Diva del cinema italiano degli anni Trenta, Elsa de’ Giorgi è stata anche scrittrice, attrice teatrale e regista. Superata la stagione che l’ha vista impegnata nella recitazione per il grande schermo – ma anche parallelamente ad essa – un fil rouge ha attraversato la sua carriera e ha riguardato l’espressione di una straordinaria intelligenza esperita tramite la frequentazione di vari linguaggi artistici. Entro un orizzonte interpretativo che, ad ogni passo avanti, si rivela via via più articolato, i contributi accolti in questa sezione indagano proprio alcuni aspetti meno noti dell’attività di de’ Giorgi, ma dai quali emergono rilevanti chiavi di lettura.1 Ci si riferisce in particolare all’indagine di Roberto Deidier relativa al nesso tra attorialità e autorialità nella figura della diva e ad alcuni nuclei tematici fondamentali del suo percorso letterario e autobiografico, come la libertà, la verità e la memoria; all’accurata ricostruzione dell’ampio itinerario teatrale dell’artista offerta da Simona Scattina, che ricompone in un insieme unitario l’esperienza di recitazione, gli scritti teorici e il lavoro di regia di de’ Giorgi; all’affondo di Tommaso Tovaglieri sul rapporto dell’autrice con l’universo delle arti figurative, condotto anche attraverso una serie di rimandi alla collezione d’arte della famiglia del marito, Sandro Contini Bonacossi, e il commento di un testo inedito, La ballata dei bravi 1963.
Sul fronte della ricezione dell’opera dell’attrice-scrittrice, alcune riflessioni preliminari si impongono, nella fattispecie, in rapporto alla sua produzione letteraria. Dal saggio del 1950 su Shakespeare e l’attore, infatti, fino al romanzo Una storia scabrosa pubblicato nel 1997, anno della sua morte, de’ Giorgi ha lasciato in eredità un patrimonio saggistico, poetico e narrativo che solo negli ultimi anni è stato parzialmente riscoperto attraverso la riedizione di alcuni dei suoi testi, come I coetanei (1955) e Ho visto partire il tuo treno (1992), editi da Feltrinelli rispettivamente nel 2019 e nel 2017 con la curatela di Roberto Deidier, e Storia di una donna bella (1970), uscito nel 2023 per Lab Editore a cura di Marialaura Simeone e Elio Pecora.
Insieme alle iniziative editoriali occorre considerare anche lo slancio critico proveniente dall’ambito delle scritture delle attrici o, più nello specifico, per riprendere la definizione del campo di studi individuato da Maria Rizzarelli, delle ‘divagrafie’.2 Nei testi appartenenti al corpus delle dive e nelle scritture del sé che costellano tali produzioni, la parola letteraria convive con rievocazioni legate all’immagine cinematografica, con le riflessioni delle attrici sulla loro recitazione; e dunque implica, proprio a partire dalla dimensione pluridisciplinare e intermediale dei testi, l’elaborazione di nuovi strumenti d’indagine che nascano dall’intreccio di prospettive legate sia alla critica letteraria e a una tradizione consolidata di studi – come quelli relativi al genere dell’autobiografia – sia all’interpretazione della componente performativa delle scritture o della doppia vocazione, del ‘doppio talento’3 delle attrici-scrittrici, sulla base di acquisizioni teoriche più recenti e provenienti dai performance studies o dalla cultura visuale. Il caso di Elsa de’ Giorgi si inserisce a pieno titolo in questa cornice ermeneutica e pone delle sfide affatto secondarie, sia sul piano degli oggetti di studio coinvolti, sia in relazione ai livelli di lettura da essi generati.
1. L’epistolario più bello del Novecento italiano
C’è un episodio della vita privata dell’autrice che ne ha segnato il percorso letterario, oltre che biografico. Si tratta della relazione che la diva ha intrattenuto con Italo Calvino, editor per Einaudi dei Coetanei e partecipe di un intenso confronto sentimentale e professionale durato dal 1955 al 1958. Lo scambio intercorso tra de’ Giorgi e lo scrittore è custodito in un carteggio – composto da poco meno di trecento lettere manoscritte di Calvino all’autrice – attualmente conservato presso il Centro Manoscritti dell’Università di Pavia. Il recupero dell’epistolario, che è stato definito da Maria Corti «il più bello, così lirico e drammatico insieme, del Novecento italiano»,4 si deve proprio alla filologa, che in Ombre dal fondo e nel postumo I vuoti del tempo ha raccontato il processo di acquisizione delle lettere da parte dell’archivio.5
Il sensazionalismo del legame con Calvino – su cui sembra ancora far perno, per altro, l’elaborazione grafica della copertina di Ho visto partire il tuo treno nella riedizione Feltrinelli del 2017 – ha rappresentato un’ipoteca, tanto nella ricezione quanto nell’iter editoriale dell’opera letteraria di de’ Giorgi. Se la componente privata delle missive, inoltre, ha negli anni catalizzato l’attenzione, non si è forse riflettuto ancora abbastanza, invece, sulla valenza ermeneutica di quel dialogo. Nei suoi interventi critici, si era già espressa in questa direzione Maria Corti. All’interno dei Vuoti del tempo, in particolare, la studiosa si è soffermata sull’influenza che il colloquio con de’ Giorgi ha avuto sulla attività creativa dello scrittore; dalla sua testimonianza di lettrice del carteggio, infatti, emerge il continuo riflettere dell’autore sulla sua precedente produzione e il suo costante riscoprirsi attraverso una nuova consapevolezza suggerita dall’affinità, anche intellettuale, con l’attrice. Si tratta di un’analisi che mira a mettere pure in evidenza i rimandi tematici tra le opere di Calvino e le lettere, e a consolidarne il ruolo di «avantesto»6 rispetto alle prove narrative composte nella seconda metà degli anni Cinquanta.
Un rilievo non strettamente limitato alla sfera sentimentale si intuisce anche da alcune osservazioni di Nicoletta Trotta, la quale ha precisato, ad esempio, che alcune «missive sono relative all’impegno politico di Calvino nel PCI e in particolare si riferiscono ai fatti d’Ungheria del 1956. […] Queste lettere […] registrano inizialmente la bruciante passione politica, il disincanto, il disagio, la delusione e l’offesa poi».7 Riflessioni, queste, a cui fanno eco le parole della stessa de’ Giorgi, che in Ho visto partire il tuo treno, in riferimento all’epistolario, avverte con chiarezza: «non è da essere fieri di leggi che impediscono la conoscenza di pensieri preziosi alla comprensione di uno scrittore, a quella del sommuoversi del suo linguaggio. Un problema assillante per Calvino, mano mano che cresceva la tensione del suo sentimento d’amore».8
In effetti, una lettura dei testi dell’autore condotta attraverso gli spunti offerti dagli stralci delle lettere pubblicati e dai commenti, sia di de’ Giorgi9 che della critica, lascia affiorare i segnali di una trasfigurazione letteraria di quel rapporto; uno scarto espressivo che diviene tanto più interessante quanto più se ne provi a indagare il riflesso anche nelle opere dell’attrice-scrittrice e si tengano in considerazione, dunque, la reciprocità delle ascendenze letterarie e il punto di vista della diva su testi e accadimenti che sono stati tendenzialmente osservati partendo dalla produzione di Calvino.
Nell’ambito dei richiami alla relazione con l’attrice, la dedica «a Raggio di Sole»10 posta in chiusura alla prefazione alle Fiabe italiane – che è stata intesa come un ‘anagramma imperfetto’ del nome Elsa de’ Giorgi – rappresenta forse il dato più comunemente noto. Ma uno sguardo alle opere composte da Calvino nel secondo scorcio degli anni Cinquanta restituisce una complessità maggiore, il fascino di una materia narrativa che si nutre del reale e dà linfa alla caratterizzazione stessa dei personaggi. Non è difficile rintracciare, infatti, nella vulnerabilità di Viola, che anima le pagine del Barone rampante, o nella figura di Claudia, «una donna molto bella ed elegante»,11 destinataria dell’ammirazione del protagonista della Nuvola di smog, i riverberi delle dinamiche del rapporto dell’autore con l’attrice-scrittrice. Rimangono per altro memorabili, in entrambe le opere, le conversazioni che i personaggi principali intrattengono con le donne amate, i contrappunti cui danno vita, ad esempio, le rispettive concezioni dell’amore o della bellezza. E sembra quasi di assistere alla medesima scena osservata da angolazioni differenti quando, nel corso della lettura di Ho visto partire il tuo treno, ci si imbatte in passo come il seguente:
Non potevo dimenticare in certe sue [di Calvino] lettere la descrizione dei suoi patemi perché aspettava la mia telefonata sul corridoio gelido della camera mobiliata che abitava a via Carlo Alberto 9: “In piedi davanti a questo telefono antiquato, devo limitare le mie parole, nel cuore della notte, a sommessi bisbigli… Sento che alla porta vicina c’è gente con la padrona di casa e questo basta a non farmi sentire libero”.12
Si fa vivida a questo punto l’immagine dello «squallido corridoio della signorina Margariti»13 nel quale il protagonista della Nuvola di smog trascorre il tempo al telefono con Claudia. In maniera analoga, leggendo, ancora nel testo di de’ Giorgi, di vacanze estive vissute in uno stato di grazia creativo,14 tornano alla mente la grotta sulle coste del Meridione in cui è ambientata L’avventura di un poeta e i due bagnanti che vi agiscono, «un certo Usnelli, poeta abbastanza conosciuto; lei, Delia H., donna molto bella».15
Occorre tener presente, tuttavia, che considerare la produzione di de’ Giorgi solo come il rovescio della medaglia di alcune delle pagine più note di Calvino darebbe luogo a un vizio di forma, giacché l’autrice ha a sua volta plasmato la propria scrittura letteraria attingendo anche ai moti d’ispirazione provenienti dal legame con lo scrittore. Si pensi, a tal proposito, ai versi del poemetto del 1962 La mia eternità, dove si allude a un uomo che «cadde innamorato / come un albero del sole / come uno scoglio […] del mare»; oppure al personaggio di Roberto nel testo pubblicato due anno dopo, Un coraggio splendente, nel quale la delusione successiva alla separazione con l’autore assume le sembianze di un intellettuale piccolo borghese incapace di vivere fino in fondo la felicità che gli deriverebbe dalla relazione extra-coniugale con la protagonista; fino ad arrivare al già più volte menzionato Ho visto partire il tuo treno. Apparso nel 1992, il testo si pone come un bilancio su un periodo cruciale dell’itinerario biografico dell’attrice e, allo stesso tempo, come un excursus narrativizzato di un’intera esistenza trascorsa tra lo schermo, la scena teatrale e i libri. All’interno del volume, infatti, i dialoghi con Calvino, gli spostamenti tra Roma e Torino divengono talvolta artifici atti a ospitare le digressioni della narratrice sulla propria carriera e i ritratti di gruppo degli intellettuali e degli artisti al centro della scena culturale italiana del Novecento (da Elio Vittorini e da Carlo Levi a Pier Paolo Pasolini, Anna Magnani, Alberto Moravia, Carlo Emilio Gadda). È proprio attraverso la narrazione del colloquio con lo scrittore, inoltre, che l’autrice chiarisce man mano le ragioni della sua prosa, arrivando perfino a proporre una significativa sovrapposizione tra la ricerca e la scoperta della ‘voce vera’, rappresentate come esercizio attoriale, e la voce narrante quale elemento costitutivo dell’espressione letteraria.
Su un’istanza autoriale affidata ai testi – e sulle sue possibilità di affermazione attraverso la scrittura – vale la pena fermarsi un attimo e ripartire. Le influenze reciproche rintracciabili nelle produzioni di Calvino e de’ Giorgi meriterebbero un approfondimento più sistematico di quanto si sia tentato di fare in questi paragrafi, un’indagine che potrebbe senz’altro aggiungere un tassello all’ampio panorama della ricezione dell’opera dello scrittore.16 Ma la tendenza a considerare ancillare il punto di vista della diva ha fatto il suo corso; adesso è tempo, piuttosto, di riavvolgere il filo del discorso critico e di provare a restituire all’attrice quella parola che ha reclamato nell’arco del suo intero cammino personale e artistico.
2. Espressioni di un talento plurimo
Cresciuta a Firenze e trasferitasi a Roma negli anni Trenta, Elsa de’ Giorgi corona il sogno di diventare un’attrice nel 1933, anno in cui esordisce come protagonista nel film T’amerò sempre di Mario Camerini. La pellicola darà l’abbrivio alla partecipazione della diva a diversi filoni del cinema di regime – si pensi al realismo rappresentato da L’impiegata di papà (1933) di Alessandro Blasetti, cui si affiancano ad esempio il genere dialettale, con L’eredità dello zio buonanima (1934) di Amleto Palermi, oppure i film storici o in costume come La sposa dei re (1938) e Il fornaretto di Venezia (1939) di Duilio Coletti – e aprirà la strada verso il raggiungimento di un posto non secondario nel panorama divistico del Ventennio.
Tuttavia, malgrado la notorietà derivante dalla recitazione per il cinema, de’ Giorgi avverte come una limitazione dei propri strumenti espressivi «il clamore del cinema, la scoperta meccanicità dei suoi mezzi», a tal punto che «la scomposizione tecnica della più piccola scena, quella della stessa anatomia della sua persona nel ritrarla, il frazionamento del racconto e del personaggio» culminano nella «convinzione di sentirsi una cosa inanimata, uno dei tanti oggetti di arredamento utili alla scena che girava».17 Se a ciò si aggiunge anche la tendenza ad attribuire all’attrice ruoli che la rinchiudono nello stereotipo della ragazza sedotta e abbandonata, della giovane caratterizzata da un volto candido e marmoreo, diventano ancora più chiari i motivi dell’insoddisfazione provocata dalle prime fasi della carriera. Da questo punto di vista, suggerisce l’idea di un distacco da un’immagine pubblica nella quale l’attrice fatica a riconoscersi fino in fondo l’ironia con cui recupera, nel 1967, l’esperienza di recitazione in T’amerò sempre come punto di avvio: «da allora – ricorda sorridente – il mio viso all’acqua e sapone fece di me l’ingenua del cinema italiano: per esigenze di copione sono stata sovente insidiata da bellimbusti senza scrupoli, ho versato fiumi di lacrime sulla mia innocenza tradita e ho finito quasi sempre con lo sposare per gratitudine chi mi perdonava le colpe commesse…».18
La diva matura così l’esigenza di sperimentare nuove forme artistiche, più confacenti all’acquisizione di una «coscienza dei propri mezzi espressivi»19 e al diritto – lucidamente rivendicato – a una libera costruzione della propria soggettività. Dagli anni Quaranta in poi, infatti, saranno il teatro e la letteratura ad accogliere le istanze più autentiche della sua ispirazione.
Nel 1941 l’attrice entra a far parte della compagnia Pagnani Ricci e nel corso del decennio – in parallelo alla recitazione cinematografica, portata avanti in film come La maschera di Cesare Borgia (1941) di Duilio Coletti; La locandiera (1944) di Luigi Chiarini; Il tiranno di Padova (1946) di Max Neufeld – dà avvio a una carriera teatrale che la vedrà, fra diversi altri spettacoli, nelle vesti di Annette nel Francillon di Dumas figlio per la regia di Luigi Carini (1942), nel ruolo di Desdemona nella tragedia shakespeariana Troilo e Cressida proposta nel 1949 da Luchino Visconti e, diretta da Giorgio Strehler, nei Giacobini di Zardi (1957) nella parte di Madame Roland.
Sul versante della scrittura, come è stato già accennato, si può far risalire al 1950 e al saggio sul teatro di Shakespeare l’esordio sulla scena letteraria; una scena letteraria che nel caso di de’ Giorgi si mostra segnata da una linea memoriale che, se da un lato, tra pagine autobiografiche e narrazioni connotate da un grado maggiore di finzionalità, consente alla diva di fare i conti con gli snodi essenziali della sua esistenza, dall’altro, spiana il terreno all’esercizio di uno stile che – nell’impiego delle metafore, nella peculiare capacità di raffigurare attraverso le descrizioni volti e contesti – rende pure riconoscibile la penna da cui è stata creata. Sono tratti, questi, riscontrabili nei volumi di cui si è già discusso e nelle opere in cui l’autrice allude a una gestualità performativa o recupera più esplicitamente il suo lavoro attoriale – come avviene ad esempio nell’Innocenza del 1960, tradotto tre anni dopo in francese per Albin Michel, e nel romanzo di matrice autobiografica Storia di una donna bella – ma anche nei testi in cui si confronta con eventi dolorosi quali sono stati per lei la sparizione del marito, a metà degli anni Cinquanta, in circostanze mai del tutto chiarite (evidenti rimandi a quella fase della sua vita sono contenuti nei versi della Mia eternità, prima di arrivare, nel 1988, all’Eredità Contini Bonacossi, nato con un obiettivo di ricostruzione sistematica della vicenda), o la scomparsa di Pasolini, destinatario di un omaggio poetico confluito in Dicevo di te, Pier Paolo (1977).
Nel mosaico della produzione letteraria di de’ Giorgi, inoltre, si trova un libro che ben sintetizza le diverse anime della sua scrittura e, probabilmente, si pone ad oggi come la loro manifestazione più riuscita. Si tratta dei Coetanei, memoir romanzato che nel 1960 vale all’autrice la vincita del Premio Viareggio Repaci. Lungo una serie di vicende autobiografiche, la narrazione si dispiega in un arco cronologico che va dall’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale agli anni immediatamente successivi alle elezioni politiche del 1948. La prima parte del volume, più marcatamente incentrata sul lavoro a Cinecittà della voce narrante, sulla rete di amicizie di intellettuali e artisti, nonché sulle reazioni a una deriva che si percepisce oramai prossima, si arresta con la notizia delle dimissioni di Mussolini appresa il 26 luglio 1943. I primi sette capitoli della seconda parte sono invece strutturati sulla base di un contrappunto tra gli episodi che si svolgono a Roma – dove l’io narrante, in volontaria reclusione in un albergo, segue la metamorfosi del corpo della città, divenuta sempre più spettrale e sinistra sotto l’offesa dell’occupazione – e le vicende ambientate in Toscana, nel bosco di Berignone, che vedono protagonista il partigiano Frusta, il nome usato da Sandro Contini Bonacossi durante la lotta resistenziale. È proprio nel contatto con l’esperienza partigiana che l’io narrante si ritrae e concede spazio al racconto in terza persona della vita dei combattenti nelle colline toscane.20 Al di là di precisi espedienti narratologici, nella seconda parte una dimensione collettiva emerge anche dalla rappresentazione dei luoghi e dei rapporti umani. «Ma sui treni, per le campagne, alle stazioni, sorsero i segni di quella solidarietà […] che doveva consolarci, poi, per tutto il periodo dell’occupazione tedesca»,21 si afferma al momento dell’arrivo dei tedeschi a Roma, oggettivando quel ‘sentire comune’ su cui si fonda anche l’efficacia comunicativa delle scritture neorealiste e la riformulazione del rapporto, divenuto più immediato e condiviso, tra gli scrittori e il pubblico.
Sebbene sia stato pubblicato in un periodo più prossimo alla crisi del neorealismo che non alla sua diffusione, I coetanei sembra tuttavia recuperarne, anche a una rapida verifica, alcuni dei temi, degli stilemi e persino delle scelte formali più frequenti, sia pure nella veste di un tardivo recupero e di un omaggio; e invita dunque a una riconsiderazione del canone della letteratura resistenziale alla luce dell’originale punto di vista di una diva del cinema.22 Allo stesso tempo, l’opera solleva questioni di carattere metodologico legate allo statuto atipico di quell’‘io’ che intreccia la narrazione e che appare caratterizzato da una dimensione finzionale non esclusivamente interna allo svolgimento diegetico e connessa anche alla proiezione di una figura autoriale in cui, come ha chiarito Maria Rizzarelli, «verità e finzione sono strettamente legate, per quella confusione tra attore e personaggio che, oltre ad essere uno dei topoi delle divagrafie, soggiace ontologicamente alla natura ibrida della star».23 Inoltre, se osserviamo all’interno dei Coetanei il recupero e la problematizzazione che l’autrice propone della sua stessa immagine divistica, ci rendiamo conto di come la scrittura, in seno alla rielaborazione del proprio vissuto da parte dell’attrice, possa accogliere anche una significativa richiesta di agency.
Quelli appena delineati sono solo alcuni dei nuclei principali del profilo e della carriera di Elsa de’ Giorgi, a cui è necessario aggiungere almeno un riferimento ad altre diramazioni della sua incessante attività. La diva, infatti, è stata anche animatrice, a Roma, di un salotto culturale divenuto negli anni centro nevralgico delle relazioni intrattenute con numerosi esponenti della scena culturale, intellettuale, artistica italiana del Novecento (tra i quali Renato Guttuso, Carlo Levi, Anna Magnani, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini); si è cimentata nella stesura di saggi che ospitano riflessioni sulla teoria dell’attore, come accade nell’intervento su Eleonora Duse;24 ha pubblicato articoli e saggi in periodici (negli anni Sessanta e all’inizio del decennio successivo si situa, ad esempio, la collaborazione con la rivista Opera aperta); ha coltivato un’inclinazione che Simona Scattina ha giustamente definito ‘pedagogica’25 e che ha trovato la sua massima espressione nella fondazione, negli anni Ottanta a Bevagna, luogo d’origine della famiglia dell’attrice, del Laboratorio di arti sceniche e tecnologie avanzate. De’ Giorgi, insomma, è stata pienamente partecipe della vita culturale del secondo Novecento italiano, facendosi protagonista di una fusione fra arte e vita, fra scrittura e reale26 che ammalia e chiede di essere esplorata ancora.
* Questo articolo nasce nell’ambito del progetto di ricerca PRIN (bando 2017): Divagrafie. Drawing a Map of Italian Actresses in writing // D.A.M.A. / Divagrafie. Per una mappatura delle attrici italiane che scrivono // D.A.M.A., che vede come Principal Investigator Lucia Cardone (Università degli Studi di Sassari) e come responsabili delle altre unità coinvolte nel progetto Anna Masecchia (Università di Napoli Federico II) e Maria Rizzarelli (Università degli Studi di Catania).
1 La sezione Incontro con del presente numero di Arabeschi raccoglie le relazioni presentate in occasione del workshop «Raccontare la propria voce». Elsa de’ Giorgi fra attorialità e autorialità, che si è svolto presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania il 31 marzo 2023 come attività di disseminazione del programma PRIN 2017 Divagrafie. Per una mappatura delle attrici italiane che scrivono, che vede come coordinatrice dell’unità di ricerca dell’Università di Catania Maria Rizzarelli (Principal Investigator: Lucia Cardone, Università di Sassari; coordinatrice dell’unità di ricerca dell’Università di Napoli: Anna Masecchia).
2 Cfr. M. Rizzarelli, ‘L’attrice che scrive, la scrittrice che recita. Per una mappa della ‘diva-grafia’’, in L. Cardone, G. Maina, S. Rimini, C. Tognolotti (a cura di), Vaghe stelle. Attrici del/nel cinema italiano, Arabeschi, 10, luglio-dicembre 2017 <1.3. L'attrice che scrive, la scrittrice che recita. Per una mappa della 'diva-grafia' - Arabeschi Rivista di studi su letteratura e visualità> [accessed 20.12.2023]; M. Rizzarelli, ‘Il doppio talento dell’attrice che scrive. Per una mappa delle “divagrafie”’, Cahiers d’études italiennes, 32, 2021 <Il doppio talento dell’attrice che scrive. Per una mappa delle “divagrafie” (openedition.org)> [accessed 20.12.2023].
