Forse a taluno queste lettere sembrare potrebbero di nessuna o poca importanza…
Anonimo**
1. La scrittura che diventa cinema
Su Goliarda Sapienza, scomparsa nel 1996, è in atto una feconda ricerca che indaga soprattutto l’aspetto letterario, avendo i suoi libri varcato i confini nazionali ed essendo diventati dei veri e propri casi editoriali, primo fra tutti L’arte della gioia.[1] Poco sappiamo invece della sua carriera di attrice, di teatro prima e di cinema poi, certamente breve ma molto intensa. Praticamente nulla si sa della sua storia da ‘cinematografara’, come le piaceva definirsi, compiuta passo passo al fianco del suo compagno Citto Maselli, indifferentemente davanti e dietro la macchina da presa. Sapienza è stata protagonista di tre lustri di cinema italiano con un ruolo ben più articolato e dinamico delle sette pellicole, dirette da grandi maestri della regia, che la critica e gli storici hanno riportato di penna in penna, spesso con errori anche grossolani. Ma «l’anonimato, lo sappiamo da molto tempo, è uno stato proprio delle donne», come chiosa Carolyn G. Heilbrun nel suo libro Scrivere la vita di una donna.[2]
Goliarda Sapienza ha vissuto questo statuto nei sedici anni passati accanto al compagno Citto Maselli, regista per il quale ha ricoperto tutti i ruoli: attrice, doppiatrice, assistente alla regia, dialogue coach, sceneggiatrice. Tutto con intensa passione e appunto in anonimato, fatta eccezione per il mestiere di attrice. Proprio dalle sue stesse parole in La mia parte di gioia, scopriamo che Sapienza ha lavorato in «quaranta documentari e quattro o cinque film, fino agli Indifferenti. Ho fatto tutti i mestieri».[3] Tutti i mestieri, compreso quello di sceneggiatrice, che qui proverò a mettere in luce attraverso documenti editi e inediti, come le numerose lettere che si trovano nell’Archivio Sapienza Pellegrino, utili a ricostruire il multiforme e complicato rapporto tra Sapienza e il mondo del cinema.
Probabilmente, almeno all’inizio, Sapienza non aveva cognizione piena nemmeno del suo statuto di sceneggiatrice.[4]
E nacquero storie da lui e me abbracciati per le strade di Roma, la notte abbracciati nel letto, lunghe notti senza sogni e di giorno abbracciati cercando di far coincidere io il mio passo al suo lui il suo passo al mio: ci raccontavamo storie di bambini, di fioraie, eccetera, che lui poi metteva dietro la macchina da presa e per un prodigio straordinario dopo vivevano di vita propria su quel quadrato di bianco opaco che trasaliva di vita nel buio della saletta. Il materiale plastico il primo piano il piano americano il trentacinque il dolly.[5]
In queste poche righe Goliarda Sapienza descrive in maniera poetica la sua nascita come sceneggiatrice, una sceneggiatrice estremamente atipica e fuori dagli schemi, come del resto fuori dagli schemi è stata tutta la sua carriera artistica. Nell’ambito del cinema americano, dove lo sceneggiatore era un professionista inserito all’interno di un sistema, Sapienza non avrebbe trovato spazio; dentro il contesto italiano, invece, nel quale accanto a nomi di ʻsolistiʼ esistevano vere e proprie botteghe ʻsceneggiatorialiʼ,[6] Sapienza ha modo di ‘scrivere’ anche se risulta costantemente non accreditata. La sua presenza accanto a Maselli è costante ma sempre ʻdi profiloʼ;[7] il suo compagno, infatti, riteneva il suo apporto indispensabile e così, pur evitando di metterla su un piedistallo, la trasformò via via nella sua musa ‘silenziosa’. Maselli definì il loro rapporto «totale»: «Lei era l’anima di tutto. Ha contribuito [ai miei lavori] in senso segreto, profondo. Ha avuto un peso radicale nella mia formazione».[8]
Il ruolo di sceneggiatrice di Sapienza accanto al regista nasce in maniera originale, non sulla carta ma oralmente, attraverso racconti e sogni ad occhi aperti che la coppia faceva durante le giornate trascorse insieme. Nei «quaranta documentari» di cui parla Sapienza la sua collaborazione è stata determinante: «io avevo un aiuto regista che era Rinaldo Ricci ma lei era l’anima di tutto; dai, insomma, la scelta di determinati bambini… Io direi che in Bambini, Fioraie e anche Ombrellai c’è Goliarda quanto me, c’è moltissimo […] c’era un segreto sentire».[9] Di questi sedici anni di lavoro insieme però non resta alcuna traccia esplicita, se non in sporadiche dichiarazioni di Maselli, nelle interviste e in qualche testo.[10] La domanda che verrebbe da porsi è: come mai se il lavoro di Sapienza era stato così importante per il suo compagno cineasta, questi non ha mai pensato di riconoscerlo in maniera formale? Una qualche giustificazione si può rintracciare nella congerie magmatica che era il mondo del cinema e della sceneggiatura in quegli anni.
Oltre ai tanti documentari a cui lavora insieme a Maselli, la prima vera sceneggiatura a cui Sapienza contribuisce è quella per il film Gli sbandati (1955). Anche per questa pellicola, a parte le dichiarazioni di Maselli a tal proposito[11] e i ricordi di Sapienza nei suoi diari, non vi è traccia della collaborazione in documenti ufficiali, né negli scambi epistolari. Il soggetto è di Eriprando Visconti, così come indicato nei titoli di testa, ma «soltanto un’idea. Che peraltro era quella di una storia di contrabbandieri sul lago di Como, dunque una cosa piuttosto diversa, anche se ambientata nel periodo della Resistenza. Da lì ci venne l’idea di fare il film».[12] La prima versione della sceneggiatura viene scritta da Maselli insieme a Suso Cecchi D’Amico e Vasco Pratolini, che in seguito ne disconoscono la paternità a causa delle troppe modifiche apportate da Maselli durante le riprese.[13] Nei titoli di testa del film, alla voce sceneggiatura, compaiono i nomi di Francesco Maselli, Aggeo Savioli e Eriprando Visconti che, eccezione fatta per l’ultimo, sono gli stessi che firmano la sceneggiatura di La donna del giorno (1956), insieme a Cesare Zavattini, Luigi Squarzina e Franco Bemporad, il quale sigla anche il soggetto. A proposito della pellicola del 1956, Maselli dichiara: «Scriviamo la sceneggiatura de La donna del giorno con l’apporto di Luigi Squarzina e di Zavattini, ma fondamentalmente in tre: Aggeo Savioli, Goliarda Sapienza e io».[14] Se andiamo a guardare i titoli di testa di I delfini (1960), altra pellicola per cui Sapienza collaborò alla sceneggiatura, troviamo i nomi di Ennio De Concini, Francesco Maselli, Aggeo Savioli, con la collaborazione di Alberto Moravia. Ancora una volta ricorre il nome di Savioli, e ancora una volta non compare quello di Sapienza, la quale proprio su questa sceneggiatura ci ha lasciato decine e decine di pagine con correzioni e suggerimenti.[15]
Tornando al discorso sulle botteghe di scrittura, si potrebbe dedurre che nei fatti le tre sceneggiature siano state scritte a sei mani da Maselli, Sapienza e Savioli. In seguito, nello stile delle botteghe di scrittura, e soprattutto nella politica dei produttori ai quali serviva il nome di garanzia, sono stati inseriti i nomi di sceneggiatori che hanno collaborato anche solo in minima parte. Del resto sembra che in Italia non esista alcuna regola che definisca in maniera certa chi può o meno apparire come sceneggiatore nei titoli di testa, così come risulta poco chiaro in quale modalità i vari autori abbiano apportato il loro contributo alla sceneggiatura,[16] poiché spesso, più che collaborare in gruppo, questi procedono per revisioni, succedendosi tra loro e andando così a formare lunghi elenchi di nomi in apertura. Su tale versante ancora una volta paiono interessanti le parole di Maselli:
Lo sceneggiatore è la cosa più importante di tutti. Tuttavia allora avevamo un tale disprezzo di tutte queste cose… Nello spirito di allora se uno avesse detto “ma perché non la metti nei titoli…” non aveva senso… Nei miei documentari viene citato Rinaldo Ricci che era da sempre il mio aiuto. L’idea di mettere il nome non era sentita.[17]
In quanto a La donna del giorno, Sapienza oltre a collaborare alla sceneggiatura è sul set fin dalla prima ripresa, perché la sua presenza è «una cosa assodata, normale. Lei era lì, accanto a me sempre, a dare consigli richiesti e non».[18]
Ad un certo punto, però, pare che il produttore Lorenzo Pegoraro si fosse infastidito perché alcune delle osservazioni di Sapienza erano in contrasto con le sue richieste, e da un giorno all’altro avesse vietato a Maselli la presenza della compagna sul set.[19] Ovviamente la collaborazione di Sapienza continuò a distanza,[20] e c’è da chiedersi se il film sarebbe stato diverso se la scrittrice fosse stata sul set sino alla fine delle riprese. Come notato in precedenza, riguardo alla collaborazione alla sceneggiatura di Gli sbandati e La donna del giorno, non vi sono documenti che la attestino, mentre Sapienza, come detto poco sopra, ha lasciato decine di pagine su I delfini, e in queste fa riferimento ai due film precedenti proprio dal punto di vista della scrittura:
Avendo letto tutto il copione, oggi mi rendo conto che la seconda parte è più bella assolutamente della prima, come in La donna del giorno, si sente uno sforzo ad entrare nell’azione: che sarà? Vedi di capirlo, anch’io lo rileggerò e cercherò. Non c’è paragone tra il principio e la fine.[21]
E ancora, riguardo a una scena poi eliminata:
Pensa se avessi avuto paura di far morire Lucia? E in fondo la morte di Lucia è anch’essa un po’arbitraria e scusami la parola... cattiva, ma così deve essere, così come La donna del giorno doveva finire (come anche ci disse Luchino, ricordi?) con il suo trionfo, perché così è oggi la nostra realtà, e tu lo senti questo e tutto è sempre costruito per questo nelle tue sequenze, solo che a volte sei troppo buono. […] Ma secondo me devi essere assolutamente cattivo.[22]
Queste righe rivelano quanto profondamente Sapienza fosse ‘dentro’ questi film, quanto vi abbia lavorato in stretta collaborazione con Maselli, e quanto le sue indicazioni fossero davvero irrinunciabili per il compagno; nonostante ciò, come si evince da queste poche frasi, alla fine i registi fanno di testa loro, a volte ignorando perfino la sceneggiatura. Del resto «quando il regista è un Autore, prevarica tutti. […] Quando un regista ha una sua visione della realtà la impone».[23]
2. Fra le righe
Dal 1949 agli anni Settanta, e in particolare durante i primi anni Cinquanta, la coppia Sapienza Maselli ha comunicato di frequente attraverso lettere, a volte brevi ma spesso composte da molte pagine. Racconti minuziosi da cui emergono, oltre alla quotidianità, riferimenti al lavoro e al rapporto con i colleghi, mentre in controluce si può ravvisare l’idea che avevano del mondo del cinema, e dello spettacolo in generale.
Maselli, come abbiamo visto, ha dichiarato rare volte, e solo dopo l’avvenuto riconoscimento letterario, quanto Sapienza fosse stata importante nel suo lavoro. I loro scambi epistolari rivelano questa realtà, mettendo in luce come per il regista la compagna fosse indispensabile. Prendiamo ad esempio una lettera scritta da Maselli nel marzo del 1951 da Perugia, dove sta girando uno dei suoi primi documentari:
Iuzza cara, qui le cose proprio bene non vanno: mi sento monotono e ovvio, mi sembra di ripetere sempre le stesse inquadrature, bellissime quanto vuoi, ma sempre dello stesso gusto (di FINESTRE e soprattutto di BAGNAIA) […] ma sempre gli stessi bambini che giocano, le stesse vecchie, gli stessi carrettini… Può essere che vadano benissimo e che sia io a farmi degli eccessivi scrupoli, ma non so proprio alla fine come verrà fuori tutto ciò. Io continuo a girare ma se ci faccio mente locale, a queste azioni monotone e terribilmente ʻdocumentaristicheʼ mi vengono i brividi. Anche in questo senso sento la tua assenza: tu hai sempre una capacità di osservazione, sui fatti, gli episodi, le notazioni locali, che mi sarebbe stata letteralmente preziosa. Se ti ricordi qualcosa di interessante e di tipico di Perugia, anzi, ti prego di scrivermelo. […] E poi non so, mi sento davvero terribilmente monotono, schematico, retorico: con quei bambini piccolissimi, quelle donne che lavorano sulla soglia o in primo piano a bordo del fotogramma, con quei soliti ʻpassaggiʼ. Ma del resto quali Cristo di azioni devo andare a pescare… Quelle sono, non per niente anche questi maledetti vicoli somigliano a quelli di Bagnaia… Dimmi qualche cosa che mi conforti e mi aiuti in qualche modo. […] Iuzza cara, non hai idea di come ti vorrei qui e di come mi saresti utile, e se questo da un lato è un guaio, è anche molto bello non ti pare? A proposito, fai assolutamente una cosa: telefona assolutamente a Fusco il quale dovrebbe vedere quasi tutti i giorni il materiale, digli che ti ho scritto che se lui lo vedeva tu devi vederlo con lui, o più semplicemente che ti portasse con lui. Sarebbe splendido, ti giuro che sarebbe un’altra cosa se potessi sentire un tuo giudizio preciso mentre ancora lavoro. Ma purtroppo non è sicuro che Fusco veda il materiale. Iuzza cara mi devi assolutamente rispondere a giro di posta.[24]
A questa lettera Sapienza risponde subito, dando solo delle piccole indicazioni, ma che appaiono agli occhi di chi legge come inquadrature già definite nella sua mente:
Citto caro, ho ricevuto adesso la tua lettera, ti rispondo subito, anche se brevemente, altrimenti chissà quando lo farò. Capisco i tuoi dubbi, ma cosa dirti, così da lontano? L’unica cosa che ricordo è quel senso di sali e scendi e il bellissimo mercato nella piazza principale, con le terraglie sparse sui gradini del Duomo. Ma tutto questo tu lo sai e sono sicura che farai bene il tuo lavoro. Se è possibile cerca di non fermarti troppo sui vicoli. Telefonerò a Fusco, sono ansiosa di vedere quello che hai girato.[25]
Fra le righe di questo breve scambio emerge in filigrana il rapporto di dipendenza vissuto dalla coppia, una dipendenza non semplicemente affettiva, come spesso rivelano i carteggi, ma artistica; emerge inoltre la necessità per il regista di potere avere «un giudizio preciso» da Sapienza, di potere sfruttare la sua capacità di osservazione «letteralmente preziosa».
Quello che con licenza letteraria vado a definire ‘carteggio delfiniano’ è una parte unica e eccezionale del fitto e corposo scambio epistolare della coppia Maselli Sapienza. Il carteggio si concentra in un periodo di tempo molto breve, l’estate del 1959, periodo in cui è in lavorazione la sceneggiatura del film I delfini e che vede Maselli a Roma e Sapienza a Positano per un breve soggiorno, e si compone di otto lettere, alcune eccezionalmente lunghe, che la coppia si scambia a stretto giro di posta. La loro importanza risiede nel contenuto, poiché esse rivelano con dovizia di particolari il contributo della scrittrice come sceneggiatrice. Sapienza, infatti, legge e corregge le bozze che il regista le invia, fornendo consigli minuziosi circa la psicologia dei personaggi, l’ambientazione del film, le azioni e i dialoghi; e se pensiamo al fatto, come già osservato, che finora non vi era traccia di questo aspetto del lavoro della scrittrice, tali lettere ancora inedite si rivelano di straordinario interesse.
Sin dalla prima stesura della sceneggiatura, Sapienza dà indicazioni dettagliate e insiste in particolare sulla costruzione dei personaggi:
(Volevo rileggere tutto ma già dalla prima riga mi sono urtata, non lo faccio ti prego amore caro, non ti urtare del tono, è questo mio brutto vizio germanico di prenderti). Nella scena della visita attenti al ridicolo, se il padre parla credo sia quasi impossibile evitarlo. Si potrebbe fare che sta zitto, una presenza curiosa e muta che segue la scena con occhi fissi? Mi pare assolutamente inverosimile che si presenti tutta la famiglia in casa e soprattutto che siano ricevuti con tanta facilità. Secondo me bisognerebbe trovare un’altra scena anche perché essendo all’inizio del secondo tempo lo spettatore distratto coglie di più qualsiasi sfumatura di inverosimiglianza e, ripeto, ridicolo. A meno che tutto sia ʻpoeticamenteʼ curioso ma mi pare estremamente difficile anche perché la scena com’è mi pare una delle meno riuscite e inutilmente oscure. […] Nella scena ʻinterno casa Anselmoʼ tutto bene: i cioccolatini, Elsa, ecc... Invece della fotografia di Sisino si potrebbe mettere una fotografia della Cherè elegantissima che Elsa a un certo punto, cambiando, muove, stranamente. Mi paron belle queste tre persone in procinto di affrontare il sonno, e, visto che qui hai spezzato così il ritmo, non capisco perché ti spaventa l’apertura sull’uscita del ballo della Croce Rossa, apertura sulla casa di Fedora, che ti permetterebbe di capire di più e di dare allo spettatore la misura precisa della situazione tragica.[26]
Queste righe mettono in rilievo il fatto che Sapienza non sia stata una semplice suggeritrice di suggestioni o atmosfere, ma che avesse ben chiaro cosa servisse ad un film per essere tale: una credibile costruzione dei personaggi, un comprensibile sviluppo della trama, scenografia, azioni e dialoghi coerenti. A più riprese sottolinea al compagno Maselli la necessità di delineare bene i tratti psicologici dei personaggi e i loro caratteri, per poter costruire dei rapporti credibili e creare uno snodo della narrazione fluido.
Già da questa lettera si può intuire che i suggerimenti di Sapienza sono stati osservati: la visita di cui si parla, e di cui lei sottolinea il ridicolo, alla fine è stata tagliata. La famiglia in questione è quella di Fedora e nel film noi non vediamo mai il padre, che scopriamo da una battuta di Claudia Cardinale avere abbandonato madre e figlia per un’altra donna. Altre indicazioni invece sono state ignorate o forse, essendo quella analizzata in questa lettera solo una prima stesura di sceneggiatura, naturalmente disattese. La scena ʻinterno casa Anselmoʼ non esiste nel film. Altri suggerimenti sono stati accolti e si sono dimostrati funzionali al ritratto dei personaggi, come per quello di Elsa (interpretata da Antonella Lualdi). Nella stessa lettera Sapienza scrive:
Tutta la scena tra Anselmo, madre e padre va abbastanza bene solo che forse Elsa dovrebbe essere più presente… Potrebbe forse origliare e divertirsi un mondo di tutte queste cose che lei sa e che si è buttata dietro le spalle, odiando i genitori e il mondo, mentre l’ultima invece di essere un pettegolezzo verso le feste della Cherè potrebbero essere un avvicinamento tenero di consolazione verso il fratello, un che di curiosamente protettivo verso di lui […] misto ad un’ammirazione che la prende al sapere che il fratello ha rubato, ha fatto qualcosa di eccezionale ed eccentrico.[27]
Maselli inserisce questa scena, rendendo il personaggio di Elsa molto più accattivante, una «ragazzina, tenera, un po’ crudele, un po’ buona, un po’ balorda […], forse il personaggio più originale del film», come la disegna Sapienza con le sue parole. Il suo interesse particolare alla costruzione psicologica dei personaggi, alla profondità dei caratteri, alla coerenza delle azioni con le singole personalità e con lo snodo della narrazione, emerge come fattore caratterizzante di tutto lo scambio epistolare, e rimanda al suo futuro lavoro di scrittrice e alla centralità dei caratteri che animano le sue storie. Aggiunge in un altro passaggio:
[…] anche qui si sente ancora (e del resto naturalmente essendo una prima stesura) che i personaggi non agiscono mai in cattiveria o in bontà esattamente come del resto dovrebbero fare un po’ in tutto il copione. Mi spiego. Sembra, invece che siano cinque o sei caratteri, sia uno solo sminuzzato; tutti reagiscono allo stesso modo, hanno le stesse reazioni, ecc. […] la seconda parte è più bella assolutamente della prima, […] si sente lo sforzo ad entrare nell’azione: che sarà? […] Non c’è paragone tra il principio e la fine. Non aver paura di rivoluzionare il primo tempo, di levare e aggiungere. Non ti affezionare alle cose che ti possono pesare come piombo alle caviglie. Un’altra cosa: mentre nel II tempo la crudeltà di questi ragazzi è data in maniera brutale e precisa, riesce troppo cruda e leggermente astratta, appunto perché nel primo tempo non li hai visti bene nei loro lati migliori, non hai saputo scoprire le loro sofferenze. Insomma dal primo tempo già si sente che faranno delle cose crudelissime pur di apparire spensierati e sofferenti, almeno tormentati, così che quando si scatenano sembrano dei pupi invece che degli uomini. In una parola hanno una sola faccia. Se riesci a scavare di più il loro animo nel primo tempo, se riesci a coglierli nei loro momenti di debolezza con precisione maggiore […] sarà un bellissimo film ne sono sicura.[28]
Nello scambio epistolare emergono anche moltissimi riferimenti al suo grande amore per la letteratura, per i grandi classici che sin da bambina l’avevano nutrita e formata, e alla sua immensa cultura cinematografica. Espliciti sono i rimandi a personaggi letterari, a vicende particolari e ad atmosfere di illustri film.
