La donna-cavalier, l’armi e l’amore: cinema, letteratura e animazione di genere ne "Il cavaliere inesistente" di Calvino e Pino Zac

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Il contributo analizza la trasposizione filmica animata di Pino Zac del 1970 dell’omonimo romanzo di Italo Calvino, Il cavaliere inesistente (Einaudi, 1959). Il lungometraggio, caratterizzato dall’uso dell’animazione in tecnica mista (usando cioè disegni, immagini derivate e attori reali), riflette contenuti e approcci alla creatività fantastica di Calvino ampliandone soprattutto il portato visuale. Attraverso il lavoro sui passaggi dalla cornice alla materia del racconto in particolare, accentuando il ruolo critico della personaggia-narratrice suor Teodora (la cavaliera Bradamante), l’uso di differenti materie espressive, delle riprese e del montaggio contribuiscono a un’espansione della lettura di genere dell’opera, adattata al mutato contesto storico-culturale.

The contribution examines Pino Zac's 1970 animated film adaptation of Italo Calvino's novel of the same title, Il cavaliere inesistente (Einaudi, 1959). The feature film, characterised by the use of animation in mixed technique (i.e. using drawings, derived images and real actors), reflects the contents and approaches to Calvino's fantastic creativity, especially by expanding its visual scope. Through the work on the transitions from the narrative frame to the subject matter of the story in particular, emphasising the critical role of the character/narrator Sister Theodora (the knightess Bradamante), the use of different expressive materials, filming and editing contribute to an expansion of the genre reading of the work, adapted to the changed historical and cultural context.

Nel 1970 il regista e sceneggiatore Pino Zac (insieme a Tommaso Chiaretti) scelse di adattare il romanzo di Italo Calvino Il cavaliere inesistente (Einaudi, 1959) nella forma di un lungometraggio caratterizzato dall’animazione in tecnica mista, ossia dall’impiego di attori reali, disegni e un insieme di immagini derivate riutilizzate creativamente. La storia narrata da una ‘finta’ suor Teodora è ambientata al tempo di Carlo Magno e dei Paladini e ruota intorno al tentativo del disciplinatissimo Agilulfo, un’entità intangibile contenuta in un’armatura, di far riconoscere il proprio ruolo di cavaliere, essendo stato accusato di essere un usurpatore a causa del dubbio status di Sofronia, la donna da lui salvata. Per dimostrare il proprio onore Agilulfo parte alla ricerca di Sofronia, accompagnato da altri personaggi: l’accusatore Torrismondo, la guerriera Bradamante (innamorata di Agilulfo), Rambaldo (innamorato di Bradamante) e Gurdulù (uno scudiero un po’ pazzoide). Nel finale, la narratrice si rivelerà nelle vesti di Bradamante e accoglierà l’amore verso Rambaldo, inizialmente rifiutato.

L’opera di Pino Zac ricalca quasi pedissequamente l’intreccio e i dialoghi del romanzo calviniano, al punto da aver ricevuto delle critiche per l’eccessiva aderenza al testo sorgente.[1] Lo stesso Calvino, che vide il film soltanto quando fu terminato, dichiarò di essersi sentito spettatore più che «autore […] per la fedeltà totale e alla lettera degli episodi e dello spirito».[2] Lo scrittore, tuttavia, riconobbe che la tecnica mista adoperata da Zac, con riprese dal vero e l’animazione di disegni, dipinti e vari materiali figurativi, aveva contribuito a definire una rilettura personale. «Nello stesso tempo [aggiunse Calvino] è una sua interpretazione visuale. Non soltanto dei personaggi, delle situazioni e degli ambienti ma anche di tutte le associazioni che il testo comporta».[3]

In scia con l’analisi di Pier Paolo Argiolas sull’«andamento bidirezionale»[4] tra il testo di partenza e la sua trasposizione filmica, è facile comprendere come l’uso di un medium differente abbia determinato nuovi limiti ma anche nuove opportunità. Fra queste si può indicare senz’altro l’impiego di varie materie espressive che, grazie alla sensibilità dell’artista e alla specifica distribuzione-fruizione dell’opera, ha messo in luce e sviluppato peculiari motivi dell’ipotesto calviniano. Come già rilevato da una recensione degli anni Settanta, l’adattamento di Zac lavora sul testo d’origine in modo ermeneutico, lasciandone emergere i «sottintesi ideologici [e] facendone risaltare gli affascinanti aspetti figurativi».[5]

Nel corso del nostro studio approfondiremo l’originalità della resa filmica osservandone le soluzioni visuali e seguendo una prospettiva di genere. La scelta di questa angolazione è solo una delle possibili chiavi di lettura, giacché anche il rapporto tra questi due testi rientra in quelle ‘infinite’ «incursioni ermeneutiche» che danno forma alla «galassia calviniana» o «sistema-calvino».[6]

In sintonia con le più recenti teorie sull’adattamento, l’analisi si rivolgerà alle relazioni non solo tra testi ma anche tra media diversi in grado di arricchire retrospettivamente l’opera di Calvino, osservando le forme di materializzazione del suo mondo immaginario e il diverso contesto storico di produzione e fruizione del contenuto rivisitato.[7] Come scrive Linda Hutcheon, tenere in considerazione il diverso ambiente di destinazione di un adattamento significa guardare non solo alle opere ma anche ai processi che danno vita a delle specifiche «politics of intertextuality».[8]

 

1. La donna-cavalier

Nella relazione per una conferenza del 1955 tenuta su invito di Anna Banti, e poi pubblicata sulla rivista «Paragone», Calvino discuteva del «problema del personaggio» nella letteratura italiana. Si trattava per l’autore di un tema apparentemente di poca importanza ma di grande rilievo per chi guardava alla letteratura in rapporto agli «interessi umani», alle sue possibili azioni sulla storia e anche a come quest’ultima rappresenti un «campo di battaglia» per il protagonista letterario che, con la sua sensibilità, morale e parola, deve «guardarsi intorno al mondo». Fra i vari modelli di personaggio individuati da Calvino, per lo più maschili, le «poche eccezioni» in grado di affrontare la storia in simbiosi autobiografica con la fantasia e la cultura di scrittori e scrittrici erano date dai «personaggi femminili». Una tra queste, la Clelia di Tra donne sole di Cesare Pavese, sembra aver incarnato perfettamente questo ruolo ponendosi come alter ego della sensibilità dello scrittore e per la sua figura indipendente, pungente, competente, conoscitrice della società e dallo sguardo lucido nel rapporto con gli uomini.[9] Calvino evidenziava così l’importanza della considerazione e della focalizzazione delle protagoniste femminili.

Nella trama de Il cavaliere inesistente, legata all’affermazione del proprio essere e della propria volontà da parte dei cavalieri di Carlo Magno (a partire dalle gesta dell’armatura piena di spirito immateriale del protagonista Agilulfo), nella sua trasposizione Zac coglie la centralità della personaggia Bradamante: narratrice, deus ex machina e specchio di riflessione tanto per l’autore quanto per i lettori-spettatori. Attraverso un insieme di modalità estetiche, che analizzeremo, il regista sceglie di evidenziarne il ruolo di donna che ‘gioca’ dall’inizio alla fine con l’idea che il cavaliere inesistente possa essere anche una ‘cavaliera’. La traduzione animata, infatti, dà spazio a un’interrogazione non solo sul senso del maschile ma anche su quello del femminile. La prima è legata al motivo autobiografico che pertiene al romanzo: la crisi dovuta alla fine di un grande amore da parte di Calvino, che lo spinse a una meditazione fantastica su quale tipo di ‘cavaliere’ essere per il futuro. Per la seconda, sull’immagine femminile, Zac si ricollega al tema romanzesco della ricerca, un po’ autobiografica perché raccontata da suor Teodora, di una ‘donna’, Sofronia, mettendo in luce anche la pluralità delle altre personagge immaginate dalla stessa, dietro le quali si pone la sua figura. La questione identitaria relativa al modello femminile offerto da suor Teodora diventa centrale alla luce della moltiplicazione e stratificazione delle varie personagge incontrate, interpretate nel film sempre dalla stessa attrice. Scrive infatti Scarpa a proposito delle ricerche nella narrazione:

[…] Sofronia, Bradamante, suor Teodora, la castellana Priscilla e le sue fantesche, la donna sorella, o madre, o amante, la donna in cui vorremmo specchiarci, la donna che vorremmo avere, la donna nel cui grembo vorremmo abbandonarci, la donna che vorremmo oscuramente essere.[10]

Altresì Daniela Brogi, oltre a notare la centralità delle figure femminili nella produzione di Calvino come «mezzi di conoscenza e modi di vedere il mondo», «immagini e corpi che parlano anche a distanza di libertà»,[11] proprio a partire dalla protagonista de Il cavaliere inesistente scrive:

Le storie inventate da Calvino sparigliano gli stereotipi di genere e spesso ci consegnano protagoniste che ridono, sono vitali, attive e autonome, senza che la loro instabilità sia sintomo di un difetto, perché, al contrario, l’indocilità e l’immodestia diventano risorse romanzesche che mandano avanti la trama e la vita.[12]

Questo motivo di fondo del testo adattato è realizzato nell’opera di Zac anzitutto con la rottura dell’illusione del racconto, come una storia apparentemente guidata da un narratore anonimo extra ed eterodiegetico.[13] Prima di far emergere il filtro femminile, che giunge solo nel quarto capitolo, Calvino dà spazio alla presentazione immediata e ‘virile’ dei cavalieri (che vedremo nel prossimo paragrafo). Zac, invece, sceglie di anticipare l’ingresso di suor Teodora, interpretata da Lana Ruzickova, la quale appare all’inizio del film come una monaca non ben identificata, di spalle e intenta a scrivere con una piuma su una pagina bianca. La sua introduzione istantanea è legata a un bisogno di maggiore chiarezza del racconto audiovisivo, ma al tempo stesso mette in evidenza la sua centralità tra la cornice narrativa e la materia narrata. Da qui infatti comincia il travaso che ci immerge nell’«iconostoria»[14] raccontata dalla religiosa, realizzato con una leggera panoramica verso l’alto e un consistente zoom attraverso la finestra, dietro la quale sta il mondo immaginato dalla narratrice che marca la propria presenza anche attraverso la voce fuori campo.

P. Zac, Il cavaliere inesistente, 1970, screenshot da terzi

Dopo il vaglio militare dell’identità dei cavalieri, suor Teodora riappare come commentatrice orale spostando in avanti alcuni passaggi: la notte al campo, l’introduzione di Gurdulù e la marcia dei soldati. Inquadrata in primo piano nello studio della sua cella, intenta a rileggere il proprio scritto sulla pergamena, la personaggia interpreta qui il fittizio e sottile autoritratto da ‘umile donna’ del racconto letterario, che si delineerà nel libro più avanti.[15] Le immagini filmiche mettono in discussione immediatamente ciò che nel romanzo è sottaciuto fino alla fine: un’identità differente che si paleserà come quella del cavalier, o meglio della guerriera Bradamante. Sin nelle prime scene dell’opera di Zac, evidentemente, si crea qualche dubbio rispetto alla sua figura. Il trucco per esempio è troppo marcato, il viso particolarmente attraente e l’abito monacale che avvolge il suo corpo ondeggia a partire dal copricapo, accentuandone i tratti esili e slanciati.

La voce dell’interprete risponde a quel carattere freddo, elegante, in falsetto e umoristicamente puntato della lingua calviniana del testo letterario.[16] L’intonazione della religiosa seria ma al tempo stesso graffiante si accompagna, per esempio, a una lenta panoramica sulla sua stanzetta, ricca di libri ma in fondo scarna nella sua sacralità. Durante questa perlustrazione l’inquadratura giunge a un’edicola contenente il buffo ‘santo’ di cui Teodora vuol diventare «umile serva»: San Colombano. Data per ‘assodata’ nel libro, la vocazione monastica di Teodora è messa in dubbio nella produzione animata grazie al ricorso qui agli effetti speciali curati da Jiri Simunek, insinuando nello spettatore più di un interrogativo sulla sua natura. La nicchia con la statua di San Colombano, ad esempio, a un tratto si svuota e torna a riempirsi dell’immagine del santo alla presenza di un’altra suora, che non vede e non sente il ricorrere di un campanello che segna il passaggio dal ‘reale’ all’invenzione della protagonista. Attraverso questo espediente usciamo e rientriamo nel mondo fantastico insieme alla narratrice e autrice del racconto. Il risultato è straniante non solo per l’uso della tecnica filmica, capace di creare un effetto fantastico, ma anche per la sottolineatura della forza narrante della personaggia che governa la statua con il proprio sguardo.

P. Zac, Il cavaliere inesistente, 1970, screenshot da terzi

Anche l’illuminazione del suo volto, alternativamente oscurato e sovraesposto, contribuisce a questa marcatura. La tecnica adoperata da Zac appare fondamentale in diverse scene, ma in particolare nei due primi piani di Teodora che, durante le fastidiose interruzioni da parte dell’altra suora, deve riprendere l’invenzione nella sua mente focalizzando il proprio sguardo, con l’edicola che torna a svuotarsi mentre la scena passa rapidamente dalla cella al racconto animato e viceversa. È qui che, mentre la Teodora calviniana si presenta con tono sommesso per poi insinuare il dubbio della storia scritta per una penitenza scelta da sé,[17] alla protagonista di Zac il riordino delle vecchie carte del monastero è apparentemente imposto come un modo per misurare il suo distacco dal ‘mondo’, anche se condiviso: «a ciascuno la sua penitenza», dice. Ma «fatti, avventure, cavalieri [afferma Teodora nel film] mi sembra si mettano in fila da soli, senza quasi che io voglia, a raccontare la loro storia». Una dichiarazione che evidenzia con irrisione il protagonismo volontario della donna come autrice della materia narrata.[18]

L’immaginazione infatti, incarnata attraverso la tecnica dell’animazione, è lo strumento femminile più utile per mettere in discussione criticamente il raggiungimento dell’‘umiltà del servizio’ all’ordine di San Colombano. Con una excusatio non petita suor Teodora fa riferimento alla vocazione immaginale della Teodora calviniana, strategia creativa da lei escogitata per sopperire all’ignoranza delle ‘cose del mondo’, tradotta visivamente nel film attraverso l’animazione:

Io che racconto questa storia sono suor Teodora, religiosa dell’ordine di san Colombano. Scrivo in convento, desumendo da vecchie carte, da chiacchiere sentite in parlatorio e da qualche rara testimonianza di gente che c’era. Noi monache, occasioni per conversare coi soldati, se ne ha poche: quel che non so cerco d’immaginarmelo, dunque; se no come farei? E non tutto della storia mi è chiaro. Dovete compatire: si è ragazze di campagna, ancorché nobili, vissute sempre ritirate, in sperduti castelli e poi in conventi; fuor che funzioni religiose, tridui, novene, lavori dei campi, trebbiature, vendemmie, fustigazioni di servi, incesti, incendi, impiccagioni, invasioni d’eserciti, saccheggi, stupri, pestilenze, noi non si è visto niente. Cosa può sapere del mondo una povera suora?[19]

Come ha scritto Elena Gremigni, Calvino non è mai stato interessato a proporre analisi sociologiche ma, attraverso le sue elaborazioni letterarie, ha comunque manifestato una «profonda capacità di osservazione e di comprensione critica dei ‘fatti sociali’» contribuendo a «offrire originali chiavi interpretative della società». E lo fa, secondo la studiosa, riferendosi alla realtà per mezzo dell’immaginazione e non con un mero realismo.[20] Zac, dal canto suo, si appropria della creatività fantastica del testo traducendola nella sua re-interpretazione animata, cogliendo così un aspetto cardine della scrittura calviniana ben rilevato da Brogi:

Guardare, studiare il mondo, donne incluse, come un grande repertorio del visibile, diventa allora il sentiero che le narrazioni di Calvino percorrono con più interesse, spostando sulla scrittura il potere e il fascino della scelta che di solito i protagonisti differiscono, e che vale e funziona come sfida immaginativa.[21]
 

Attraverso l’uso originale della materia proiettata la trasposizione del disvelamento identitario da parte di Teodora, ad esempio, stratifica il racconto visuale, spostando ancora una volta l’accento sull’immagine delle donne proposte tramite la funzione creativa della protagonista e l’intervento di Zac. Le dichiarazioni della narratrice sulla sua figura e sull’ambientazione temporale del suo racconto, nello stesso ipotetico Evo calviniano in cui si doveva con forza affermare il proprio esserci, sono arricchite da immagini che abbracciano anche il discorso intorno alla dimensione femminile. Si vedono, in particolare, delle tavole dipinte e montate in successione che lasciano scorgere, oltre a impiccati, scheletri e perseguitati, anche corpi di donne-streghe e donne messe al rogo.

P. Zac, Il cavaliere inesistente, 1970, screenshot da terzi

Per un attimo, dunque, sembra che la successiva comparsa di Agilulfo, il cavaliere inesistente che si condensa dentro un’armatura (come il risultato di una «volontà» e «coscienza di sé» che in Calvino si rapprende come un «grumo» per il bisogno di «marcare un’impronta», «fare attrito»)[22] sia anche una proiezione di sé della narratrice, che prefigura la sua ‘reale’ materializzazione in veste di cavaliere più avanti. La sensazione è accentuata anche da una leggera femminilizzazione dall’armatura di Agilulfo: completamente bianca come nel romanzo ma con un pennacchio dello stesso colore anziché dei vari colori dell’iride calviniani, e animata da movenze robotiche però visivamente aggraziate.

