoscenza, per citare due delle accezioni che hanno caratterizzato le interpretazioni del mito nel corso del tempo – e per questo gesto subisce le conseguenze di quella che viene considerata una colpa, nella presente lettura del film di Wenders si propone una traslazione della ribellione mitologica. Anziché donare qualcosa di divino all’uomo, il divino nel film in oggetto desidera – e il desiderio è un motore centrale nel mito prometeico – accedere alla dimensione umana, esperendo emozioni e sentimenti, ma anche sottomettendosi alle leggi del tempo. In questa prospettiva la vicenda di Damiel (interpretato da Bruno Ganz), che decide di abbandonare la sua condizione angelica, diviene anche la trasposizione di un’entrata nella storia. È con queste parole che l’angelo sancisce l’addio al suo status: