«Tu hai un palcoscenico, dove inventare ogni sera la tua verità». La parabola teatrale di Elsa de’ Giorgi

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Il contributo si prefigge di mettere in luce il profilo parabolico del rapporto di Elsa de’ Giorgi con il teatro, che incarnerà il suo sogno personale di un rinnovamento dell’arte. Il suo sguardo si posa inevitabilmente sull’ambiente che la circonda e grazie all’esperienza esperita in teatro nasceranno degli scritti teorici che registrano di quella tensione necessaria all’attrice per diventare una figura pubblica; riflessioni che la condurranno anche a ritagliarsi negli anni un altro spazio di invenzione e operatività autonoma, e a intraprendere un’attività pedagogica.

The contribution focuses on the parabolic profile of Elsa de' Giorgi relationship with the theatre, which embodied her personal dream of a renewal of the art. Her gaze inevitably rested on her surroundings, and thanks to her experience in the theatre, theoretical writings were born that record the tension necessary for the actress to become a public figure; reflections that would also lead her to carve out another space of invention and autonomous operation over the years, and to undertake a pedagogical activity.

1. Il grido di Desdemona

«Il maestro di recitazione teatrale di Elsa de’ Giorgi […] fin dalla prima lezione […] capì che […] l’allieva la sapeva molto più lunga di lui. [...] Era brava, appunto perché faceva regolarmente il contrario di quel che insegnava lui».[1] È inizialmente nello studio dei piccoli ruoli drammatici e nell’essere «spettatrice quasi muta»,[2] attratta «da un personaggio da cui si aspetta continue meraviglie»,[3] che de’ Giorgi trova il modo di intendere i segreti della disciplina dell’arte teatrale.[4] Saranno poi gli applausi a farle comprendere come fosse quella la conferma del sentirsi attrice: «capii che i sacrifici, la disciplina, il rigore delle prove, quel metterti a nudo nella tua impotenza quando impari a memoria la battuta, l’arricchisci mano mano di attenzione, intelligenza, idee, tutto è per meritare quel consenso, librarti in quella vertigine vibrante, festosa».[5]

De’ Giorgi sembra trovare se stessa nello spazio del teatro durante gli anni di guerra; «l’arduo esperimento teatrale» le consente di avere coscienza «dei propri mezzi espressivi».[6]

Piccoli ruoli, dicevamo, ma tali da farle scrivere al critico teatrale Renato Simoni: «mai, prima d’ora avevo sentito formicolarmi nel sangue un personaggio, mai avevo sentito, come ora in me la sua presenza costante, la necessità di dargli vita».[7] Entra così a far parte della compagnia di Andreina Pagnani e Renzo Ricci,[8] interpretando una breve parte in Sei personaggi in cerca d’autore (1941), a cui seguiranno altri ruoli minori. La troviamo al Teatro Odeon di Milano nel dramma Il piccolo Santo di Roberto Bracco, in Sly, ovvero la leggenda del dormiente svegliato di Giovacchino Forzano, sarà Ofelia in Amleto e avrà una parte nel Lorenzaccio di Alfred de Musset. Ma il punto di svolta sarà nel 1943 quando, nel ruolo di Desdemona, de’ Giorgi – mossa da istanze utopiche al pari dei padri fondatori della regia e in cerca di una verità scenica che sapesse cogliere i livelli frammentari, contraddittori, nascosti del Novecento – arriverà a cogliere i meccanismi segreti dell’arte recitativa. All’epoca si dibatteva molto se l’attore dovesse vivere la propria parte o essere indifferente. Per de’ Giorgi era una sorta di «motore mentale»[9] a dover controllare l’attore, così come il pilota governa la sua macchina, anche se qualcosa può e deve restare affidato al caso. Da qui il miracolo:

Lucidamente componevo il mio personaggio incalzandolo di un ritmo sicuro. Era come se assistessi allo spettacolo del mio lavoro, dirigendolo contemporaneamente. […] Il silenzio di Desdemona avevo capito. Tutto quello che non avevo mai detto e che non avrebbe più detto a nessuno quando poche battute dopo Otello la uccide. E il grido che mi uscì dalle labbra prima che Ricci mi ghermisse, lo ritrovai nella mia memoria, improvviso, in un terribile ricordo d’infanzia mai prima di allora evocato. […] Quel grido io lo facevo per la prima volta. La sua intensità mi era ignota come esperienza sia in scena che nella vita. […] Non ho mai più recitato così.[10]

L’attività teatrale prosegue tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Nel giugno del 1949 accetta di recitare in Troilo e Cressida, tragedia shakespeariana del 1609, ambientata da Luchino Visconti nel Giardino di Boboli in occasione del XII Maggio Musicale Fiorentino, con uno straordinario cast di interpreti ribattezzati dal regista «la nazionale del teatro italiano».[11] Troilo e Cressida ritrovava grazie a Visconti una dimensione fantastica che sembrava all’epoca mancare al teatro italiano,[12] mentre, assegnando a de’ Giorgi il ruolo di Elena di Troia, il regista rendeva omaggio al suo carisma, un fascino che sarebbe poi stato riconosciuto anche da Giorgio Strehler quando nel 1957 la chiamerà per interpretare Madame Roland ne I giacobini di Federico Zardi.[13]

Insieme a queste prime esperienze[14] de’ Giorgi intraprende la strada della scrittura saggistica licenziando nel 1950 Shakespeare e l’attore, un agile saggio teatrale di 26 pagine, stampato da una piccola tipografia di Milano, per conto della neonata Electa, in 480 esemplari numerati e «scritto in forte polemica contro un libro della Laterza, dove si attribuiva perentoriamente l’autenticità al solo Shakespeare in versi».[15] La brevità non ne sminuisce la densità, tanto che, come ci ricorda Tommaso Tovaglieri nel suo Dicevo di te, Elsa de’ Giorgi,[16] anche lo storico e critico d’arte Bernard Berenson, amico della famiglia Contini Bonaccorsi, in una lettera conservata presso il Centro Manoscritti di Pavia, le scriverà:

Dearest Elsa, I feel grateful to you for throwing a stone at the sky-scraping pedantry which under the noun of criticism is now encumbering the earth […]. It is all based on the stupidity, on lack of all aesthetic sense and on sterility of imagination. These 99% of the so-called “critici” cannot conceive that Shakespeare is a genius. They will not admit capacities of which they have no track in themselves.[17]

Per de’ Giorgi era necessario immaginare l’opera di Shakespeare dando alle parole del testo una voce[18] e dei gesti di vita vera, «inseriti in un mondo dove tutto si traduce in una realtà, sia pure essa trasfigurata dal clima poetico dell’arte teatrale».[19] È il teatro, dunque, a corroborare la «coscienza di attrice»[20] perché è un’arte completa in cui, senza mediazione alcuna, bisogna esserci, con il corpo e con la voce. Una consapevolezza che troviamo nelle interpretazioni di Elena di Troia e di Madame Roland, nel saggio con cui esordisce alla scrittura e nei successivi interventi su Eschilo nel trimestrale Diònisio (1960), La lezione della Duse all’attore contemporaneo (1960), Pirandello moderno sofista (intervento al Convegno internazionale di studi pirandelliani del 1961), Struttura teatrale del personaggio stendhaliano (intervento al Convegni di Civitavecchia del 1964, edito nel 1967).

L’esperienza scenica e il desiderio di recitare, come per Duse, fino alla fine sono davvero un nucleo pulsante essenziale per la donna di teatro de’ Giorgi, che si esprime sulla pagina con ampie e articolate invettive, in una continua sollecitazione che portasse a riflettere sulla mancata consapevolezza da parte dei letterati della propria disponibilità poetica al teatro.[21] Le sue considerazioni sono utili a inquadrare l’apporto che un’attrice poteva dare alla cultura del proprio tempo, il sistema dei personaggi, e il fenomeno dell’attore-autore che a partire dagli anni Settanta si stava affermando sempre di più. Temi che ci mostrano la vivacità critica di de’ Giorgi e ne registrano quella tensione necessaria all’attrice per diventare figura pubblica.

Copertina del numero 8-9 di Opera Aperta del 1967 in cui compare il contributo di de’ Giorgi dal titolo I letterati italiani e il teatro

La corrente di un certo ‘protagonismo femminile’, di cui anche de’ Giorgi fa parte, aveva un debito di grande riconoscenza nei confronti di Duse, simbolo del teatro moderno e punto di riferimento del contesto storico che nel Novecento vedeva artiste conquistare ‘una loro stanza’ per cercare linguaggi propri e mettersi alla prova: «per noi l’interesse verso la Duse è […] il suo rapporto e apporto alla cultura del suo tempo. Che cosa ne rappresentò, che cosa ne anticipò e ce ne trasmise».[22] Ed è nel saggio su Duse che de’ Giorgi ci racconta di un modo di intendere e di praticare il teatro, riflessioni che probabilmente la condurranno a ritagliarsi negli anni un altro spazio di invenzione e operatività autonoma, e a intraprendere l’attività pedagogica.

L’artista […] compone esseri differenti da sé, suoi opposti, spiati, studiati attraverso una coscienza che trascende la propria esperienza e soprattutto il proprio destino umano per offrirvi qualcosa di più vero e di più universale. […] Interviene allora la funzione ragionevole del pensiero a scegliere i modi che fanno diventare Scienza l’espressione mimetica del dramma. Proprio attraverso la sua Scienza, l’artista giunge alla sintesi, a dare cioè una espressione totale e unitaria a quanto ha dialetticamente contrastato, negato e riconquistato. […] Una autocoscienza critica dei propri mezzi…[23]

I problemi generali d’attore vengono avvertiti in modo più acuto dalle attrici, come ci ricorda Mariani, in quanto esse aspirano a un superamento di quella delicata intersezione arte-vita, recitazione-autobiografia, precorritrice di accenti capaci, come mostrò Duse, di elevare l’arte.[24]

In un continuo intreccio di visioni (letterarie, saggistiche, cinematografiche e teatrali), e nella valenza interdisciplinare del suo discorso teorico,[25] il gusto della messinscena e il sentirsi una prima donna, come detto, non verrà mai meno per de’ Giorgi tanto che vent’anni dopo il primo pamphlet tornerà sul rapporto tra cinema e teatro, finzione e realtà, arte e vita con il bisogno di ricostruire e rileggere la propria storia attraverso autobiografie di nuovo tipo[26] perché, come scrive Colette: «l’autobiografismo rappresenta per le donne, in alcune fasi storiche, in alcuni momenti della vita, una tappa necessaria».[27]

Con Storia di una donna bella (1970), grazie alle vicende di Elena, figura di mediazione tra sé e la sua autobiografia, de’ Giorgi ci racconta come fosse maturata in lei la consapevolezza dell’azione viva del teatro, di fronte a un pubblico, anch’esso vivo e presente. Il teatro è per Elena «una cosa vera, difficile, che fa paura come la guerra».[28] L’audacia nel mescolare arte e vita rimanda alla valorizzazione della sfera femminile, delle sue emozioni più profonde e tipiche. De’ Giorgi in quegli anni abita spazi di invenzione (letteraria) e di operatività (saggistica), non solo quello della recitazione. Alla delusione provocata dal cinema e dalla sua meccanicità, subentra il potere di fascinazione di quel «deserto di legno» in cui gli attori «si ostinavano a intrinsecare il silenzio alla voce, vivendo staccati da ogni altro pensiero del mondo».[29] Ma in quello sforzo necessario era racchiusa la ragione più appassionante del mestiere di attrice:

Il miraggio segreto, soffocato per scaramanzia durante tutto lo spettacolo, dell’improvviso scoppiare degli applausi che squarciasse il silenzio della sala, riempiendo di consolazione il nuovo silenzio sorto lassù sul palcoscenico dove tutti gli attori finalmente ammutoliti si raggruppavano come tratti a salvamento su una zattera. E lo spettacolo della platea che si animava di luci, di vita festosa come un mare in allegra burrasca sotto il sole, rivisto dopo una lunga notte ambigua.[30]

Elena e Elsa saliranno sulla «zattera» del teatro, consapevoli delle difficoltà e delle gioie che quella vita avrebbe portato loro, affrancandole «dall’imbarazzo che la sorte privilegiata di Diva»[31] aveva loro procurato.