3 Per un primo ragguaglio sulla nozione di ‘doppio talento’ si rimanda a M. Cometa, Al di là dei limiti della scrittura. Testo e immagine nel “doppio talento”, in M. Cometa, D. Mariscalco (a cura di), Al di là dei limiti della rappresentazione. Letteratura e cultura visuale, Macerata, Quodlibet, 2014, pp. 47-78.
4 M. Corti, I vuoti del tempo, Milano, Bompiani, 2003, p. 138.
5 Per informazioni relative al colloquio di Maria Corti con Elsa de’ Giorgi e per alcune considerazioni di natura critica sul carteggio si rimanda, più in particolare, a M. Corti, Ombre dal fondo, Torino, Einaudi, 1997, pp. 90-94; Ead., I vuoti del tempo, pp. 137-151. Per un’analisi filologica si rinvia a M. McLaughlin, ‘Il carteggio Calvino-de’ Giorgi: problemi di datazione’, Autografo, XIV, 36, gennaio-giugno 1998, pp. 13-32. Quasi la metà delle lettere di Calvino a de’ Giorgi è stata posta sotto sigillo per il carattere privato dei documenti; della parte consultabile dell’epistolario è stata comunque vietata la pubblicazione integrale. Sulla querelle e sull’azione legale intentata dalla vedova Calvino, Esther Judith Singer, a seguito della riproduzione, nell’agosto del 2004, di stralci del carteggio sul Corriere della Sera cfr. R.S. Fiori, ‘Le lettere violate’, la Repubblica, 7 agosto 2004; A. Colombo, R. Cremante, A. Stella, ‘«Si possono leggere ma non pubblicare integralmente»’, la Provincia Pavese, 11 agosto 2004; A. di Francia, ‘Le lettere d’amore di Italo Calvino finiscono in tribunale’, Dirittodautore.it, 13 settembre 2004 <https://www.dirittodautore.it/news/attualita/le-lettere-damore-di-italo-calvino-finiscono-in-tribunale/?cn-reloaded=1> [accessed 20.12.2023]; P. Di Stefano, ‘Quelle lettere (ancora segrete) di Italo Calvino a Elsa de’ Giorgi’, Corriere della Sera, 21 agosto 2017; V. Millefoglie, ‘Amatissima Elsa’, la Repubblica, 15 ottobre 2017.
6 M. Corti, I vuoti del tempo, p. 138.
7 N. Trotta, Autografo, p. 123.
8 E. de’ Giorgi, Ho visto partire il tuo treno [1992], Milano, Feltrinelli, 2017, p. 137.
9 Per il recupero di brevi estratti del carteggio nei testi dell’attrice-scrittrice – oltre al citato Ho visto partire il tuo treno che nasce proprio dalla necessità, per la diva, di un preciso posizionamento rispetto a quel periodo del suo percorso umano e professionale – si rimanda anche all’articolo E. de’ Giorgi, ‘Il mio Calvino’, Epoca, 26 settembre 1990, pp. 122-127.
10 Nelle righe finali dello scritto introduttivo di Calvino alle Fiabe italiane, si legge: «M’è caro porre ad apertura del libro il ricordo di Cesare Pavese, la cui spinta a ricercare nelle culture primitive il segreto d’ogni immaginare poetico si ripercuote – per altre vie dalle sue – anche in quest’opera. Ed una dedica, a Raggio di Sole, un personaggio che non è nel libro» (I. Calvino, Fiabe italiane, Torino, Einaudi, 1956, p. XLVIII).
11 I. Calvino, La nuvola di smog [1965], in Id., Romanzi e racconti, a cura di M. Barenghi, B. Falcetto, Milano, Mondadori, 2003, I, p. 924.
12 E. de’ Giorgi, Ho visto partire il tuo treno, p. 82.
13 I. Calvino, La nuvola di smog, p. 913.
14 «Riunirci in una lontana spiaggia del Sud per le vacanze, ritrovarci placati, felici per giorni interi. […] Era vitale, per entrambi stando vicini, scrivere. Ci colmava di pace e d’amore. Ecco perché le vacanze estive erano vissute, ripensate, progettate, sperate come un paradiso» (E. de’ Giorgi, Ho visto partire il tuo treno, pp. 51, 52).