Quello che mi dici di Ridolfi non mi sembra un guaio così grosso, anzi io credo che se riuscite a fare di questo personaggio, così eterno nel mondo, (guarda Pasternak: il personaggio seduce il secondo amore del protagonista e glielo porterà via, per metterla in salvo, quell'avvocato e uomo d'affari e di mondo insieme che è bellissimo nel libro, bellissimo e terribile come nei film di V. Stroheim) […]. Dicevo, se invece di un piccolo ladruncolo misero e senza interesse (e quindi convenzionale come è adesso) riuscite a farlo diventare un vero personaggio […] se lo fate repellente e virile potrebbe essere la figura più interessante del film. Pensa, scusa se mi ripeto, a Greed, secondo me. Ridolfi e Marina devono un po’ essere quel mondo lì. Cioè devono un po’ essere Marina come era il suo nonno che ha creato la fortuna della casa e Ridolfi il nonno stesso di una famiglia di affaristi che sorge. Se voi date questo con questi due personaggi (così come nei Buddenbroock c’è il nonno e da questo si arriva a Hanno, ti ricordi?) avrete il confronto, avrete la misura degli altri personaggi che al contatto con la cultura, tirati fuori dalla lotta immediata per la vita (vedi Thomas dei Buddenbroock ed il fratello fissato con le malattie) si sono […] impoveriti e secondo me, scusa se insisto, non sono ʻsciocchiʼ come ancora appaiono qualche volta nella sceneggiatura, ma... soffrono. È importante che soffrano, possono essere crudeli e spietati ma solo analizzando le loro debolezze e travagli potranno avere un peso poetico.[29]
Il cinema, la sua visione e il suo farsi, hanno avuto un’influenza potentissima sulla scrittura di Sapienza, che si può rintracciare nell’uso di un originale ʻstile cinematograficoʼ.Tutti i suoi romanzi sono attraversati da un costante riferimento al mondo dello schermo: i ricordi di bambina, le serate passate dentro la scatola magica del Cinema Mirone, le ore trascorse insieme al maestro puparo, il commendatore Insanguine, la sua esperienza attiva sul set. E come può una penna che è cresciuta a pane e cinema non trasferire nelle sue pagine questo modo di vedere la realtà? Tutti i suoi testi sono scanditi da una pulsione verso la figuratività che è strettamente legata allo sguardo filmico. Le parole di Goliarda Sapienza non raccontano semplicemente, ma offrono al lettore il film o la messa in scena della sua vita; sono figlie di un’esperienza da spettatrice che è stata quasi totalizzante, che ha segnato a tal punto la sua immaginazione creativa da indurla a ricorrere, a volte anche inconsciamente, al linguaggio del cinema o a forme narrative e di sguardo che lo richiamano.[30] L’assidua frequentazione delle sale e il trovarsi a fare cinema in prima persona, hanno influenzato a tal punto la scrittura di Sapienza da modificarne in un certo modo la percezione della realtà, per cui la sua idea dello spazio e del tempo sembra aderire a quella propria del cinema, un po’ come se per scrivere i suoi romanzi usasse una ʻstylo-cameraʼ, per parafrasare Astruc.
Ritornando alle lettere del carteggio, queste in realtà altro non sono che ‘appunti’ per una sceneggiatura non ancora ultimata, che dovrà essere rivista, passare da più mani probabilmente, sino a prendere la forma definitiva. Appunti certamente sui generis, come originale è questa modalità di collaborazione a distanza. Ma a maggior ragione questa pratica ci dimostra con forza quanto importante fosse per Maselli il pensiero di Sapienza, quanto fosse irrinunciabile la sua collaborazione ad ogni progetto del regista, sino a trasformare la ‘bottega di sceneggiatura’ di I delfini da luogo concreto a luogo metaforico, uno spazio in cui il continuo sovrapporsi di idee, sperimentazioni e correzioni ha messo in moto un processo di scrittura che è anche pratica d’intesa.