La caratura femminile della protagonista emerge soprattutto nel confronto con le altre suore del convento. In due intermezzi successivi suor Teodora apparirà affacciata alla finestra mentre osserva in silenzio le compagne in cortile. Laddove in Calvino il chiacchiericcio proveniente dal monastero era solo una delle ‘fonti’ sensoriali del racconto, Zac rilancia ironicamente l’ascolto della personaggia. Questa si ritrova per esempio ad assistere a degli sketch delle altre. Mentre lei è presa dal dovere di portare avanti la sua narrazione, altre sorelle si ritrovano a discutere della distinzione alquanto futile fra la pianta di un cardo e quella di un sedano o, in modo assurdo, dell’‘orrore’ e del peccato d’ira per l’ignoranza della parmigiana di cardi. La netta distanza tra Teodora e le altre suore che incarnano altri modelli femminili sarà esplicitata con forza nel finale, quando si comprenderà che a raccontare tutta la storia è stata proprio la donna-cavaliere.

A partire da questi sguardi della personaggia nel convento durante l’elaborazione del racconto i due piani della ‘realtà’ e della finzione arrivano a sovrapporsi e intrecciarsi ancor più che nel romanzo. Sull’ampliamento del peso dato da Zac al quadro narrativo si ricordi, ad esempio, che nelle Lezioni americane Calvino mostra grande apprezzamento per la capacità di Boccaccio di usare un sistema a cornice in grado di delineare un’intera società, offrendo una nuova immagine delle donne attraverso il quadro narrativo: rivolgendosi a esse, dando loro un ruolo attivo e delineando un mondo in cui la dimensione amorosa è preponderante.[23]

Il rafforzamento della funzione della cornice nel film avviene attraverso varie modalità. Prima di tutto tramite gli scambi fra la vicenda di contorno e la materia narrata, già presenti nel romanzo ma ulteriormente accresciuti nel film. Il collegamento tra le due dimensioni è irrobustito anzitutto dall’uso degli stessi interpreti per più ruoli, animati e non. Si vedano, oltre alle varie incarnazioni di Teodora, i momenti in cui l’attore che personifica San Colombano (Stefano Oppedisano) per il tramite della fantasia ‘manipolatrice’ della protagonista si trasforma nel Rambaldo della storia raccontata e poi anche in Torrismondo.

A proposito degli sviluppi sugli scambi tra la cornice e la narrazione si consideri anche la scoperta di Rambaldo della vera natura del suo ‘salvatore’ come donna. Mentre nell’opera calviniana questo passaggio è del tutto interno alla ‘finzione’, nel film invece viene espresso attraverso un rapido montaggio alternato tra la storia immaginata e la cornice diegetica. Come nel romanzo, Bradamante reagisce lanciando contro Rambaldo un pugnale, «non col gesto della perfetta maneggiatrice d’armi che essa era, ma con lo scatto rabbioso della donna inviperita che tira in testa all’uomo un piatto o una spazzola o qualsiasi cosa ha per mano».[24] Dopo lo sguardo melenso di Rambaldo alla vista delle gambe nude della guerriera ̶ capaci grazie all’animazione di camminare sul pelo dell’acqua (Calvino si spingeva fino a farle fare la pipì umoristicamente) ̶ il lancio dell’arma viene collegato con un raccordo a partire dall’oggetto a un appunto ‘ferreo’ della piuma usata da Teodora per scrivere. Questa risalita, che porta la personaggia a riflettere su di sé e gli spettatori-lettori sulla sua attività di scrittrice, rispecchia la tendenza ‘saggistica’ e riflessiva di Calvino sul proprio ruolo di uomo e di autore, la sua propensione a formulare dei pensieri che, per Domenico Scarpa, ‘risalivano’ dalla materia finzionale verso la ‘superficie’ del racconto.[25]

P. Zac, Il cavaliere inesistente, 1970, screenshot da terzi

Proprio i passaggi fra interno ed esterno sono particolarmente sviluppati da Zac, rilanciando ulteriormente il racconto delle figure femminili a partire da Teodora. Questo è ciò che accade soprattutto nella scena del refettorio. La protagonista cinematografica come quella di Calvino immagina le storie dei cavalieri e delle altre personagge a partire dai frastuoni che provengono dalla cucina del monastero.[26] Dopo l’apparizione della narratrice, seduta a scrivere con in sottofondo il rumore delle stoviglie, nel film viene introdotta una sorella intenta a leggere su un leggio altissimo ai piedi di un crocifisso alcune raccomandazioni che si rivolgono alle altre compagne compresa suor Teodora, la quale appare ora seduta fra le altre al tavolo. Nel film la superiora raccomanda:

Se non ci riesci a star raccolta continuamente, cerca almeno di farlo più che puoi. Se non altro una volta al giorno, cioè la mattina ovvero la sera. La mattina fai i tuoi propositi e la sera esamina la tua condotta: come nella giornata ti sei comportata nei discorsi, nelle opere, nei pensieri. Mettiti in guardia contro le malizie del demonio, raffrena la gola e più facile ti sarà frenare ogni altra inclinazione della carne. Non stare mai in ozio ma leggi o scrivi, prega o medita o lavora a qualche cosa.

Subito dopo vediamo delle suore entrare ordinatamente nel refettorio portando a spalla un enorme calderone. Sfilano davanti alla tavolata dove le altre sorelle stanno composte, tutte in riga, tranne la protagonista con le braccia sul ripiano e la testa per aria. Si avverte in queste riprese un accento posto sulle figure femminili che evidenzia, a partire dal commento della predica, le loro ‘posture’, specie quella di Teodora. Tale passaggio sviluppa un implicito cenno calviniano rivolto alla possibilità delle donne di vivere non orientate soltanto a un unico obiettivo, cioè escludendo quei desideri e ardori che ora Zac rende espliciti nella sua protagonista. Il regista sottolinea visivamente proprio quei passi del testo in cui la personaggia critica la vita monastica: «A me la badessa [scrive Teodora] ha assegnato un compito diverso dal loro: lo scrivere questa storia, ma tutte le fatiche del convento, intese come sono a un solo fine: la salute dell’anima, è come fossero una sola».[27]

Il sonoro intanto sfuma e lascia il posto all’immaginazione della giovane. Vi è infatti, come nel testo, un montaggio alternato fra l’«ora del rancio» dei cavalieri in battaglia e quella delle suore. La protagonista del film animato, però, non solo sente i rumori dell’esercito ma ne diventa a tutti gli effetti parte integrante attraverso la figura di Bradamante. Nella cornice di immagini che racconta la vita di Teodora con le altre sorelle del convento Zac inserisce una coreografia musicata che mostra la ritualità delle loro posizioni e dei loro gesti, prendendosene gioco attraverso la non aderenza della protagonista, sulle note leggere e ironiche della colonna sonora del film Un Homme et une Femme (1966) di Claude Lelouch (che ricorrerà anche nelle scene di coppia di Sofronia e Torrismondo saltellanti per il bosco dopo la loro unione). Queste strategie da parte della suora-narratrice completano il coinvolgimento del «regno dei corpi»[28] della scrittura di Calvino.