15 I. Calvino, L’avventura di un poeta [1958], in Gli amori difficili, Torino, Einaudi, 1970, ora in Id., Romanzi e racconti, a cura di M. Barenghi, B. Falcetto, Milano, Mondadori, 2004, II, p. 1166.
16 Su questo aspetto si rimanda ancora a M. Corti, I vuoti del tempo, pp. 137-151.
17 E. de’ Giorgi, Storia di una donna bella [1970], Città di Castello (PG), Lab, 2023, pp. 52-53.
18 Il ricordo di Elsa de’ Giorgi è contenuto nel pezzo di F. Campo, ‘Elsa de’ Giorgi: da ingenua a scrittrice sofisticata’, Stampa Sera, 11-12 dicembre 1967. L’idea di un’immagine divistica strettamente connessa all’innocenza, alle espressioni di un volto puro, appare già radicata nelle riviste specializzate dell’epoca; in un articolo pubblicato nel 1943 su Cine Magazzino, ad esempio, si legge in relazione all’attrice: «L’ho incontrata l’altro giorno in piazza di Spagna. Ma il posto migliore per trovarla è la fiera delle ingenue. Non la conoscete? […] Lì vi è il raduno delle dive e delle divette eternamente sorridenti, lo sguardo incantato, il nasino preferibilmente rivolto in su, gli occhioni – per lo più cerulei – spalancati per la meraviglia, le labbra sovrapposte per un ipotetico broncio, le sopracciglia inarcate, le mossucce tutta grazia e vaporosità» (D. D’Anza, ‘Incontri’, Cine Magazzino, 14 gennaio 1943).
19 E. de’ Giorgi, Storia di una donna bella, p. 171.
20 Questo aspetto è già stato notato da Roberto Deidier, che nello scritto introduttivo ai Coetanei spiega: «Quella voce comincia a farsi sentire in prima persona, ma vi è più di un tratto in cui la memoria oggettiva un’epica non sua, ed è proprio allora che ci sentiamo confortati da una più tradizionale parvenza di estraneità, come se in quel momento il narratore – come in effetti è – restasse escluso dalla scena che si rappresenta, al punto che il racconto, così isolato, sembra indulgere alla terza persona (R. Deidier, ‘Introduzione’, in E. de’ Giorgi, I coetanei, [1955], Milano, Feltrinelli, 2019, p. 7).
21 E. de’ Giorgi, I coetanei, p. 145.
22 Cfr. M. Rizzarelli, ‘Il doppio talento dell’attrice che scrive’. Per un approfondimento in questa direzione si rinvia anche a M. Simeone, Elsa de’ Giorgi: la Resistenza come pensiero e come azione, in A. Frabetti, L. Toppan (a cura di), Raccontare la Resistenza, Firenze, Franco Cesati, 2023, pp. 149-164.
23 M. Rizzarelli, ‘Il doppio talento dell’attrice che scrive’.
24 E. de’ Giorgi, ‘La lezione della Duse all’attore contemporaneo’, Clizia, 34-35, [1960], pp. 1771-1784.
25 Cfr. S. Scattina, ‘«Tu hai un palcoscenico, dove inventare ogni sera la tua verità». La parabola teatrale di Elsa de’ Giorgi’, Arabeschi, 22, luglio-dicembre 2023 <http://www.arabeschi.it/tu-hai-un-palcoscenico-dove-inventare-ogni-sera-la-tua-verit--la-parabola-teatrale-di-elsa-de-giorgi/> [accessed 20.12.2023].
26 A dimostrazione di ciò si pongono in parte anche i rimandi al contesto sottesi all’impostazione dello studio di M. Comand, Elsa de’ Giorgi. Storia, discorsi e memorie del cinema, Milano-Udine, Mimesis, 2022. Si segnalano inoltre, come volumi monografici dedicati all’attrice-scrittrice, T. Tovaglieri, Dicevo di te, Elsa de’ Giorgi, Fasano, Schena, 2019; V. Zilieri Dal Verme (a cura di), Elsa de’ Giorgi e il Circeo, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2021.