Per concludere questa prima ricognizione d’archivio, in una delle lettere che Maselli scrive in risposta a Sapienza, il regista sottolinea l’importanza del lavoro di ʻinedita sceneggiatriceʼ della sua amata compagna:
Cara Iuzza, ti scrivo in fretta. È incredibile ma il tempo sembra tanto e poi non se ne ha mai abbastanza. Dunque: ti ringrazio veramente[31] delle tue lettere che mi sono servite addirittura di base, sia psicologicamente che direttamente per questo lavoro […]. Giustissime tutte le cose che mi dici di Elsa e Anselmo, del gruppo, il suggerimento bellissimo sul ricatto genitori Fedora, l’esigenza di un’apertura tipo luna park. Tutto. Tutto materiale che sto rielaborando, ancora seguendo il tuo consiglio, dentro di me[32][…]. Vorrei molto parlare con te del film e mi consola il pensiero che dall’altra parte, moltissimo di quello che mi dovevi dare me l’hai dato nelle lettere […]. Ti amo. Citto.
Il caso de I delfini si rivela particolarmente significativo e illuminante per comprendere il ruolo cruciale giocato da Goliarda nella costruzione del cinema di Maselli. Le riflessioni della scrittrice, i suoi consigli, le sue parole si riverberano nelle inquadrature del film, ne definiscono l’ossatura, e sovente ne tracciano il carattere in profondità.
Sarebbe auspicabile e certamente necessario tentare di estendere l’indagine anche agli altri film, così da restituire a Sapienza il riconoscimento che merita.
*Questo contributo prende spunto da un mio saggio pubblicato in lingua inglese per la Fairleigh Dickinson University Press nel 2016, dal titolo Goliarda Sapienza. The Unknown Scriptwriter, frutto del mio intervento al convegno londinese Goliarda Sapienza in context, del 31 maggio - 1 giugno 2013. Il saggio era un embrione del mio lavoro per il Dottorato di ricerca, poi sviluppato nella stesura della tesi Goliarda Sapienza sceneggiatrice. Il caso “I delfini” attraverso un carteggio inedito (Università di Sassari, Tutor prof.ssa Lucia Cardone).
**L’epigrafe è tratta da Anonimo, ʻLettere di illustri letterati scritte alla celebre poetessa pallina Grismondi nata Contessa Secco-Suardo, fra le Arcadi Lesbia Ciloniaʼ, Bibliografia italiana, 73, febbraio 1834, p. 101.
1 G. Sapienza, L’arte della gioia, Torino, Einaudi, 2008.
2 C. G. Heilbrun, Scrivere la vita di una donna, Milano, La Tartaruga edizioni, 1990, p. 6.
3 G. Sapienza, La mia parte di gioia, Torino, Einaudi, 2013, p. 112.
4 L’intuizione di Sapienza sceneggiatrice (a parte le sporadiche dichiarazioni rilasciate da Maselli circa la collaborazione della sua compagna ai suoi lavori sino agli anni Sessanta) nasce dalla lettura di uno stralcio di lettera che mi ha portato alla ricerca e alla scoperta di altre missive che rappresentano un piccolo corpus epistolare, costituente l’ossatura del mio progetto di Dottorato. Queste lettere si sono rivelate di straordinaria importanza per il loro contenuto e mi hanno spinto a mettere in luce il prezioso lavoro di Sapienza al di qua della macchina da presa. Sono state utilizzate in modo particolare le lettere che la coppia si scambiava quando era lontana e impegnata in set diversi, ma anche i diari di Sapienza e le interviste a Maselli. In particolare, ho messo a confronto lo scambio epistolare che ha come oggetto la stesura della sceneggiatura del film I delfini, per mettere in luce l’apporto sostanziale di Sapienza alla scrittura di questa pellicola di Maselli e di altre ancora.