Nella seconda parte dell’opera filmica si alterneranno e ripeteranno tanti passaggi simili, in cui il piano della narrazione e quello del racconto fantastico sembrano non solo procedere in parallelo ma anche mescolarsi, soprattutto rispetto all’inquadramento dei personaggi femminili. L’uso della stessa attrice, Lana Ruzickova, per le varie personagge partorite dall’immaginazione di Teodora accentua l’incarnazione del ventaglio di modelli di donna proposti. Ciò si avverte soprattutto in una serie di passaggi diretti fra la narratrice e le varie protagoniste – interpretate sempre da Ruzickova –, realizzati attraverso un montaggio di pose e di ambientazioni similari fra la parte della cornice e quella del plot d’invenzione. La forza di queste inquadrature che legano le varie personagge è data dall’insistenza sulla loro posizione nello spazio e sul loro sguardo fermo, elementi che idealmente le ‘fondono’ insieme in una sorta di macro-personaggia, la quale avrà una concretizzazione nel momento della rivelazione finale. Abbiamo così una relazione stretta tra la suora e la guerriera Bradamante, che rifiuta e poi ritrova il piacere di un amore carnale. Vi è poi la reggente del castello, Priscilla, insistentemente desiderosa di offrirsi ad Agilulfo. Infine si ha il confronto con la principessa rapita, Sofronia, stanca di essere salvata dall’ennesimo cavaliere senza consumare un rapporto fisico, come farà finalmente con il prescelto Torrismondo.

P. Zac, Il cavaliere inesistente, 1970, screenshot da terzi

Lo stesso procedimento registico si nota anche in un altro passaggio in cui, come avverrà per la parte maschile, sono i riferimenti a diverse immagini della cultura visuale a far riflettere su vari ‘prototipi’ femminili. Zac riprende così quel lavoro di Calvino sulle «immagini di secondo grado»[29] già individuato da Maria Rizzarelli. In una scena precedente, per esempio, Rambaldo si interroga per mezzo di un effetto speciale fumettizzato sull’identità di Bradamante dopo la scoperta della sua identità di genere come ‘donna’: qui si susseguono sopra l’armatura della protagonista, al posto del capo, dei ritagli prima da diva, poi da Monna Lisa e infine a mo’ di statua greca classica (in un’altra scena al posto del capo ci saranno delle lettere fino a un punto interrogativo).

Le varie personagge, che incarnano differenti possibilità d’essere di una donna, sono un elemento implicito in Calvino che viene sviluppato da Zac. L’opera risponde così perfettamente, anche tramite l’ironia, a quell’idea di metamorfosi che lo scrittore nella lezione sulla Leggerezza faceva risalire a Ovidio (spingendola sino alla varietà delle forme viventi di Cyrano), come un modo per conoscere meglio il mondo, rovesciare gerarchie di potere e valori e dare uguale rilievo all’insieme di caratteri e forme possibili dell’essere.[30] Del resto, anche Scarpa parla dei singoli ‘personaggi’ de Il cavaliere inesistente come di «forme di energia, mosse ciascuna da una diversa inquietudine, atomi dal peso, dalla forma, dalla traiettoria diversa».[31] La critica da tempo ha individuato nell’opera calviniana un «lungo apologo sull’identità», che coinvolge tutti i suoi personaggi compresi quelli femminili.[32] Ed è proprio su questo che Zac punta lo sguardo concentrandosi sul fatto, come ha suggerito Roberta Salardi riguardo a Calvino, che «ai suoi cavalieri inesistenti e ai suoi visconti dimezzati ben s’accompagnano le donne “invisibili” o, meglio, le donne multiformi, inafferrabili, evanescenti».[33]

Il rafforzamento di questa lettura di genere del testo calviniano si deve certamente al mutato contesto storico, sociale e culturale dell’opera filmica. Siamo già agli inizi degli anni Settanta e dopo l’avvento delle manifestazioni del Sessantotto; ma ci troviamo anche all’interno di una diversa storia dei media che attraverso altri mezzi quali la televisione, la pubblicità e la musica (in cui si inserisce anche il richiamo della canzone tratta da Lelouch) porta con sé nuove forme di adattamento.

Proprio a questo proposito, la critica ai ruoli di genere nell’opera di Zac non manca di far leva anche sui racconti più classici, a partire dalla letteratura cavalleresca: nel film si scorge Carlo Magno con in mano un poema cavalleresco illustrato. Si vedano inoltre i passaggi della sceneggiatura in cui si discute se Agilulfo sia o meno da ritenersi un ‘cavaliere’ per aver salvato una sguattera e non una regina (mentre nel romanzo il punto era quello della verginità o meno della giovane salvata). Viene poi sviluppato il motivo del peregrinare di Bradamante accanto a quello dei cavalieri uomini, privo anch’esso di motivi epici. La ricerca di Torrismondo si trasforma nel fortuito ‘ritrovamento’ di Sofronia dentro una caverna in cui, ribaltando i canoni della tradizione, lei stessa metterà in mostra il proprio corpo cercando un rapporto fisico con il cavaliere. Infine, il conclusivo ricongiungimento tra Bradamante e Rambaldo dà il via non a un ‘vissero felici e contenti’ bensì a nuove avventure, in cui il cavaliere e la cavaliera come uomo e donna partono insieme, spiccando il volo in groppa a un cavallo alato e via via strappando i fondali di vari disegni che aprono l’immaginazione verso orizzonti inediti.

