L’Edipo re tra colpa e destino

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Edipo re, una favola nera, in scena al Teatro Elfo Puccini nel marzo 2022, è uno spettacolo che vuole porre l’attenzione sulla rilettura del mito di Edipo con una sfumatura fiabesca e dark. Dalla drammaturgia alla messa in scena del testo, dalle musiche alla scenografia, tutto porta alla creazione di una costellazione sempre più ampia ed esplicativa che permette di decifrare questo mito in chiave contemporanea. Lo scopo che lo spettacolo si prefigge è quello di riflettere sull’archetipo della figura di Edipo e di proporlo al pubblico trasformato e arricchito da tutta la letteratura che questo testo ha ispirato. In particolare, il saggio analizza alcune scene dell’opera e i dispositivi scenici, prestando particolare attenzione al filo conduttore del destino che attraversa l’intera vicenda. 

Edipo re, una favola nera, a play staged at the Teatro Elfo Puccini in March 2022, focuses on a reinterpretation of the Oedipus myth in a dark, fairy-tale key. From the dramaturgy to the staging of the text, from the music to the set design, everything leads to the creation of a broader, more complete and explanatory constellation that allows this myth to be deciphered in a contemporary key. The aim of this performance is to reflect on the archetype of the Oedipus myth and to propose it to the audience under a new key. In particular, this text analyses several scenes from the opera paying particular attention to the common thread of Edipo’s fate that runs through the whole story. 

1. La fiaba nel mito

Tra le produzioni del 2022 il Teatro Elfo Puccini di Milano annovera lo spettacolo Edipo re, una favola nera, andato in scena in prima nazionale il 15 marzo 2022, presso la sala Shakespeare. La regia e l’adattamento del mito, firmati da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, intendono proporre una lettura in chiave contemporanea dell’Edipo re di Sofocle. L’aggiunta di «una favola nera» al titolo, infatti, annuncia un nuovo e diverso punto di vista sulla nota tragedia ed è l’idea centrale da cui affrontare l’analisi di questo spettacolo. Il sottotitolo denuncia, infatti, l’operazione artistica alla base dello spettacolo e va analizzato nei dettagli: il termine ‘favola’ rimanda all’antico genere esopiano, ma la struttura che emerge dal percorso di ripensamento e di montaggio è piuttosto quella tipica della fiaba. L’interferenza tra i due generi probabilmente è dovuta al fatto che c’è un rimando alla favola esopiana, ma la narrazione è assimilabile alla fiaba magica studiata da Propp, poiché l’andamento della storia di Edipo diventa quello del bambino, trovatello, che lentamente va incontro al suo destino affrontando una serie di prove. La conversione del mito in fiaba rispecchia l’idea di teatro dei due registi, cioè quella di narrare storie che possano arrivare al pubblico suscitando domande sul mondo contemporaneo, invitando a un’interrogazione non sul punto di partenza, ma su quello d’arrivo. Trasformare il mito in ‘favola’ implica trasporre una storia adattandola al linguaggio teatrale dell’epoca che lo fruisce; questo processo permette di rendere le tematiche più vicine al pubblico di oggi e di far emergere le relazioni tra il mondo antico e quello attuale, coinvolgendo gli spettatori in un percorso di riflessione e confronto. Il mito, quindi, diventa specchio per analizzare le dinamiche sociali, le ingiustizie, i conflitti o le problematiche di ieri e di oggi, ma riuscendo a mantenere una distanza critica, dal momento che la narrazione, travestita da fiaba, assume l’aspetto di un racconto solo apparentemente non contemporaneo.

L’aggettivo ‘nera’, invece, attira l’attenzione sul dolore insito nel mito e sulla cupa storia degli eventi tragici. Qui ‘dark non è solo la vicenda, ma anche parte dell’atmosfera creata dalla scenografia, dalle luci e dalla musica; infatti, in diversi momenti dello spettacolo sul fondale vengono proiettati disegni, un collage animato che sottolinea l’anima tormentata di Edipo e che vuole mostrare il lato psicologico e interiore del protagonista, i suoi sogni e la sua anima offuscata da un nero destino. Le immagini aggiungono quindi un ulteriore livello interpretativo e immaginativo a tutta la messa in scena. In un’intervista, Ferdinando Bruni spiega il motivo del sottotitolo:

 
Alla fine cos’è l’Edipo di Sofocle se non una fiaba? C’è un trovatello, non c’è la strega cattiva ma un oracolo che dice che ucciderà i genitori, quindi lo abbandonano nel bosco; lui diventa un principe, torna a Tebe, sconfigge il mostro che sta alle porte della città e uccide i giovani, sposa la regina... e qui però manca il lieto fine. Perché la regina è sua mamma. E la favola diventa nera.[1]
 

La trama di Edipo, come ricorda Bruni, richiama la struttura delle fiabe analizzate da Propp, ad eccezione del finale, poiché non c’è il classico ‘vissero tutti felici e contenti’. Che tale elemento non sia tratto essenziale del genere può d’altronde trovare conferma tra le fiabe dei fratelli Grimm, che sono spesso connotate da un’atmosfera cupa e rappresentano le paure infantili e le radici psicologiche che stanno dietro un avvenimento o un fatto negativo.[2] Infatti, i racconti raccolti dai Grimm sono parte di una tradizione popolare e per questo risultano strettamente collegati ai miti, e spesso non hanno il lieto fine.

Nel rimando alla fiaba coesistono i due filoni di questo spettacolo: quello psicologico e quello popolare che si inserisce perfettamente nella poetica del Teatro. Il percorso che ha portato il Teatro dell’Elfo verso questa nuova messinscena di Edipo re dura da diversi anni. È infatti iniziato con Verso Tebe. Variazioni su Edipo nel febbraio 2020, sempre per la regia di Bruni/Frongia, ed è proseguito con la ripresa di Alla Greca nel luglio del 2022; tutti progetti uniti dall’idea di riflettere sull’archetipo del mito attraverso diversi punti di vista. Verso Tebe per l’Elfo è la prima tappa dello studio del testo di Sofocle, e può essere inteso come una prefazione dal gusto punk e dark che preannuncia l’atmosfera da ‘favola nera’ dello spettacolo successivo. Scrive Martina Treu su Stratagemmi Prospettive Teatrali: «Verso Tebe. Variazioni su Edipo, come rivela il titolo, è un work in progress in forma di concerto dove le voci si intrecciano e si sovrappongono, dove il mito si specchia in molte immagini riflesse (non in una lente, ma in un caleidoscopio)».[3] Il copione, letto dagli attori in scena, è un insieme di testi di diversi autori che nei secoli hanno riscritto il mito: questa è la prima consonanza con Edipo re, una favola nera, che ha in comune con la versione precedente anche gli stessi registi e attori: Edoardo Barbone, Ferdinando Bruni, Mauro Lamantia, Valentino Mannias.

Le differenze invece sono molteplici: mentre la prima versione si serviva di uno spazio scenico con il pubblico disposto sui quattro lati, la seconda rispetta l’assetto classico che vede lo spettatore posto frontalmente al palco. Un’altra riguarda il riferimento alla fiaba; infatti, l’operazione spettacolare attuata nella seconda versione è stata quella di ricreare una storia di Edipo declinata attraverso i testi che nei secoli hanno rivisto, citato e riletto il mito. La riscrittura in chiave fiabesca, in questo caso, ha permesso di connettere un mito antico ad un pubblico che apparentemente non ha più legami con la tragedia, ma mantiene una forte connessione con l’oralità del racconto e quindi con la pratica teatrale, cosicché per lo spettatore di oggi Edipo diventa una vicenda primordiale dell’inconscio umano, non a caso usata anche in ambito psicoanalitico.[4]

Il successo dello spettacolo ha richiamato in sala non solo il pubblico, già fruitore della prima versione della storia, ma anche lo spettatore generalmente interessato alla tragedia greca: la creazione di un sequel della vicenda di Edipo ha riportato la storia ad un linguaggio contemporaneo da serie televisiva e ha dimostrato come sia possibile rileggere ancora oggi un mito riscritto centinaia di volte. I registi sono riusciti così, ancora una volta, a ricreare quella comunità teatrale che da sempre si pone come un punto di forza e di orgoglio dell’Elfo Puccini. Non a caso, nel manifesto dell’Elfo sono citate le parole tratte dal testo Per un teatro povero di Jerzy Grotowski: «possiamo perciò definire il teatro come “ciò che avviene tra l’attore e lo spettatore”».[5] Questa affermazione conferma che il legame tra pubblico e palcoscenico è fondamentale per la messa in scena di uno spettacolo: è il rapporto individuale, umano e allo stesso tempo collettivo ciò che la comunità artistica del Teatro cura e a cui è interessata.

Addentrandoci nell’analisi della messa in scena dell’opera si possono riconoscere, nella drammaturgia riscritta da Bruni/Frongia, contributi testuali tratti non solo da Sofocle, ma anche da Seneca, Dryden e Lee, Dürrenmatt, Berkoff, Thomas Mann, Hoffmansthal, Cocteau e Pavese. L’uso di testi di diverse epoche ha portato ad una radicale riscrittura del mito, uniformato da un nuovo lavoro di traduzione sia della parte classica sia di quella moderna, per ricreare un linguaggio ritmicamente omogeneo nel passaggio tra i vari autori.

 

2. Tre linee di lettura

I nuclei tematici su cui i due registi si sono soffermati per farne punti di sviluppo dello spettacolo sono: la scena con la sfinge, il rapporto tra Giocasta e Edipo, il fil rouge del destino dell’uomo che percorre tutta la vicenda. Queste tre linee di lettura si discostano dallo scritto originale di Sofocle, mentre recuperano contenuti dai testi aggiunti e concorrono alla rilettura che la nuova regia ha voluto offrire del mito conosciuto.

La presenza della scena della sfinge si riferisce a due copioni molto differenti; in primis a Ödipus und die Sphinx (Edipo e la Sfinge, 1906) di Hugo von Hofmannsthal, da cui lo spettacolo dell’Elfo estrapola l’episodio che nell’Edipo Re di Sofocle costituiva solamente l’antefatto appena accennato in un inciso della tragedia. In secondo luogo, per la caratterizzazione dei personaggi, Bruni/Frongia hanno preso spunto dall’Edipo di Steven Berkoff, che descrive la sfinge, nel suo Greek (Alla Greca), come «una femminista convinta, il cui obiettivo principale è quello di asservire l’uomo, ritenuto la causa dei mali che affliggono la società».[6]

Foto di Lorenzo Palmieri, La Sfinge, 2022, dal sito del Teatro Elfo Puccini

La sfinge, interpretata da Ferdinando Bruni, è il mostro che minaccia la città e, appostata alle porte di Tebe, pone i suoi enigmi ai passanti: l’unico modo per sconfiggerla e ucciderla è rispondere correttamente alla domanda. Tutta la scena viene riletta in chiave comica, richiamando una modalità che rimanda alla Commedia dell’Arte: la sfinge è una maschera, un Arlecchino burlesco e al contempo demoniaco, affamato di vite umane, che si beffa dei suoi nemici e il cui unico scopo è uccidere; la sua battuta è come una filastrocca che usa per attirare a sé i viandanti, per sfidarli e per portarli nella sua trappola mortale:

 
SFINGE: Ehi, chi sei, tu, piccoletto? / Schizzettino di pisello... / Tu, scherzetto di natura, / Ti presenti in piena notte per risolvere il mio enigma? / Vuoi sfidare me, la Sfinge? / Vaffanculo, brutto verme. / Ti decapito, ti strappo / lingua e occhi dalla faccia e ci faccio un bell’arrosto. / Omettino, nullità, tu bestemmia della specie.[7]
 

Oltre a recitare le battute in modo canzonatorio l’attore indossa una maschera, sia per rendere riconoscibile al pubblico il personaggio, sia per farsi identificare come una figura mitica: essa risulta una commistione tra mitico e fanciullesco, una dimensione allo stesso tempo non umana e terrena.

 
L’uso della maschera (di Elena Rossi) non fa che sottolineare il tentativo – umano, disumano – di cancellare, o almeno celare nell’altro da sé, la macchia, la colpa che già il destino porta in grembo, quella maternità corrotta che la società non potrà mai emendare.[8]
 

Dal registro linguistico già da questa scena, che è una delle prime dello spettacolo, si evince come Edipo sia l’unico vero essere umano della tragedia. Il protagonista, a differenza dei personaggi mitici e mitizzati, come per l’appunto la sfinge, Tiresia e persino Giocasta, rimane ancorato alla realtà, sia nei dubbi che solleva, sia nel modo di esprimersi. L’uso della parola in questo testo è fondamentale per spiegare e delineare il profilo dei personaggi: ad esempio la risposta di Edipo alla sfinge mostra l’impulsività giovanile e la non consapevolezza del pericolo, dunque l’incoscienza tipica dell’essere umano:

 
EDIPO: La morte può atterrire soltanto i malvagi
Per i puri di cuore è uno spauracchio che si traveste
Per spaventare i bambini.
 
SFINGE: Con troppa leggerezza parli
Di morte e Inferno. Vieni più vicino
Che ora ti informo meglio.[9]
 

Edipo è l’emblema dell’individuo soggetto al destino e allo stesso tempo artefice del proprio percorso. Risolto l’indovinello e sconfitta la sfinge, il protagonista entra nella città di Tebe dove incontra Giocasta, con la quale convolerà a nozze. Il rapporto d’amore tra Edipo-Valentino Mannias, e Giocasta, interpretata da Mauro Lamantia, occupa la seconda scena fondamentale per l’analisi dello spettacolo. La scelta di usare un attore uomo per l’interpretazione della parte femminile è spiegata da Ferdinando Bruni come un recupero filologico, dato il richiamo alla prassi del teatro greco antico di servirsi solamente di attori maschi per tutte le parti. La relazione tra madre e figlio, inoltre, è recuperata dall’Edipo di Dryden e Lee pubblicato nel 1679, dove i due autori post-shakespeariani analizzano in modo approfondito il legame tra Giocasta ed Edipo, creando una sotto-trama autonoma rispetto a quella della tragedia originale di Sofocle. L’utilizzo di questo riferimento è così motivato da Bruni: «Abbiamo inserito Dryden e Lee, due autori barocchi, che hanno costruito un Edipo molto complesso. Quello che abbiamo preso dal loro testo è il bellissimo rapporto tra Giocasta ed Edipo e in particolare l’addio tra i due».[10] La parte più interessante della scena è proprio il momento in cui, dopo lo sposalizio (una cerimonia realizzata con due enormi vestiti/monumento che vengono calati sugli attori), viene narrata la prima notte di nozze e i successivi anni di vita comune. Durante il racconto degli stessi protagonisti, l’ambiente intorno a loro si trasforma: i due vestiti nuziali spariscono, il palco rimane scarno e i due amanti restano a terra abbracciati ed inermi. Da questa immagine si coglie la duplice lettura che i registi hanno attribuito al testo: se il primo binario è sicuramente legato all’innaturalità di quanto accaduto sul palco, ovvero madre e figlio che si uniscono in matrimonio, il secondo, grazie al lavoro degli attori, è l’amore vero e sincero che i due provano l’uno per l’altro, ignari della sventura che si sta per abbattere su di loro. Quello che arriva al pubblico, grazie agli attori che pronunciano con tono intimo e dolce le parole del testo, alla fine è un amore puro, un affetto che non è discutibile e se per un attimo non si pensa al legame di parentela che c’è tra i due protagonisti si può riconoscere, nelle dolci parole che si rivolgono, un sentimento universale: quello tra semplici amanti.

 
EDIPO: Stiamo già dormendo, povera cara... Ma dobbiamo star svegli. Giocasta, ti supplico – mi stai a sentire? – se dovessi addormentarmi, svegliami, te ne prego, scuotimi e io farò lo stesso se ti addormenti tu. Dobbiamo impedire che questa notte così unica sprofondi nel sonno. Sarebbe troppo triste...
 
GIOCASTA: E perché mio folle adorato? Abbiamo tutta una vita davanti a noi... Ecco, lo vedi? Stai già dormendo...[11]
 

Questa pace e l’idea di un futuro sereno è solo apparente; infatti, appena l’illusione della verità della scena si insinua nel pubblico, ecco che una voce inonda il palco e riporta in superficie quello che sembrava ormai nascosto:

VOCE: E l’anima in superficie simulava e fingeva, ma giù nel profondo, dove abita silenziosamente la verità, lì non c’era stata illusione alcuna; anzi quell’identità le si era rivelata subito, al primo sguardo e consapevole-inconsapevole si era presa il figlio per marito, perché soltanto lui le era pari.[12]

La verità, dunque, come pilastro di ricerca basilare: è per la verità che Edipo va a Tebe e uccide Laio, è per conoscere la verità che sfida la sfinge, interroga Tiresia, incontra Caronte e il servo. Tutte le sue vicende ruotano intorno al bisogno costante di arrivare alla conoscenza del vero, di ricostruire la sua provenienza e indagare le sue origini, la determinazione nel volerlo scoprire lo portano infatti a scontrarsi con l’inevitabile destino. Il fato è il grande tema che percorre la tragedia, come un personaggio inesistente che guida tutte le scelte degli altri protagonisti. «Fu la colpa o il destino, fu l’uomo o furono gli dèi?»:[13] la frase citata, tratta da La morte della Pizia di Dürrenmatt, è presente nello spettacolo come un mantra. In un’intervista apparsa su La Repubblica Ferdinando Bruni conferma questa linea di lettura della tragedia:

Il tema principale per noi è quello del destino, il complicato rapporto fra libertà e necessità, fondativo di questa società occidentale figlia dell’Illuminismo, che per fortuna continua a nutrire grande fiducia nella ragione. Ma la tragedia ci insegna che la ragione, grande mito della modernità, non risolve tutto. La morte esiste, il destino esiste, esistono cose che non puoi controllare, anche se la versione più pacchiana, americana, dell’Illuminismo dice che se vuoi veramente una cosa la puoi ottenere.[14]

L’idea che ragione e destino siano collegati tra loro indissolubilmente non è solo tipica di questa rilettura di Edipo; anzi, è una riflessione che anche Pavese propone nel suo Dialoghi con Leucò, da cui Bruni/Frongia traggono spunto per diversi passaggi, tra cui oltre alla scena che riguarda Tiresia, anche un’idea più generale del legame che c’è tra l’uomo e la sua sorte, in questo caso decisa dagli dèi. Nelle parole del Cacciatore si trova un riferimento a quest’ultimo concetto:

SECONDO CACCIATORE: […] Gli dèi non ti raggiungono né tolgono nulla. Solamente, d’un tocco leggero t’inchiodano dove sei giunto. Quel che prima era voglia, era scelta, ti si scopre destino. Questo vuol dire, farsi lupo.[15]

 

La fatalità del destino va contro la volontà del singolo: malgrado esista la ragione, esistono anche il dolore e il male contro cui l’uomo non può fare nulla. Edipo vuole sfuggire al fato, ma non ci riesce: proprio nel tentativo di evitarlo si imbatte in esso e senza saperlo compie atti di cui consciamente mai avrebbe voluto macchiarsi. Questo è il vero dramma del re di Tebe: sfuggire a sé stesso e non riuscirci in nessun modo, poiché il suo futuro è segnato. In questa messa in scena si percepisce chiaramente come Edipo non si lasci trascinare dal destino, ma anzi combatta per contrapporsi ad esso: egli vive un dissidio interiore e umano di dubbi ed incertezze in cui il pubblico si può immedesimare e riconoscere. Ecco, dunque, che l’Edipo dell’Elfo è una storia vera, rivolta al contemporaneo, non solo per il linguaggio e per la riscrittura del testo, ma anche per i valori che esso trasmette. Edipo è un uomo e come tale si mostra al pubblico, con i suoi difetti e i suoi pregi, con la cecità che contraddistingue il non sapere e il non prevedere cosa accadrà, con i sentimenti che quotidianamente ci appartengono e che vedendoli espressi su un palcoscenico portano lo spettatore all’immedesimazione e allo stesso tempo alla riflessione.

 

3. Il tappeto sonoro e visivo intorno al testo

Nell’Edipo scenografia, costumi e musica creano un tutt’uno con il testo, a tal punto da costruire un legame indissolubile tra la musica e il coro, tra i costumi e la lettura contemporanea delle azioni. La scena si presenta all’immaginario collettivo richiamando un paesaggio mediterraneo e allo stesso tempo rimandando a un luogo altro, archetipico, lontano:

Un racconto rapsodico che mescola il tragico ai toni del grottesco; un ritmo tribale accompagna la vicenda effettiva ma anche quella che dal passato emerge nei toni sinistri del suono (di Giuseppe Marzoli), nelle proiezioni stilizzate sul fondale in cui si impongono un feto e poi una figura scheletrica, per condurre dall’avvento della vita all’epilogo della morte.[16]

La scenografia di Ferdinando Bruni ispirata a Iannis Kunellis, artista e scultore greco esponente dell’arte povera, utilizza materiali e forme di una cultura mediterranea arcaica. Il palcoscenico è diviso in due sezioni: una parte verso il proscenio, ricoperta di sabbia e pietre, e una più interna, creata con una passerella di legno chiaro, quasi un rimando al teatro Nō giapponese. I due spazi delimitano nella messa in scena un luogo generico, dove avvengono le vicende al chiuso, e un luogo esterno, in cui si succedono i viaggi e gli incontri sulla strada; le quinte invece sono fatte da sacchi di carbone.