2. La «zattera» del teatro

L’esperienza teatrale è da considerarsi dunque un tassello strettamente legato all’attività letteraria e saggistica di de’ Giorgi per i continui rimandi e gli approfondimenti riguardanti le tematiche e le idee che hanno finito per costruire la complessa geografia della successiva opera pedagogica. De’ Giorgi, artista matura, elabora un preciso metodo di lavoro volto alla definizione di uno stile attorale originale, supportato da una concezione del teatro che punta al coinvolgimento emotivo del pubblico e alla trasmissione di messaggi etici ed estetici tali da educare ed affinare la mente e lo spirito degli spettatori. Per favorire il concretizzarsi delle aspirazioni insite nella sua concezione di teatro, deve costruire e realizzare condizioni di lavoro che le diano la possibilità di praticare la sua personale formula recitativa con libertà ed indipendenza, di scegliere il repertorio e dare ad esso ordine e coerenza. Per queste ragioni, tra gli anni Settanta e Ottanta fonda la scuola di recitazione Il Vivaio (1970) e, a fianco dei suoi «strumenti recitanti»,[32] come chiamava i suoi allievi-attori, dirige spettacoli da Goethe, Goldoni e Aretino, oltre che da Adele Cambria (In principio era Marx. La moglie e la fedele governante, 1980[33]) con la quale stringerà una duratura amicizia.[34]

All’interno della sua scuola de’ Giorgi – che sin dal già citato saggio su Duse si era interrogata sulla necessità che il regista esortasse lo spirito critico dell’attore, ponendosi a tutela dei suoi rapporti con il testo – pratica una pedagogia imperniata sull’attore e sul recupero di una recitazione in grado di fondere i valori linguistici e fonetici a quelli gestuali. La sua esperienza in tal senso si dimostrerà capace di diversificare la cultura del teatro, non assumendo la regia come un’eredità data, ma facendola riemergere di volta in volta dal processo creativo, in un rapporto originale rispetto alla cultura scenica di appartenenza.[35]

Io con un gruppo di giovani quasi totalmente digiuni di teatro, lavoravo appassionatamente per apprenderli a formulare un linguaggio scenico la cui teoria, elaborata sulla mia diretta esperienza del teatro, confermava una personale filosofia su di esso: e cioè recuperare al corpo umano la dignità di una espressione totale, verbale quanto gestuale, nella dialettica drammatica e ormai scandalosa della sua presenza e ravvicinamento reale col pubblico.[36]

C’è in questa riflessione la presa di coscienza che sia l’attore sia lo spettatore facciano esperienza dello spettacolo attraverso il loro corpo-mente e nel loro corpo-memoria.[37] Non possiamo escludere che de’ Giorgi si fosse interessata alle riflessioni dibattute durante il Convegno di Ivrea del 1967, certo è che l’esperienza di Vivaio (e della successiva Associazione), nata come esposizione di materiali di laboratorio, in un coinvolgimento giovanile forse un po’ troppo fragile per resistere alle pressioni della moda del tempo, da un lato, ed alla perdita di valori e di ideologie dall’altro, ha comunque agito con i suoi spettacoli proficuamente nel territorio di riferimento, disponendosi su un orizzonte teatrale di competizione rispetto al teatro tradizionale.

Il rigore estenuante delle prove, degli esercizi d’impostazione di voce, atletici, acrobatici, ecc., nel mio criterio, non si limitano a esperimenti didattici, ma servono a montare lo spettacolo preparando gradatamente ognuno allo sviluppo del proprio personaggio, al suo armonizzarsi con gli altri personaggi e con l’azione scenica. […] Con me non si nascondevano dietro schemi convenzionali o suggestioni scenografiche.[38]

Il Vivaio era un luogo d’animo e di lavoro nel paesaggio contemporaneo (come, in quegli stessi anni, lo erano i laboratori che stavano nascendo a Santarcangelo o a Salerno). Le manifestazioni popolari, le sacre rappresentazioni e le situazioni, per adulti e per bambini, imponevano – per ragioni di alterità con il sistema istituzionale – un processo di creatività diffusa. Prova ne è la messa in scena della Cortigiana, rappresentata a Roma nel 1970, nel magico scenario di Piazza Margana, con colori e idee rinascimentali di Carlo Levi e musiche di Goffredo Petrassi. «La ragione che mi ha spinto a mettere in scena La Cortigiana in certo modo è proprio l’averla, leggendola, udita»:[39] con queste parole de’ Giorgi si riallacciava a ciò che De Santis aveva riconosciuto all’Aretino quando evidenziava il suo vivace plurilinguismo, superiore a quello di Dante e Boccaccio. La prima operazione che de’ Giorgi fa sul testo è un’operazione di contaminazione tra le due edizioni della commedia; la seconda riguarda lo spazio scenico che doveva essere in grado di fare apprezzare al pubblico la piena sintonia tra linguaggio e contesto, così da raggiungere una sua «verità di vita»: gli allievi-attori scendevano in piazza, come in una piazza l’Aretino aveva scaraventato i suoi personaggi.

Stavo collaudando coi miei allievi questi criteri, dicevo, e avevo scelto la Cortigiana naturalmente nella sola edizione che mi era nota, quella del 1534 […], quando sentii il bisogno di comunicare al Prof. Giorgio Petrocchi la mia proposta per vagliarla alla luce del giudizio di uno studioso del suo valore. Fu in questa occasione che Giorgio Petrocchi […] mi rivelò l’esistenza di una prima edizione de La Cortigiana del 1525 […]. Scritta pertanto in Roma sicuramente nel periodo più burrascoso della vita dell’Aretino […]. Il Petrocchi aveva notato una maggiore stringatura del testo, una violenza più drasticamente drammatica nei tagli del dialogo, incollocabili nel letterato Aretino, senza che una visione scenica ne condizionasse, ampliandola, la forma. […] Fui sinceramente colpita per la coincidenza esplicita di questa prima versione, con il mio criterio di interpretazione del testo…[40]
Frammento di un articolo tratto da La Repubblica in cui compare una foto che ritrae Elsa de’ Giorgi e Andrea Cagliesi in La Cortigiana, 1986

Aretino è cartina di tornasole di questo adattamento plurilingue «insolente»[41] di de’ Giorgi, che riserverà per sé i panni della cortigiana ruffiana Aloigia, depositaria, al pari della Celestina di De Rojas, di tutto il male e di tutti i vizi del suo tempo, nonché punto di fuga della vicenda che sullo sfondo ha una Roma di felliniana memoria, una babele percorsa da tutti quei linguaggi che Aretino doveva aver udito. L’essere poi pittore e appassionato testimone della grande pittura del suo tempo conferiva al suo teatro una notazione viva che ritraeva nelle piazze e nei vicoli apparizioni umane liberate al loro grottesco più reale.

Non intaccai la crosta linguistica rinascimentale, la preziosità della sua sintassi, e feci una scoperta importante: che il dialetto, cioè, o solo l’accento dialettale, la spogliava dalla sua impalcatura restituendole una funzione che potenziava il significato delle cadenze dialettali in una sorta di più alto realismo: cancellando il «colto» della lingua salottiera, se ne svelava la sostanza.[42]

Il criterio seguito da de’ Giorgi è quello di una giocosa simultaneità dell’azione, per l’apparire dei vari personaggi da parti diverse del luogo dove si recitava, con il pubblico invitato a trovarsi in mezzo a vari discorsi. Una formula ‘aperta’, con un linguaggio scenico senza alcun limite convenzionale e scenografico, che sarà alla base di tutti i suoi progetti teatrali.

A torto l’operato di de’ Giorgi in teatro sarà oscurato dalla Diva che fu. I più attenti tuttavia (tra questi possiamo annoverare Tommaso Chiaretti, Ugo Ronfani, Mimmo Coletti, Franco Cuomo, Lucio Romeo), non mancheranno di riconoscerle un rigore intellettuale che le consentirà di «esplorare con indubbia finezza alcune zone, davvero inesplorate, della nostra storia culturale»,[43] mostrando così una straordinaria capacità di impadronirsi dei ruoli che recitava e una perizia nella scelta dei testi e nella loro messa in scena (una «regista piena di passione», teatrale e letteraria, come scriverà Chiaretti che l’aveva anche definita la donna dai tre volti: attrice, scrittrice, regista), capace di restituire «qualcosa di diverso dalla solita dotta, asettica rilettura fra i rossi velluti di un teatro tradizionale»,[44] che invece sembra misconoscere ogni tentativo di legittimazione della Nostra («mi sento un po’ appartata» dichiarerà in un’intervista, «ma non rimpiango le mie scelte, anzi sono molto felice di quello che ho fatto»[45]).

L’amore per i classici consentirà a de’ Giorgi, il 7 luglio del 1981, di affrontare il Tasso di Goethe[46] curando la regia di uno spettacolo che sarà rappresentato per una sola sera presso il Centro Teatro Ateneo dell’Università di Roma La Sapienza.[47] Quello che di Aretino aveva colpito de’ Giorgi, spingendola a cimentarsi con il testo, era la modernità e l’estrema audacia dei temi che facevano del loro autore «uno dei più grossi tipi della Rinascenza non solo italiana».[48] Anche Tasso rappresentava per de’ Giorgi uno dei massimi nomi del patrimonio letterario italiano che, pur campeggiando nella gloria dei Rinascimento, anticipa, con la sua opera[49] e la sua stessa vita, molte inquietudini del letterato e dell’uomo moderno: dal romanticismo al decadentismo, al dramma ancora attuale del rapporto dell’Occidente cristiano con l’Islam.

Sempre più donna di teatro e spirito ‘divorante’ di importanti letture, un anno dopo si imbatte in un’altra pièce-ritratto dell’autore della Liberata, il Torquato temperante[50] di Goldoni, che decide di portare in scena al Teatro centrale di Roma nel 1983 e a Bevagna nel 1987. Il testo, di cui de’ Giorgi curerà per una casa editrice di Ferrara anche un’edizione in volume nel 1989 (Torquato Tasso), mancava dalle scene teatrali da quasi centocinquant’anni essendo giudicato un testo ‘minore’ del drammaturgo veneziano; in realtà l’opera presenta echi metateatrali, coniugati in difesa delle scelte linguistiche e letterarie. Il commediografo veneziano, dopo aver inaugurato la commedia storica in versi martelliani (corrispondenti all’alessandrino francese), con Il Molière e il Terenzio, e già forte del successo ottenuto con La locandiera, aveva aperto il carnevale del 1755, nel Teatro di San Luca,[51] con il Torquato temperante, rappresentando, in cinque atti, la corte estense come uno spazio di intrighi mondani, di gelosie incapaci di sfociare nella tragedia. Come dichiarato dall’autore stesso nella nota iniziale «A chi legge», lo spunto biografico dell’amore di Tasso per la sorella del Duca d’Este, Eleonora, viene riarrangiato sulla base di un passaggio del Grand dictionaire historique di Louis Moréri (1674), in cui aneddoticamente si narrava della presenza, alla corte di Ferrara di tre Eleonore, «également belles et sages, quoique de différente qualité».[52] In una sorta di transfert letterario, Goldoni arrivava a empatizzare con la sventura del suo protagonista, sospeso tra il pettegolezzo (si ricordi l’annosa querelle con Diderot), e la solitudine spirituale che lo porterà a rinnegare la sua autentica natura.