La critica alle narrazioni ‘classiche’ anche in questo caso passa attraverso il riuso di vari materiali iconografici. In questa direzione, ricordiamo anche l’ironia del passaggio in cui l’‘autrice’ suor Teodora fa incontrare la guerriera Bradamante con la strega di Biancaneve che richiama palesemente il modello disneyano. E vi sono anche le più tipiche rappresentazioni delle personagge nell’immaginario illustrativo e animato, raccontate sempre in una condizione di attesa passiva, come nelle riprese che vedono suor Teodora e Sofronia davanti a una finestra di spalle e con il capo rivolto verso il basso, in una posa disciplinata la prima e di attesa del suo salvatore la seconda.

Tenendo conto dei procedimenti fin qui individuati, la trasposizione di Zac si rivela molto vicina al testo di partenza e alla sensibilità di Calvino, a quell’idea di creazione fantastica da lui delineata nella lezione sulla Visibilità: l’autore sceglie di partire dall’«interiorizzazione» – in questo caso quella di Teodora – per produrre una «condensazione» tramite una cultura visuale stratificata; così, di fatto, si giunge all’«osservazione diretta del mondo reale» nell’ultimo livello descritto dallo scrittore ligure, quello più «astratto» per i suoi caratteri più universali.[34]

P. Zac, Il cavaliere inesistente, 1970, screenshot da terzi

 

2. L’armi

Il lavoro sui ‘generi’ dell’opera di Zac si estende anche sul versante maschile, ancora con il passaggio dall’animazione fantastica alla realtà incarnata dagli attori, ma soprattutto attraverso un trattamento di rimediazione di materiali visuali legati a tradizioni differenti.

Nella prima scena del film i cavalieri sfoggiano un catalogo di armature tutte diverse, sia nel disegno che nei costumi concretamente adoperati, forniti dall’attrezzeria scenica Rancati. Anche quando le armature sono quasi identiche nei disegni sembrano fare a gara per estrosità, soprattutto rispetto all’altezza e alla trama fantasiosa dei loro cimieri. La tecnica dell’animazione qui serve a sottolineare le condizioni dei ‘paladini’, verificate dallo stesso Carlo Magno come nel romanzo, giocando sull’immaginario legato alla loro mascolinità. Ne emerge, per esempio, l’evidente sofferenza attraverso l’animazione degli sfiati che fuoriescono dalle armature. Il ticchettio di un orologio sull’elmo di un cavaliere indica il peso della ‘responsabilità’ del tempo durante le infinite attese vuote. Ma al rintocco delle ore si sente, in maniera umoristica, un programma radio dedicato a una partita di calcio. Uno sguardo dietro l’armatura, unico dettaglio diretto del corpo di uno, è scrutatore assoluto ma di un cruciverba. E c’è poi chi gioca a carte direttamente in monta a dei cavalli.

P. Zac, Il cavaliere inesistente, 1970, screenshot da terzi

L’interrogazione sulle identità dei cavalieri successivamente coinvolge diverse immagini e figure visuali legate a differenti ‘tipi’ maschili. Quando essi si alzano l’elmetto, alla domanda su chi siano, si vede attraverso lo stile del disegno animato il volto di un tipico uomo del nord Europa dal naso enorme (nel racconto di Calvino sono presenti bretoni, viennesi, etc.) o il viso di un altro completamente verdognolo. Come per la parte femminile Zac riusa materiali diversi: un ritratto dipinto simil cinque-seicentesco con un uomo dal colletto bianco a fisarmonica, il principe di spade di una carta da gioco, la statua di bronzo di un guerriero, le silhouette illustrate di giocatori di rugby, un carro armato dietro un cavaliere fino alla comparsa di Agilulfo. L’espediente iconico è impiegato anche più avanti in riferimento ad altre figure maschili, quasi a tracciare una sorta di ‘canone’. I cavalieri del Sacro Graal si trasformano nei guerrieri del Valhalla, disegnati con delle armature bianche e sul capo dei simboli di potere, che in realtà altro non sono che l’incarnazione maschile della violenza storica dei nazisti. Poi compare un ritaglio pittorico di Napoleone e un doppio riferimento visuale a due ‘padri’ della cultura europea, Beethoven e Dante, reso attraverso una statua in bronzo e un’incisione.

Molte di queste raffigurazioni sono inventate nell’opera di Zac, ma rispondono a quella domanda iniziale indicata da Calvino con la formula unica «Ecchisietevòi?»[35] che ironizza e vanifica con l’univerbazione la questione intorno alle loro identità. L’espansione visuale del regista denota una capacità dell’adattamento di offrire un apporto retrospettivo al testo di partenza, ma anche una prospettiva «prolettica»,[36] che muove l’opera in avanti nel rispetto delle differenti interazioni culturali del contesto di arrivo. Lo stesso Calvino riconobbe alla traduzione di Zac la capacità, individuata come uno dei suoi pregi maggiori, di esplicitare quanto il romanzo «rimandava continuamente al presente pur senza allusioni dirette».[37]

Come abbiamo osservato con Teodora, anche la comparsa di Agilulfo elabora sin dal principio una riflessione in forma visiva sul rapporto fra le rappresentazioni di certi personaggi e la storia delle loro narrazioni. Zac sovrappone, per esempio, le imprese del ‘cavaliere inesistente’ a una certa tradizione di disegni, illustrazioni e incisioni fantastiche. Ritorna dunque lo stesso procedimento visuale adoperato per la parte femminile, ancora connotato dall’uso dell’ironia rispetto alle raffigurazioni delle imprese dei ‘cavalieri’ (si consideri ad esempio la scena in cui un cavaliere legge un giornalino erotico intitolato Plaisir).