Una scena significativa, che acquista un rilievo particolare e una fascinazione maggiore proprio grazie alla scenografia, si ha durante l’accecamento di Edipo, quando dall’alto scendono lentamente teli rosso fuoco che rappresentano lacrime di sangue e propongono una visualizzazione del dolore. La perdita della vista è una scena fondamentale in Edipo poiché è il simbolo della cecità dell’essere umano di fronte alla conoscenza, ecco dunque il contrasto creato dai registi, il buio dato dal non vedere più accompagnato dal dolore diventato visibile, agli occhi del pubblico, grazie ai teli rossi che silenziosi calano sul palco. Una scena che gioca sulla sinestesia: la sofferenza non si sente ma si vede e questo la rende ancora più agghiacciante. Usare i sensi in opposizione è un espediente che verrà usato per tutto lo spettacolo, sarà sempre la vista a far leggere ciò che è tendenzialmente invisibile come per l’appunto il dolore, l’inconscio e i pensieri. In particolare, i disegni animati proiettati sullo sfondo, suggeriscono il risvolto inconscio di ciò che viene presentato sul palco svelando in scena un ulteriore significato nascosto che si annida nella mente dei personaggi.

Un altro elemento visivo che completa la scenografia sono i costumi di Antonio Marras, realizzati da Elena Rossi e Ortensia Mazzei, una combinazione sia di rimandi ancestrali, sia di tratti moderni: un esempio di questa commistione di stili lo si può ricontrare nel costume della sfinge, che indossa guanti neri di gomma a cui sono state applicate unghie lunghissime, un corpetto chiaro di garze e stoffe e un kilt scozzese, e porta sulla schiena una fascina di rami secchi. Il costume di Tiresia, invece oltre ad avere i colori della terra e l’immancabile bastone, prevede bende macchiate che ricoprono il volto e degli occhiali da soldato-aviatore, per simboleggiare colui che viaggia nel tempo.

Antonio Marras, La Sfinge, disegni preparatori e bozzetti dei costumi, 2022, dal sito del Teatro Elfo PucciniAntonio Marras, Tiresia, disegni preparatori e bozzetti dei costumi, 2022, dal sito del Teatro Elfo Puccini

Il bozzetto dei costumi è stato ideato da Antonio Marras direttamente addosso agli attori: «ogni personaggio ha un abito identificativo modellato su di sé».[17]

Questa caratterizzazione non vale per gli abiti del coro, che sono neri e neutrali, sia per stile sia per genere: infatti, comprendono una giacca lunga e una gonna con decori e rifiniture rosse. L’insieme delle suggestioni antico/moderno, grazie ai materiali usati sottrae i costumi a un rimando temporale preciso e li fa sembrare senza epoca. Di particolare interesse risultano i due vestiti/monumento dello sposalizio tra Giocasta ed Edipo, creati con il riutilizzo di vecchi abiti da sposa: l’abito di lei, bianco, e quello di lui, nero, sovrastano il palco e scendono dall’alto, a voler simboleggiare quasi la mano degli dèi e la profezia che incombe sulla loro storia. Gli abiti rappresentano un potere che non si può contestare e che opprime e condanna i due personaggi al loro destino: «I suoi costumi sono un lavoro di drammaturgia: nella scena delle nozze di Edipo e Giocasta due enormi mantelli che sembrano gabbie scendono sugli sposi e li imprigionano; li incastrano nei ruoli che finiranno col distruggerli».[18]

Foto di Lorenzo Palmieri, Sposalizio, 2022, dal sito del Teatro Elfo Puccini

Quando i vestiti risalgono e spariscono nella soffitta teatrale, Edipo e Giocasta rimangono sul palco seminudi e si allontanano lentamente uscendo dalla scena. L’immagine che si palesa sul palco riprende il celebre affresco La cacciata dal paradiso terrestre di Masaccio, perché proprio in quel momento finisce l’idillio dei protagonisti e inizia il loro inferno, i due a capo chino e, vergognosi degli atti compiuti, si avviano a vivere il resto della loro vita uscendo di scena; non è casuale neanche che si siano spogliati degli abiti e siano, come nel dipinto, quasi completamente nudi, senza difese.

Insieme ai costumi, a identificare i personaggi ci sono delle maschere, create da Elena Rossi, che servono a diversificare i vari ruoli, in quanto gli attori in scena sono solo quattro. La base della struttura è fatta con un filo di corda – a cui sono incollati vari materiali grezzi ed eleganti, come la cartapesta e i rami usati per esempio in quella della sfinge – e con colori sgargianti quali oro e argento, dati da perline, paillettes o vernice che mettono in risalto i tratti del volto nascosto, le sopracciglia o la linea del naso. L’unico senza maschera è Edipo, colui che cerca la propria identità, mentre tutti gli altri, anche per la molteplicità dei ruoli che ogni attore deve interpretare, indossano questo prezioso oggetto che dona all’attore una staticità d’espressione e allo stesso tempo veicola la parola in modo diretto.