Il Tasso da Goldoni, 1987

Affascinata dall’approccio al personaggio che Goldoni – a differenza del Goethe con il suo Tasso fanciullo sognatore – aveva immerso sin da subito nella tragedia, e colpita dall’uso del verso martelliano, di grande efficacia scenica, de’ Giorgi dà forma al suo adattamento in due tempi mediante una scrittura che, al di là dei singoli personaggi, invocava la necessità di una ricreazione dell’esperienza scenica.

Dal confronto diretto con tutta la produzione goldoniana (nel testo possiamo ritrovare echi de Gl’innamorati o delle Baruffe o dei Due gemelli veneziani), tocca diverse corde: da quella «affettuosa ironia»[53] riservata ad alcuni personaggi; agli «squarci illuministici»[54] dei giochi d’intreccio che la commedia pone; fino a una serpeggiante malinconia e al disegno scenico da melodramma capace di non sminuire la statura di Tasso e la sua infelicità (l’unico, secondo le cronache del tempo, a indossare un costume cinquecentesco, nero, luttuoso, tra i multicolori abiti settecenteschi degli altri cortigiani. Il costume è per de’ Giorgi un elemento essenziale del movimento drammatico).

L’introduzione a commento dell’edizione del 1989 non solo ci restituisce le motivazioni di una scelta (si ricordi che la sua esperienza cinematografica si era conclusa con La locandiera, per la regia di Luigi Chiarini), ma allo stesso tempo ci rivela la sua concezione di recitazione e di regia:

Mettere in scena Goldoni insegna a rispettare i tempi scenici senza indulgere a quelle compiacenze di tempi propri, cui troppo spesso i registi sono tentati. […] La stringatezza dei dialoghi, la grazia di certi monologhi sono spunti egregi alle acrobazie verbali e gestuali del buon attore. Il testo scritto, una concreta attrezzatura per gli atleti dello spettacolo. Il disegno dei suoi personaggi, come quello dell’architettura della commedia, è preciso, inderogabile, ma la scelta del colore che lo accenderà è affidato interamente al teatrante, attore o regista che lo interpreteranno.[55]

La commedia degli equivoci è corroborata con i lazzi della Commedia dell’arte. Alla fine una voce off, quella di papa Albertone (cameo di Alberto Sordi) invita Tasso a Roma, per ricevervi il serto della gloria. E il poeta obbedisce rinunciando alla marchesa che è la prescelta delle tre Eleonore: «Amo costei, la lascio per forza di virtù / Parto col dubbio in seno di non vederla più / Combattere finora sentii combattere gloria ed amore; / Or la passione è vinta dai stimoli d’onore».[56] Moderno epilogo, certamente romantico, dell’atto mancato.

È quanto mi ha suggerito il finale di cui ho parlato e il dichiarato arbitrio che me ne sono concessa. Ma sono certa che Goldoni lo avrebbe apprezzato. Ritengo che una regia debba trovarsi in assoluta sintonia col testo, sorta di scultura da un disegno, nemmeno da un’armatura. Incarnare di apparenze concrete i vuoti, ripercorrere i silenzi che le parole sembrano escludere. Eppure da quei silenzi, sorgono le parole scritte di un testo.[57]

Nel 1985, sempre più nell’ottica di un cantiere dove fare concretamente esperienza del corpo e della parola che conduca alla messa in scena di classici rivisitati, continuando così la propria ricerca autoriale e dedicandosi all’insegnamento dell’arte drammatica e della regia, fonda l’Associazione culturale Elsa de’ Giorgi – Laboratorio Arti Sceniche e tecnologie avanzate, operante a Bevagna in provincia di Perugia (presso il Teatro Francesco Torti),[58] un luogo sentito da de’ Giorgi come la propria ‘piccola patria’, terra dei suoi antenati (dell’amato padre Cesio Giorgi Alberti, professore di belle lettere), che voleva far diventare un centro conosciuto e riconosciuto di fervore culturale e dove – a parere di Berenson – era situata la più bella piazza italiana di epoca medievale.

De’ Giorgi sembra tornare alle riflessioni apparse nel saggio di Duse, ma ora con azioni concrete: «l’attore è tutto […], l’attore moderno adegui le sue esperienze tecniche e culturali a rendere sempre più razionale e presente il suo criticismo e ottenga di poterne disporre in quella funzione che all’attore è sacra, prima che congeniale».[59] Le attività previste a Bevagna sono di varia natura: dai seminari sulla storia del teatro ai corsi pratici di dizione, dalla recitazione «cineteatrale» e mimica, a costumistica, scenografia, ma anche corsi di videotape, «sperimentazione sullo spettacolo futuriale», come lo chiamava de’ Giorgi e incontri con filologi (Bo, Ulivi, Bosco, Petrocchi) e artisti (Poli, Scaccia, Antonioni, Wertmüller, Fo, Luca De Filippo).[60] Nella sua idea di teatro de’ Giorgi voleva che si superasse il vecchio standard secondo il quale un individuo non può sposare contemporaneamente due discipline, indossare due abiti mentali diversi, possedere immaginazione e inventiva da una parte, sapere teorico, proiettato al domani, dall’altra.

