Revolutionize the language (…).
Revolutionize the world (…).
Revolutionize the work (…).
Revolutionize the body (…).
Alice Birch, Revolt. She said. Revolt again
Accostandosi ai due film sceneggiati dalla drammaturga britannica Alice Birch, Lady Macbeth (W. Oldroyd, 2016) e Secret love (Mothering Sunday, E. Husson, 2021), si sarebbe tentate di aggiungere un nuovo complemento oggetto alla serie anaforica con cui si aprono le scene di Revolt. She said. Revolt again, pièce firmata dall’autrice nel 2014. ‘Revolutionize the house’ potrebbe, infatti, risuonare l’imperativo che guida le violente azioni di Katherine (Florence Pugh), protagonista di Lady Macbeth, così come il più delicato, ma potente, gesto eversivo di Jane (Odessa Young) in Secret love.
Pur difformi nella resa estetica, che in Secret love lascia spazio a compiacimenti nell’osservazione degli ambienti del tutto alieni al rigore stilistico di Lady Macbeth, i due titoli condividono l’ambizione, rivendicata da Birch nelle interviste su Secret love (Gant 2021), di smarcarsi dal fortunato filone heritage britannico, caratterizzato da indugi nostalgici della macchina da presa sulle tracce di un passato discutibilmente idealizzato (Higson 2003). Quel che più ci interessa è che entrambi sono quasi integralmente ambientati in interni domestici, nei quali le protagoniste cercano di conquistare margini di agency in opposizione al sistema patriarcale e alla sua organizzazione spaziale dei rapporti di potere, esternati con cruda brutalità (Lady Macbeth) o in forme venate di bonario paternalismo (Secret love). Il ruolo protagonistico della casa, ben identificabile nelle narrazioni letterarie di partenza, viene potenziato, o investito di nuove sfumature, dagli apporti di Birch, che già nel proprio lavoro teatrale – si pensi a Ophelia’s Room (2015) – aveva tradotto la condizione di marginalità della sua personaggia attraverso il confinamento in una singola camera.