Foto di Lorenzo Palmieri, Il coro, 2022, dal sito del Teatro Elfo Puccini

La musica interviene invece nelle parti riflessive del coro, che nell’economia complessiva dello spettacolo viene rappresentato come un annunciatore di malaugurio e di disgrazie: gli attori Edoardo Barbone, Ferdinando Bruni, Mauro Lamantia, come dei corvi, gracchiano la profezia a Edipo. La musica che accompagna il coro è del cantautore australiano Nick Cave, che grazie al suo ‘recitar cantando’ ha permesso l’inserimento della sua voce nelle parti del coro. La musica di Cave è stata ricampionata da Giuseppe Marzoli, che togliendo la voce e mantenendo la melodia dei brani, è riuscito a conciliare il ritmo della composizione con quello del testo riscritto per il coro: i due elementi si completano così a vicenda e danno vita a un’esecuzione dalle risonanze rock alternative. A tal proposito, in un’intervista Frongia ha parlato del «tappeto sonoro di musica cadenzata e di ritmo che scandisce duramente lo scorrere del tempo e il pensiero dell’azione» come di una richiesta verso un aldilà interrogato, ma che non darà mai risposta».[19] Il tempo è calcolato in base alla musica e alla luce, il suo scorrere si percepisce a volte rallentato, ampliato, e a volte accelerato, secondo un ritmo ancestrale che si connette al battito cardiaco dell’attore in scena e del pubblico in platea.

La scenografia, i costumi, l’ambientazione e la musica completano il testo e arricchiscono di significato la storia della tragedia, rendendo più chiara l’idea di fiaba che i due registi hanno voluto porre alla base della messa in scena; infatti, mentre il mito ha riferimenti più vaghi, anche nell’ambientazione, la fiaba si nutre di rimandi concreti. Ecco, dunque, che i riferimenti a paesaggi archetipici e mediterranei, ad abiti che recuperano diverse influenze tra tessuti grezzi e oggetti di tutti i giorni, a una musica riconoscibile perché appartenente ad un genere contemporaneo, aiutano lo spettatore a ricollocare il genere della fiaba entro una tradizione più popolare che mitica. Tutti questi fattori contribuiscono a inserire la storia di Edipo nella poetica del Teatro dell’Elfo, guidando il pubblico nel processo di comprensione dei personaggi e della vicenda.

La rilettura del mito del teatro dell’Elfo realizza, attraverso la letteratura su Edipo e la riscrittura scenica, uno spettacolo che non solo rilegge la storia del re di Tebe in chiave contemporanea, ma dimostra anche la necessità del mito oggi. A sostegno di questo orientamento si trova un interessante punto di contatto nelle parole introduttive all’ultima edizione Einaudi dei Dialoghi con Leucò, in cui si legge:

Mito è, nello stesso tempo, qualcosa di necessario e di impossibile. Necessario perché è la sostanza stessa della nostra vita, che non è mai vita naturale e immediata ma sempre implica investimento di senso e quantomeno superstizione, se non religione. Necessario anche perché esistere significa restare sia pur solo ritualmente in rapporto con una provenienza, anche quando negata, al punto che non averne nessuna o rifiutarla segna l’individuo non meno che il puro e semplice riposare in essa. Necessario infine perché non c’è processo simbolico che non sia avviato da un’iniziale emozione poetica, come dimostra il fatto che conoscere è ridestare alla memoria, gioire è ricordare l’immemorabile. Tuttavia impossibile, il mito.[20]

Anche per Frongia e Bruni il mito è necessario, poiché mostra l’essere umano in tutte le sue sfaccettature e ne analizza i pensieri, le azioni e le conseguenze; per questo motivo compatiamo Edipo per il suo destino, capiamo il dolore di Giocasta, ci immedesimiamo in uno o in un altro personaggio e sebbene la loro vicenda sia inizialmente percepita come lontana dal nostro tempo, ne scopriamo (in seguito) la vicinanza a noi e ai nostri sentimenti. Gli stessi registi intendono la tragedia come uno strumento che aiuta a capire l’animo umano e allo stesso tempo pone delle domande per una profonda conoscenza di sé e anche dell’orrore.[21] Ecco che il valore psicanalitico dell’Edipo, ma in generale della tragedia, intesi come strumento catartico per l’essere umano, avviene anche in questo caso. Il mito, trasformato in fiaba, riesce ad avvicinarsi al canone immaginativo dello spettatore e quindi a risultare più comprensibile a livello interpretativo e analitico. Così lo spettatore, uscito dallo spettacolo, si ritrova ad aver appreso e assimilato la vicenda di Edipo come storia fallace e quindi estremamente umana, nella quale tutti si possono riconoscere. Quando a Frongia e Bruni viene chiesto come sia possibile uscire da questa ‘favola nera’, i due registi rispondono con le seguenti parole:

 

Fongia: Malgrado tutto, sollevati. La tragedia ci aiuta da sempre a capire i momenti di grande trasformazione.
Bruni: E con delle domande. Come nella Morte della Pizia: “Fu la colpa o il destino, fu l’uomo o furono gli dèi?”. È il vero valore psicoanalitico di Edipo: porsi domande continue, andare indietro, andare a fondo della conoscenza di sé, anche a costo di scoprire l’orrore.[22]

 

Per la possibilità di consultare il copione dello spettacolo EDIPO RE, una favola nera. Uno spettacolo di Bruni/Frongia, conservato presso l’Archivio del Teatro Elfo Puccini, si ringrazia la dott.ssa Alessia Rondelli.

Si ringrazia, per l’autorizzazione alla riproduzione delle immagini per uso di critica a scopi di ricerca scientifica e con finalità illustrative e non commerciali, il Teatro Elfo Puccini e Barbara Caldarini.

 


1 A. Solaro,‘Questo Edipo si libera di tutti i suoi complessi’, La Repubblica, 24 settembre 2021.

2 Al proposito si veda l’interpretazione che Bruno Bettelheim ha offerto delle fiabe dei fratelli Grimm nella sua opera Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Milano, Feltrinelli, 2018, pp. 16-17.

3 M. Treu, ‘Antigone, Edipo e la lunga notte dei teatri – Una trilogia slegata’, Stratagemmi Prospettive Teatrali, 21 maggio 2021 <Antigone, Edipo e la lunga notte dei teatri – Una trilogia slegata | Stratagemmi Prospettive Teatrali> [accessed 30.03.2023].

4 Dalla dichiarazione di Francesco Frongia nell’ambito dell’incontro con gli studenti dell’Università degli studi di Milano, avvenuto il 10 marzo 2022 presso il Teatro Elfo Puccini di Milano.

5 Cfr. il sito dell’Elfo Puccini (www.elfo.org), che ricava a sua volta la citazione da J. Grotowski,‘Per un teatro povero’, Milano, Bulzoni, 1970, p. 41.

6 F. Puccio, ‘Alla greca di Steven Berkoff. Un Edipo contemporaneo sulle rive del Tamigi’, Dionysus ex Machina, XI, 2020, p. 271 <Puccio_DEF.pdf (dionysusexmachina.it)> [accessed 30.03.2023].

7 Copione dello spettacolo Edipo re, una favola nera. Uno spettacolo di Bruni/Frongia, p. 4.

8 S. Nebbia, ‘Edipo dell’Elfo. La colpa e il destino’, teatroecritica, 6 aprile 2022 <Edipo dell'Elfo. La colpa e il destino - Teatro e Critica> [accessed 30.03.2023].

9 Copione dello spettacolo Edipo re, p. 4.

10 Dalla dichiarazione di Ferdinando Bruni nell’ambito dell’incontro con gli studenti dell’Università degli Studi di Milano, avvenuto il 10 marzo 2022, presso il Teatro Elfo Puccini di Milano.

11 Copione dello spettacolo Edipo re, p. 4.

12 Ibidem.

13 Ivi, p. 21; cfr. F. Dürrenmatt, La morte della Pizia, Milano, Adelphi, 1988, p. 39.

14 A. Solaro, ‘Questo Edipo si libera di tutti i suoi complessi’.

15 C. Pavese, Dialoghi con Leucò, Torino, Einaudi, 2014, p. 85.

16 S. Nebbia, ‘Edipo dell’Elfo’.

17 Dalla dichiarazione di Ferdinando Bruni nell’ambito dell’incontro con gli studenti dell’Università degli Studi di Milano.

18 A. Solaro,‘Questo Edipo si libera di tutti i suoi complessi’.

19 G. Tentorio, ‘Edipo arcaico e contemporaneo – Intervista a Bruni-Frongia’, paneacquaculture.net, 5 aprile 2022 <Edipo arcaico e contemporaneo - Intervista a Bruni-Frongia - Paneacquaculture> [accessed 30.03.2023].

20 S. Givone, Introduzione, in C. Pavese, Dialoghi con Leucò, p. X.

21 Cfr. A. Solaro,‘Questo Edipo si libera di tutti i suoi complessi’.

22 Ibidem.