Faccio un orario di insegnamento superiore alle quaranta ore settimanali. Certo la fatica è grande ma io non la sento perché questa attività riassume un po’ tutti i miei precedenti ruoli. La mia è una nuova didattica che punta ad adoperare subito l’allievo mettendolo alla prova; ma dietro all’aspetto pratico c’è anche una parte teorica, una filologia della parola ed anche una filosofia del teatro che ritengo necessari alla formazione di un attore.[61]

Ogni percorso doveva dunque condurre da una parte alla messa in scena di grandi opere, dall’altra alla creazione di un homo novus capace di maneggiare con disinvoltura ogni branca dello spettacolo bandendo ogni forma di improvvisazione, mentre il linguaggio multimediale serviva a precisare e approfondire il racconto scenico.

Momenti di lezioneMomenti di lezione

De’ Giorgi tornerà a dirigere alcuni spettacoli storici proposti negli anni Settanta. Nella primavera del 1986, con una formula originale di un teatro multimediale che incontra il rito liturgico, proporrà Sangue + fango = Logos Passione tratto da Lauda umbra (da cui, nel 1974, lo ricordiamo, aveva ricavato anche il suo unico trattamento cinematografico). Si affrontava la vicenda della passione e resurrezione di Cristo[62] attraverso la figura dell’Addolorata (de’ Giorgi), in cerca del figlio lungo la strada del Calvario e quella della resurrezione di Lazzaro (vicenda ricostruita con alcune licenze frutto della fantasia di derivazione popolare). Un unicum affascinante svoltosi il Venerdì Santo negli spazi delle gradinate, delle chiese, delle terrazze di Bevagna illuminate come delle quinte di teatro, mentre le telecamere di Umbria Tv riprendevano le sequenze del dramma per riproporlo sullo schermo installato nella piazza San Silvestro dove sostava la statua dell’Addolorata. Lo spettacolo si apriva così alle possibilità percettive degli spettatori, alle loro capacità di elaborare immagini. L’opera raggiungeva quella perfetta «sintesi espressiva del linguaggio Cristiano, verbale e gestuale»,[63] di cui si è detto, sia mediante i costumi (curati, come sempre, da de’ Giorgi), sia attraverso una calcolata espressività richiesta ai suoi attori: «avvicinandosi carponi a Cristo (gesto Scrovegni)», o ancora: «tutti tornano intorno alla Madonna ricomponendo le posizioni del Giotto della deposizione agli Scrovegni», in un rimando figurativo a chi aveva riscoperto tra i primi, in pittura, l’umanità dei sentimenti e dei gesti. Che de’ Giorgi unisse l’istinto scenico con la grande competenza per le arti figurative non deve stupire,[64] d’altra parte ce lo ricorda lei stessa quando nel descrivere Elena di Storia di una donna bella dice: «ricca di cultura figurativa, al momento giusto richiamava alla memoria una pittura e ne ispirava il gesto con il ritmo di una danzatrice».[65]

Bozzetto di Francesco Fratta per LogosProve di Logos, 1986

Con i giovani allievi del Laboratorio e con alcuni attori professionisti (Lamberto Maggi, Carlo Ragonese, Claudio Pesaresi), nell’estate dello stesso anno, proseguendo la sua ricerca ‘policroma’ all’interno della Commedia del Cinquecento, ripropone La Cortigiana di Pietro Aretino (la prima nella piazza di Montefalco il 18 agosto, seguì la replica del 21 agosto presso la piazza medievale di Bevagna). Adele Cambria, scriverà: «le Laudi umbre rielaborate dalla de’ Giorgi scandivano con struggimento il silenzio raccolto: era la Madre che invocava la bellezza “delicata” del Figlio […] e chiedeva alle pie donne – immagine di una comune dolente solidarietà femminile – di andare a cercarlo e riportarglielo vivo».[66] Ancora una volta una sua regia ci racconta di un’artista plurale che ha fatto oggetto della propria ricerca le potenzialità ermeneutiche e liriche dello sguardo.

De’ Giorgi non si limitò lungo l’arco della sua carriera a teorizzare un’idea di teatro, ma la rese concreta, e soprattutto accessibile e praticabile da chiunque, rafforzando l’idea di un’arte fortemente relazionale. La dimensione artistica con fatica conquistata e pubblicamente esibita ci consegna, alla luce del suo eccezionale talento, un’esperienza teatrale sui generis, di un teatro come luogo della ‘visione’ che sfocia in un teatro come ‘modo di vivere’. L’ultimo miraggio che ebbe del teatro conserva in sé il riverbero degli esordi e del famoso saggio su Duse, di quella ricerca sull’arte dell’attore, in quanto veicolo di creazione, che poi rappresenterà, lungo tutto la sua vita, la ricerca di e su sé stessa.

 

1 M. Maccari, Elsa e Cleopatra, breve racconto custodito nel Fondo Elsa de’ Giorgi, Centro per gli studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei, Università degli Studi di Pavia. Nostro il corsivo.

2 E. de’ Giorgi, Ho visto partire il tuo treno [1992], Milano, Feltrinelli, 2017, p. 156.

3 Ivi, p. 56.

4 Cfr. M. Comand, Elsa de’ Giorgi. Storia, discorsi e memorie del cinema, Milano-Udine, Mimesis, 2022. Per Comand la teatralità in de’ Giorgi «rappresenta un punto di sintesi tra l’eredità del cinema muto e la logica della rappresentazione che va sempre più imponendosi su sollecitazione della incipiente cultura di massa» (ivi, p. 58).

5 E. de’ Giorgi, Ho visto partire il tuo treno, p. 161.

6 E. de’ Giorgi, Storia di una donna bella, Roma, Samonà e Savelli, 1970, p. 115.

7 Lettera di E. de’ Giorgi a R. Simoni, 1° ottobre 1942, Fondo Elsa de’ Giorgi, Archivio del Novecento, Università degli studi di Roma La Sapienza.

