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Pochi anni dopo i mirabili inserti manieristi della Ricotta (1963), Pasolini giunge con La Terra vista dalla Luna (1967) alla sua prima pellicola interamente a colori. Terzo capitolo del film a episodi Le streghe, a cui collaborarono anche Luchino Visconti, Mauro Bolognini, Franco Rossi e Vittorio de Sica, La Terra vista dalla Luna è una delle opere cinematografiche di Pasolini maggiormente innervate dalla ricerca – e dalla messa in scena di tale ricerca – di una continua traslazione di significato da un sistema di segni a un altro. La stessa sceneggiatura testimonia tale aspetto. Forma testuale di per sé ancipite, che Pasolini intende anche più in generale come struttura autonoma e insieme allusiva rispetto a un altro medium, la sceneggiatura è conservata, infatti, anche in una versione a fumetti (quasi che il rapporto tra film e colore avesse bisogno, nuovamente, di essere filtrato attraverso un ulteriore mezzo espressivo coerente con il contesto dell’opera: qui il fumetto, nella Ricotta il dipinto). Una nota premessa alla seconda redazione dattiloscritta della sceneggiatura precisa del resto che il testo va letto pensando «alle ‘comiche’ di Charlot o Ridolini, o ai fumetti di Paperino». Queste tavole a colori, create da Pasolini «ripescando certe sue rozze qualità di pittore abbandonate», presentano a loro volta uno statuto ibrido: rifacimento parziale della sceneggiatura in cui vengono precisati dialoghi e didascalie, esse costituiscono al contempo anche un abbozzo di storyboard per la prima parte del film, una sequenza di appunti visivi per la caratterizzazione, alla maniera di Fellini, di sfondi e personaggi, e un fumetto vero e proprio. La sperimentazione del fumetto, anzi, aveva assunto per Pasolini un carattere di autonomia tale da indurlo a progettare – come attesta una lettera a Livio Garzanti del gennaio 1967 – un nuovo esito narrativo, anch’esso compiuto e insieme transitorio rispetto all’orizzonte della trasposizione filmica:

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