P. Zac, Il cavaliere inesistente, 1970, screenshot da terzi

Data la presenza di un uomo come un cartone animato metamorfico (Gurdulù), un attore (Rambaldo) e un cavaliere inesistente tutto armatura (Agilulfo), il momento di maggiore forza critica e differenziazione dei personaggi maschili è di certo il confronto post-battaglia fra i tre protagonisti e i cadaveri dei soldati sconfitti. Il piccolo folle Gurdulù schernisce la sua stessa virilità dicendo a un morto, che in realtà è il ritaglio di un corpo da una foto, che ‘puzza’ più di lui ma, divenuto concime per la terra, alla fine sarà ‘più vivo’. Rambaldo, mentre tocca un corpo umano, si interroga se è quella la ‘guerra’ che voleva, riflettendo sul proprio destino di cavaliere e sull’ansia data dalle sue tribolazioni amorose, comunque ‘vitale’ rispetto alla pace del morto. Agilulfo, infine, si rende conto di quanto l’essere umano si riduca al possesso di una ‘carcassa’ più che all’‘essere’ di un’anima. Il cavaliere bianco rimprovera Gurdulù e Rambaldo per aver prodotto un cimitero di talpe, qualcosa di malfatto, inelegante, mostrando poi il risultato del suo lavoro che altro non è che un campo rappresentato da Zac con la foto di un cimitero simile a quelli militari, dedicati ai militi ignoti morti durante la seconda guerra mondiale. È attraverso l’insieme di queste strategie che, anche sul versante maschile, il lavoro del regista si rivela uno strumento di revisione storica dei modelli di genere.

 

3. L’amore

Il punto in cui le due direttrici, femminile e maschile, si incrociano e mutano insieme le prospettive è dato dalla resa filmica degli incontri amorosi del romanzo. Abbiamo già parlato di quello fra Rambaldo e Bradamante; a questo possiamo aggiungere quello di Agilulfo con la reggente del castello Priscilla. Al di là della resistenza del cavaliere inesistente (ripresa dal romanzo), il film insiste sullo sguardo ironico che si scambiano i due, alludendo alla natura non umana del personaggio. Ma si veda anche il momento dell’incontro tra Torrismondo e Sofronia, la quale, desiderosa di un rapporto carnale, si offre al cavaliere in cerca in realtà di Agilulfo. I due da lì iniziano un gioco di danze molto umoristico, accompagnati dalla canzone dal film Un Homme et une Femme. E infine c’è il tentativo di seduzione di Bradamante al finto Agilulfo-Rambaldo che, una volta scoperta la reale identità del cavaliere, porterà la giovane a colpirlo severamente, per poi scegliere di rifugiarsi nel monastero, riabbracciando solo alla fine il piacere di quell’incontro umano.

In tutti i passaggi che abbiamo descritto emergono evidentemente i personaggi femminili, specialmente nel finale. Quando Rambaldo cercherà nel convento la «guerriera» Bradamante una suora gli risponderà che «non ci sono guerriere, ma solo pie donne». In quel momento invece suor Teodora-Bradamante, la ‘cavaliera’, partendo ancora una volta dall’edicola vuota che viene ‘riempita’ ora della sua armatura dopo un primo piano sul suo sguardo ̶ che ci lascia sempre un po’ nel dubbio sul rapporto tra finzione e realtà ̶ rivelerà la propria ‘identità’ (o almeno quella più desiderata). La sua messa in discussione dei vari modelli femminili si chiuderà con la frase sarcastica: «L’abito non fa la monaca».

P. Zac, Il cavaliere inesistente, 1970, screenshot da terzi

Così Teodora-Bradamante, tanto nel romanzo quanto ancor più nel film, fa leva con forza sulla propria «volontà» e «ostinazione di esserci», alla luce della quale potremmo dire che nell’adattamento di Zac è proprio lei a incarnare la condizione della ‘cavaliera inesistente’.

La risoluzione filmica, dunque, gioca con l’idea del ‘cavaliere inesistente’, ma anche con l’inizio del romanzo in cui Calvino scrive di quel periodo confuso che appariva già difficile per gli ‘uomini’ che c’erano, figuriamoci per quelli che ‘non c’erano’, anche se dotati di un’armatura (che possiamo estendere alle donne). Zac mostra proprio come Bradamante faccia parte di quello stato incerto delle cose del mondo descritto dall’autore, volgendo però il suo discorso verso la pluralità delle immagini sociali del femminile e la critica alle sue rappresentazioni stereotipate. In quest’ottica, Teodora-Bradamante assume su di sé il potere della narrazione dei desideri e delle passioni anche delle altre protagoniste.

Non a caso, e diversamente dell’ipotesto di partenza, la scena conclusiva del film vede Bradamante e Rambaldo fuggire su un cavallo alato verso nuove avventure, attraversando e strappando diversi disegni. Su questi però non compare più l’emblema di Agilulfo bensì quello della guerriera Bradamante: tutto rosa, con vari intagli incrociati e uno spadino al centro, a evidenziare ancora una volta la centralità della personaggia. In questa sequenza il regista traduce perfettamente in immagini quanto osservato da Maria Rizzarelli per il finale del romanzo:

La penna giunge alla piena metamorfosi in corpo e corre sospinta da un anelito vitalistico e libertario. Il sipario della pagina bianca si solleva e dietro l’angolo c’è la vita, che stravolge l’ordinata sequenza del racconto. La stessa vita che ha alimentato le fantasie e le immagini del romanzo: un drago, uno stuolo barbaresco, un’isola incantata e naturalmente anche la passione di un nuovo amore.[38]

Per concludere, l’interpretazione di Zac certamente segue la pista tracciata da Calvino ma soprattutto riesce a rendere omaggio allo spirito del testo, riprendendo in modo originale la tendenza dell’autore al ‘camuffamento metaletterario’. Come in Se una notte d’inverno un viaggiatore, di cui uno dei titoli possibili non a caso era proprio Sotto mentite spoglie,[39] la calviniana strategia del camuffamento consente ai soggetti di Zac di ‘giocare’ un continuo mutamento identitario, anche di genere. L’opera animata si rivela quindi meno letterale e più creativa, rispondendo alla capacità degli adattamenti di essere tali quando danno vita a una «ripetizione senza reduplicazione: una reinterpretazione, una riappropriazione culturale, un’opera seconda ma per nulla secondaria».[40]

 

 


1 Per i giudizi e altri motivi di rivalutazione cfr. A. Bouldè-Basuyau, ‘L’image au pied de la lettre? Il cavaliere inesistente de Pino Zac’, Italies, 16, 2012, pp. 493-515; G.A. Bendazzi, Animazione. Una storia globale, Milano, Utet, 2017, p. 761.