8 La ritroveremo poi nel febbraio 1943 nella Compagnia di Renzo Ricci – Eva Magni e nell’estate dello stesso anno in quella di Tullio Carminati.

9 E. de’ Giorgi, ‘La lezione della Duse all’attore contemporaneo’, Clizia, 34-35, [1960], p. 1780.

10 Ivi, pp. 1780-1781. L’attrice – che avrebbe rivelato l’interesse per gli esercizi professati da Stanislavskij in Storia di una donna bella (1970) e in Ho visto partire il tuo treno (1992) – avvia dentro di sé l’autentico processo creativo: il suo «magico sé».

11 Luchino Visconti al Maggio Musicale Fiorentino, catalogo della mostra, a cura di M. Bucci, Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, 2006, s.n. Interpreti principali sono: Piero Carnabuci, Priamo re di Troia; Carlo Ninchi, Ettore; Vittorio Gassman, Troilo; Giorgio de Lullo, Paride; Gianni Lotti, Deifebo; Bruno Zarotti, Eleno; Mario Pisu, Enea; Ferruccio Stagni, Antenore; Aristide Baghetti, Calcante; Paolo Stoppa, Pandaro; Nerio Bernardi, Agamennone; Giovanni Cimara, Menelao; Franco Interlenghi, Patroclo; Renzo Ricci, Achille; Massimo Girotti, Aiace; Sergio Tofano, Ulisse; Gualtiero Tumiati, Nestore; Marcello Mastroianni, Diomede; Memo Benassi, Tersite; Giorgio Albertazzi, Alessandro servo di Cressida; Ettore Conti, il paggio di Paride; Carlo de Santis, il paggio di Diomede; Rina Morelli, Cressida; Elsa de’ Giorgi, Elena; Eva Magni, Andromaca; Elena Zareschi, Cassandra; Ada Vaschetti, Ecuba. La versione italiana era firmata da Gerardo Guerrieri, i costumi da Maria de Matteis, l’allestimento scenico di Piero Caliterna e le scenografie avevano la firma di Franco Zeffirelli.

12 Cfr. ‘1949 Shakespeare – “Troilo e Cressida” Visconti e Zeffirelli’, Sipario, 241, numero speciale: 20 anni di teatro, maggio 1966.

13 Interpreti principali: Aldo Allegranza, Antonio Cannas, Tino Carraro, Elsa de’ Giorgi, Ottavio Fanfani, Sergio Fantoni, Valentina Fortunato, Franco Graziosi, Virna Lisi, Andrea Matteuzzi, Gianfranco Mauri, Franco Moraldi, Quinto Parmeggiani, Massimo Pianforini, Gigi Pistilli, Carlo Ratti, Luigi Vannucchi, Ornella Vanoni. Con le scene di Luciano Damiani, i costumi di Ezio Frigerio, le musiche di Gino Negri e le maschere realizzate da Amleto Sartori.

14 Negli anni 1953-54 intraprende il progetto di creare il Teatro delle due città, uno Stabile che unisse le città di Bologna e Firenze. Gli esigui finanziamenti non bastarono alla sopravvivenza del progetto. De’ Giorgi riuscirà comunque a far rappresentare tre opere: l’Antigone da Sofocle, Rossmersholm di Ibsen e Ispezione di Ugo Betti (primo attore Salvo Randone).

15 Il volume a cui si riferisce de’ Giorgi è quello di V. Capocci, Genio e mestiere. Shakespeare e la commedia dell’arte, Bari, Laterza, 1950. La citazione è tratta da E. de’ Giorgi, Ho visto partire il tuo treno, p. 29.

16 Cfr. T. Tovaglieri, Dicevo di te, Elsa de’ Giorgi, Fasano (BR), Schena, 2019.

17 Lettera di B. Berenson a E. de’ Giorgi, 1950, Fondo Elsa de’ Giorgi, Centro per gli studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei, Università degli Studi di Pavia.

18 A teatro de’ Giorgi scopre la voce, quella «voce bruna» che non credeva di possedere. Lo racconta in Ho visto partire il tuo treno dove riporta un dialogo con Calvino. Nel ’42 durante una scena di Sly di Giovacchino Forzano, mentre sta recitando gli ultimi versi: «versi amari, non belli, ma forti, di cui immaginavo l’efficacia solo se detti da una voce profonda della quale, curiosamente, mi pareva di conoscere il tono. La cercai in me e con stupore la trovai senza sforzo. [...] Sul viso di Ricci vidi rispecchiata la mia intima sorpresa prima che in quello di Forzano. Mi guardò a lungo indagandomi: “Che bella voce bruna” mormorò» (E. de’ Giorgi, Ho visto partire il tuo treno pp. 163-164).

19 E. de’ Giorgi, Shakespeare e l’attore, Firenze, Electa, 1950, p. 14.

20 F. Savio, Cinecittà anni Trenta, a cura di A. Aprà, coedizione con Centro Sperimentale di Cinematografia, Roma, Bulzoni, 2021, I, p. 278.

21 Si pensi alla rivista Opera Aperta, alla quale collabora tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, pubblicando numerose critiche teatrali. Nello specifico si fa riferimento all’articolo a firma di de’ Giorgi dal titolo ‘I letterati italiani e il teatro’, Opera Aperta, III, 8-9, 1967, pp. 84-88.

22 E. de’ Giorgi, ‘La lezione della Duse all’attore contemporaneo’, p. 1775.

23 Ivi, p. 1782.

24 L. Mariani, ‘Nuovo teatro delle attrici italiane. Sguardi per una storia da scrivere’, in A. Ghiglione, P.C. Rivoltella (a cura di), Altrimenti il silenzio: appunti sulla scena al femminile, Milano, Euresis, 1998, pp. 193-204.

