Valeria Bruni Tedeschi, la cui carriera di sceneggiatrice, attrice e regista è ormai trentennale, è molto conosciuta e pubblicizzata in Francia come in Italia. In questo intervento vorremmo studiare il personaggio dell’attrice in quattro film, due italiani (La seconda volta di Mimmo Calopresti, 1995, e La pazza gioia di Paolo Virzì, 2016) e due francesi (La Vie ne me fait pas peur di Noémie Lvovsky, 1999, e Crustacés et coquillages di Olivier Ducastel, 2005), nei quali i ruoli interpretati dall’attrice variano dalla severa attivista politica alla figura di donna esuberante e luminosa. In che modo Valeria Bruni Tedeschi rappresenta la figura dell’eccentricità femminile? E come possiamo collegare l’eccentricità ad altre rappresentazioni del femminile da lei incarnate, come ad esempio il ruolo della madre, della pazza, della moglie? In primo luogo, metteremo in discussione la figura della ‘eccentricità’, che la si declini al femminile o al maschile, per poi analizzare il modo in cui Bruni Tedeschi interpreta i ruoli di madre e moglie e quali figure di donne moderne siano disegnate dal lavoro dell’attrice.
L’eccentricità è sovente collegata al dandismo, ovvero a un modo di vivere lontano da quello della gente comune, il vulgum pecus. L’eccentrico disprezza la morale ipocrita borghese e ne irride la seriosità e la compostezza. Di solito l’eccentricità è riservata agli uomini: alle donne non è consentito andare al di là del buon gusto tradizionale, e se lo fanno sono descritte come isteriche, pazze che devono essere rinchiuse in ospedale e curate con metodi cruenti, dalla doccia fredda all’elettrochoc. Il mondo femminile rimane quello ristretto e frustrante dell’orizzonte domestico, con il corsetto al posto del sigaro e il volto sempre sorridente al posto dell’espressione malinconica o del sorrisetto ironico. Quando è declinata al femminile, l’eccentricità vede la donna caratterizzata da una deformazione ridicola del dandismo: la parlata troppo rapida, i gesti marcati, la femminilità affettata mescolata a una buona dose di isteria. Anche al cinema l’eccentricità è pensata spesso come una prerogativa maschile. Ad esempio Raymond Chirat e Olivier Barrot nel loro libro Les Excentriques du cinéma français finiscono per dare più spazio agli attori che alle attrici; e queste ultime sarebbero, a loro dire, caratterizzate da sbalzi di umore, dall’incapacità di finire le frasi: ovvero da quelle caratteristiche che designano le donne come incapaci di portare a termine alcunché, discorsi, gesti, azioni, pensieri.