2 I. Calvino, P. Zac, ‘Italo Calvino: nella foresta del racconto. Sul film “Il cavaliere inesistente”’, Rai, 1969, <https://www.raiplay.it/video/2023/09/Italo-Calvino-nella-foresta-del-racconto---Sul-film-Il-cavaliere-inesistente-9c239e34-7f98-4c23-b326-f7e0e2a2b972.html> [Accessed 15 January 2024].

3 Ibidem.

4 P. P. Argiolas, ‘Animazione di un’armatura Il cavaliere inesistente di Italo Calvino e Pino Zac’, Between, II, 4, novembre 2012, p. 2.

5 L. P., ‘Il guerriero di Calvino, la sguattera di Ford’, La Stampa, 18 febbraio 1972, p. 7.

6 M. Paino, ‘Il Barone e il Viaggiatore. Un’introduzione’, in Ead., Il Barone e il Viaggiatore e altri studi su Italo Calvino, Venezia, Marsilio, 2019, ebook ed.

7 Cfr. M. Fusillo, M. Lino, L. Faienza, L. Marchese, ‘Le sfide degli adattaementi’, in ID. (a cura di), Oltre l’adattamento? Narrazioni espanse: intermedialità, transmedialità, virtualità, Bologna, Il Mulino, 2020, pp. 7-9.

8 L. Hutcheon, ‘Preface to the first edition’, in Ead., Siobhan O’Flynn, A Theory of Adaptation, 2 ed., Londra and New York, Routledge, 2013, p. XIV.

9 I. Calvino, ‘Il midollo del leone’, in Id., Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, vol. I, Milano, Mondadori, 1995, pp. 9-15.

10 D. Scarpa, Italo Calvino, Milano, Mondadori, 1999, p. 79.

11 D. Brogi, ‘Donne’, in M. Belpoliti (a cura di), Italo Calvino A-Z, Milano, Electa, 2023, p. 317.

12 Ibidem.

13 Per Domenico Scarpa Il cavaliere inesistente e la dissoluzione di Agilulfo rappresentano la crisi, all’inizio degli anni Sessanta, del Calvino narratore: cfr. D. Scarpa, Italo Calvino, cit., p. 25.

14 G. Rizzarelli, ‘«Il corpo della gente che aveva un corpo». Metamorfosi corporee nel Cavaliere inesistente di Italo Calvino’, Arabeschi, 10, luglio-dicembre 2017, p. 72.

15 I. Calvino, Il cavaliere inesistente, Milano, Mondadori, 2002, ed. ebook, cap. IV.

16 D. Scarpa, Italo Calvino, cit., p. 78.

17 Teodora stessa la definisce la «mia penitenza»: cfr. I. Calvino, Il cavaliere inesistente, cit., cap. IV.

18 Scarpa ricorda che nella letteratura di Calvino è proprio la donna che spesso rappresenta la vera «pietra di paragone […] radice e fondamento del mondo»: cfr. D. Scarpa, Italo Calvino, cit., p. 157.

19 I. Calvino, Il cavaliere inesistente, cit., cap. IV.

20 Cfr. E. Gremigni, Italo Calvino. La realtà dell’immaginazione e le ambivalenze del moderno, Firenze, Le Lettere, 2011, pp. 9 e 12.

21 D. Brogi, ‘Donne’, cit., pp. 318-319.

22 I. Calvino, Il cavaliere inesistente, cit., cap. IV.

23 I. Calvino, ‘Appendice: Cominciare e finire’ in Id., Saggi 1945-1985, cit., p. 743.

24 I. Calvino, Il cavaliere inesistente, cit., cap. IV.

25 D. Scarpa, Italo Calvino, cit., p. 77.

26 I. Calvino, Il cavaliere inesistente, cit., cap. V.

27 Ibidem.

28 G. Rizzarelli, ‘«Il corpo della gente che aveva un corpo»’, cit., p. 73.

29 M. Rizzarelli, Sguardi dall’opaco. Saggi su Calvino e la visibilità, Acireale-Roma, Bonanno, 2008, p. 10.

30 Cfr. I. Calvino, ‘Leggerezza’, in Id., Saggi 1945-1985, cit., pp. 631-655.

31 D. Scarpa, Italo Calvino, cit., p. 77.

32 Ivi, p. 79.

33 R. Salardi, ‘Le donne “invisibili” di Calvino’, Costruzioni Psicoanalitiche, V, 10, 2005, p. 63.

34 Cfr. I. Calvino, ‘Visibilità’, in Id., Saggi 1945-1985, cit., p. 710.

35 I. Calvino, Il cavaliere inesistente, cit., cap. I.

36 J. Grossman, R. Barton Palmer, ‘Preface’, in Id. (a cura di), Adaptation in Visual Culture. Images, Texts, and Their Multiple Worlds, Syracuse and Clemson, Palgrave Macmillan, 2017, p. VI.

37 I. Calvino, P. Zac, ‘Italo Calvino: nella foresta del racconto. Sul film “Il cavaliere inesistente”’, cit.

38 G. Rizzarelli, ‘«Il corpo della gente che aveva un corpo»’, cit., p. 75.

39 Cfr. M. Paino, ‘Sotto mentite spoglie: femminilità, visualità, metamorfosi’ in Ead., Il Barone e il Viaggiatore e altri studi su Italo Calvino, cit.

40 M. Fusillo, ‘Adattamento’ in G. Carluccio, A. Masecchia, S. Rimini (a cura di), Cinema, letteratura, intermedialità, Roma, Carocci, 2023, p. 22.