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Immagini nella rete. Ecosistemi mediali e cultura visuale (Mimesis, 2016) propone uno studio delle pratiche visuali contemporanee che tenta di spostare l’asse teorico e analitico dagli oggetti visivi al sistema instabile di cui fanno parte. Nel panorama postmediale, frammentato e interconnesso, la visualità può essere definita come un «set ecologico» (p. 175), un modello necessario per tenere in considerazione tutte le (re)azioni degli elementi in gioco.

Nella cornice introduttiva e conclusiva l’autore espone il percorso circolare svolto all’interno del testo. Nel primo capitolo si analizzano le sistematizzazioni teoriche sulla visualità per comprendere la loro attualità all’interno dello scenario contemporaneo, definire l’oggetto di studio e il senso metodologico di una convergenza interdisciplinare. Ugenti esplicita così i presupposti che stanno alla base dell’individuazione, nel secondo capitolo, di una serie di strumenti d’indagine applicati a uno specifico ambiente mediale: l’iconosfera online delle piattaforme del web 2.0. La comprensione delle sue strutture e dinamiche consente infine, nel terzo capitolo, l’analisi delle pratiche che investono una tipologia di immagini (amatoriali, personali e occasionali). Le trasformazioni in atto delle relazioni, dei processi e delle logiche tra soggetti, oggetti visivi e ambienti mediali innescano secondo l’autore un cortocircuito pratico e analitico. Il loro complesso movimento osmotico diventa parte integrante dell’ecosistema visuale contemporaneo e porta a un necessario ripensamento del concetto stesso di visualità, da cui Ugenti era partito.

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  • [Smarginature] Vaghe stelle. Attrici del/nel cinema italiano →


Una moltitudine di stelle abita il cielo delle generazioni digitali. Dai cantanti alle fashion blogger, passando attraverso gli imperituri protagonisti del prime time televisivo. Le attrici no. E, soprattutto, non le attrici del cinema italiano contemporaneo.

Lì per lì questo fatto sembrerebbe facilmente spiegabile. I giovani sono anti-cinematografici, sostiene la vulgata: frequentano sempre meno le sale, si nutrono di talent show e di social media, sono consumatori volubili e poco inclini ad abbandonare i territori del mainstream.

Le cose non stanno però così. Non in Italia almeno. I giovani italiani sono infatti fortissimi consumatori di film. Nel Rapporto dell’Osservatorio Giovani sui consumi culturali dei millennials si legge che, nel 2016, il 69% dei 20-34enni ha guardato almeno due film alla settimana, e che il 12,6% ne ha visto persino uno al giorno. Sono dati da capogiro, che già da soli basterebbero a sgretolare il luogo comune che considera il cinema un medium d’antan, capace al più di sollecitare la nostalgia dei non nativi digitali, come ricorda Chuck Tryon.

Ma non basta. Se anche nella mai conciliata querelle fra puristi e innovatori fossimo fra coloro che considerano il cinema solo come ciò-che-si-vede-al-cinema, saremmo comunque costretti a mettere in discussione la tesi che vuole giovani e cinema separati ben oltre i famosi sei gradi. I dati sul consumo di cinema in sala attestano infatti non solo una tenuta, ma persino una crescita della presenza dei giovani. Le fasce d’età che più contribuiscono a infoltire le fila del pubblico di cinema sono gli 11-24enni, coloro che, con una minima sbavatura, possiamo definire l’iGeneration italiana, prima autentica generazione nativo digitale. Se consideriamo poi le serie storiche ci accorgiamo che la diffusione delle tecnologie digitali (e il conseguente avanzamento del processo di dislocazione-rilocazione per dirla con Casetti del cinema fuori dalla sala) è in un rapporto di proporzionalità diretta con il numero di biglietti venduti. Detto diversamente: più cresce il consumo di film all’interno delle mura domestiche (come mostrano per esempio i dati di Univideo), più cresce il consumo in sala. Soprattutto da parte dei più giovani.

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