5 G. Sapienza, Il filo di mezzogiorno, Milano, Garzanti, 1969, pp. 78-79.
6 Per un quadro esaustivo sulle botteghe di scrittura cfr. G. Muscio, Scrivere i film. Sceneggiatura e sceneggiatori nella storia del cinema, Milano, Savelli Editori, 1981; F. Villa, Botteghe di scrittura per il cinema italiano, Venezia, Marsilio, 2002; M. Comand, Sulla carta. Storia e storie della sceneggiatura in Italia, Torino, Lindau, 2006.
7 Cfr. L. Cardone, ʻGoliarda Sapienza attrice nel/del cinema italiano del secondo dopoguerraʼ, in M. Farnetti (a cura di), Appassionata Sapienza, Milano, La Tartaruga edizioni, 2011, pp. 31-61.
8 Dall’intervista rilasciata a Giovanna Providenti, 22 dicembre 2006.
9 Ibidem.
10 Citto Maselli confessa l’apporto ʻsceneggiatorialeʼ di Sapienza nel testi di L. Miccichè (a cura di), Gli sbandati di Francesco Maselli. Un film generazionale, Torino, Lindau, 1998 e I delfini di Francesco Maselli. Dolce vita in provincia, Torino, Lindau, 1998, oltre che nelle interviste rilasciate a Giovanna Providenti nel 2006 e a me nel 2013.
11 L. Miccichè (a cura di), Gli sbandati di Francesco Maselli. Un film generazionale, p. 26.
12 Ibidem.
13 Ibidem.
14 Ivi, p. 31.
15 Mi riferisco a quello che in seguito citerò come ‘carteggio delfinianoʼ e che è l’ossatura del mio progetto di Dottorato. Le lettere si trovano a Roma nell’Archivio Sapienza Pellegrino, dove ho avuto modo di analizzarle.
16 Cfr. G. Muscio, Scrivere i film. Sceneggiatura e sceneggiatori nella storia del cinema, p. 89.
17 Dall’intervista a Citto Maselli rilasciata a Giovanna Providenti il 22 dicembre 2006.
18 Da una mia intervista a Citto Maselli del 31 ottobre 2013.
19 Ibidem.
20 Ibidem.
21 G. Sapienza, Lettera a Citto Maselli, senza data, conservata in Archivio Sapienza Pellegrino. Tutte le lettere citate sono documenti ancora inediti che ho avuto modo di leggere e analizzare per il mio progetto di Dottorato di ricerca.
22 Ibidem.
23 M. Monicelli citato in G. Muscio, Scrivere i film. Sceneggiatura e sceneggiatori nella storia del cinema, pp. 99-100.
24 F. Maselli, Lettera a Goliarda Sapienza, marzo 1951.
25 G. Sapienza, Lettera a Citto Maselli, 14 aprile 1951.
26 G. Sapienza, Lettera a Citto Maselli, estate 1959.
27 Ibidem.
28 Ibidem.
29 Ibidem.
30 La sua scrittura è già cinema per l’uso che fa del lessico cinematografico, come quando in Le certezze del dubbio vede «le strade appena rischiarate dalla “diffusa” della prealba» (G. Sapienza, Le certezze del dubbio [1987], Torino, Einaudi, 2013, p. 106); o come in Il filo di mezzogiorno, quando narra dei racconti che nascevano da lei e dal suo compagno Citto e si trasformavano poi in «materiale plastico […] primo piano […] piano americano […] trentacinque […] dolby». (G. Sapienza, Il filo di mezzogiorno, Milano, Garzanti, 1969, p.79). E sono cinema le sue visioni ʻin soggettivaʼ, come quelle dalla sua cella di Rebibbia: «Scorgo allo spioncino un carrello immenso con due donne che ci trafficano intorno. Di una vedo solo la schiena enorme, l’altra, giovanissima e paffutella, i modi bruschi da contadina […]. Non mi dà dolore seguire allo spioncino figurette che scivolano rapide nell’ombra come pesci colorati in un acquario, alcune lente e pesanti. Richiami, sospiri, un fischietto duro e sonoro come quello di un ragazzo: deve essere di quella ragazzina piccola e snella in jeans e giubbotto nero che passa svelta, le mani in tasca, la zazzera all’aria […]. Fino alla fine mi godo quel movimento» (G. Sapienza, L’università di Rebibbia, Rizzoli, Milano, 2006, pp. 15-16).
31 La parola è sottolineata nella lettera manoscritta.
32 Ibidem.