Questa idea si colloca in un posto imprecisato. Qualsiasi riferimento con la realtà è casuale.
Michelangelo Antonioni
Una volta le isole Eolie erano tanti vulcani…
Giulia (Dominique Blanchar), L’avventura (M. Antonioni, 1960)
Nel 1966 Michelangelo Antonioni gira Blow-Up, il film che traduce più fedelmente i termini del suo scetticismo nei confronti della realtà. Oltre a comprovare l’irrilevanza narrativa della detection (come topos emblematicamente atopico), l’indagine fallimentare del fotografo protagonista raddoppia a livello del contenuto l’ossessione formale nutrita dell’autore per il cosiddetto ‘mistero dell’immagine’:
Quello che vi propongo in questa scheda non è altro che un innocente esperimento critico di blow-up, messo in atto nel tentativo di scomporre una porzione di paesaggio rappresentato nel cinema antonioniano fino a ridurlo alla sua dimensione elementare. Qual è l’elemento, in assoluto, più presente?
Essendo il suo sguardo registico contaminato da potentissime infestazioni memoriali, una risposta plausibile potrebbe riguardare la natura selvaggia del Delta (felicemente eternata nel finale di Gente del Po, 1963-67, prim’ancora di diventare prerogativa neorealista per Visconti e Rossellini): le acque del fiume e del mare, fuse in un aggiogante enigma materico, che include anche lo strato uniforme, setoso, del cielo e quello screziato della sabbia [fig. 1]. Acqua, aria e terra, dunque, come elementi riconvocati negli anni da Antonioni in una combinatoria visionaria di climatescapes, tendenzialmente, autunnali, freddi e nebbiosi (Nowell-Smith 2015) – ben poco meridiani, come testimoniano le immagini tratte da film quali Cronaca di un amore (1950), La signora senza camelie (1953), Le amiche (1955), Il grido (1957), La notte (1961), Identificazione di una donna (1982), Al di là delle nuvole (1995).