25 Cfr. C. Pontillo, ‘Appunti sulla teoria della recitazione vista (e scritta) da Elsa de’ Giorgi’, in L. Cardone, F. Polato, G. Simi, C. Tognolotti (a cura di), Sentieri selvaggi. Cinema e Women’s Studies in Italia, Arabeschi, 18, luglio-dicembre 2021 <http://www.arabeschi.it/19-appunti-sulla-teoria-della-recitazione-vista-e-scritta-da-elsa-de-giorgi/> [accessed 10 dicembre 2023].

26 De’ Giorgi reinterpreterà, in chiave narrativa, il suo lavoro attoriale nei Coetanei (1955), in Ho visto partire il tuo treno e, in forma romanzata, in Storia di una donna bella. A tal proposito si veda il contributo di C. Pontillo, ‘Pagine di performance: la recitazione di Elsa de’ Giorgi nei testi letterari dell’attrice-scrittrice’, Oblio, XI, 42-43, 2021, pp. 60-72 <https://www.progettoblio.com/wp-content/uploads/2021/11/OblioXI42-43.pdf> [accessed 10 dicembre 2023].

27 Colette, La nascita del giorno [1928], trad. it. di A. Bassan Levi, Milano, Adelphi, 1986, pp. 66-67.

28 E. de’ Giorgi, Storia di una donna bella, p. 110.

29 Ivi, p. 114.

30 Ivi, pp. 117-118.

31 Ivi, p. 119.

32 E. de’ Giorgi, ‘Avventura con l’Aretino e la sua Cortigiana’, Opera aperta, VII, 19-20, dicembre 1971-marzo 1972, p. 110.

33 L’atto unico (scritto intorno al 1978) venne presentato in anteprima a Napoli, al cinema-teatro Bellini il 5 e 6 marzo, e debuttò a Roma, al Teatro La Maddalena (collettivo femminista nato nel 1973), l’8 aprile 1980 (interpreti: Victoria Zinny, Bianca Galvan, Vittorio Gassman). Grazie all’Istituto Italiano di Cultura venne rappresentato anche a Stoccolma.

34 «La bella avventura del Marx mi legò fortemente a Elsa de’ Giorgi, di cui avevo sperimentato la passione intellettuale e la solidarietà senza ombre. Ma c’è dell’altro [...] una preghiera [...] che lei mi fece prima d’andarsene. ‘Scrivi, scrivi delle donne che hai incontrato…’» (A. Cambria, Nove dimissioni e mezzo. Le guerre quotidiane di una giornalista ribelle, Roma, Donzelli, 2010, p. 242). Un’altra bella testimonianza sul loro rapporto la troviamo nell’intervista che Cambria ha concesso a Sandra Petrignani. Conversazione realizzata per l’ebook, Elsa de’ Giorgi e l’isola felice, presentato in occasione del Convegno L’isola felice, svoltosi a San Felice Circeo (LT) il 22 marzo 2014, promosso dal Comune di San Felice Circeo e finanziato con il contributo del Consiglio Regionale del Lazio, organizzato da PTS Art’s Factory in collaborazione con Made in Tomorrow: <https://www.youtube.com/watch?v=tnXMZuNN8g4> [accessed 10 dicembre 2023].

35 Cfr. L. Mariani, ‘Nuovo teatro delle attrici italiane’, p. 195.

36 E. de’ Giorgi, ‘Avventura con l’Aretino e la sua Cortigiana’, pp. 109-110.

37 Su questo argomento sono sempre attuali le riflessioni di M. De Marinis, ‘Il corpo dello spettatore. Performance studies e Nuova Teatrologia’, AOFL, IX, 2, 2014, pp. 189-201 <https://annali.unife.it/lettere/article/view/1078> [accessed 10 dicembre 2023].

38 E. de’ Giorgi, ‘Avventura con l’Aretino e la sua Cortigiana’, p. 110.

39 Ivi, p. 109.

40 Ivi, pp. 110-111.

41 I.R., ‘Elsa de’ Giorgi presenta il suo spettacolo. «La mia Cortigiana? Bella e insolente’, Il Tempo, XLIII, 222, 18 agosto 1986.

42 E. de’ Giorgi, ‘Avventura con l’Aretino e la sua Cortigiana’, p. 114.

43 T. Chiaretti, ‘Aloigia, beffarda cortigiana’, La Repubblica, a. 11, n. 195, s.d.

44 L. Romeo, ‘Pietro Aretino si propone cronista del ’500’, Il Tempo, 20 agosto 1986.

45 E. de’ Giorgi in F. Bonanni, ‘Incontro con Elsa de’ Giorgi. «Il mio laboratorio di arti sceniche tra storia e umorismo»’, Il Tempo, 26 febbraio 1987.

46 Tragedie, sonetti, drammi storici, falsi diari: l’autore della Liberata esercitò sulla fantasia romantica un fascino irresistibile. Il prototipo del Tasso romantico è, com’è noto, opera di Goethe, che nel 1780 aveva fatto del Tasso un Werther più intenso, secondo il giudizio di Ampère sottoscritto da Goethe stesso.

47 Un giovane Giulio Scarpati interpreta Tasso, de’ Giorgi, che aveva anche trasposto il testo in prosa, recita nella parte di Eleonora d’Este e Lina Sastri si cimenta in alcuni pezzi cantati. Il giorno successivo si tenne un Seminario sul Tasso di Goethe, con Paolo Chiarini, consulente per la riduzione del testo, e con la presenza di intellettuali italiani e stranieri di prim’ordine come Dieter Borchmeyer, Mario Sequi e Luigi Squarzina.

48 E. de’ Giorgi, ‘Avventura con l’Aretino e la sua Cortigiana’, Opera aperta, p. 123. In questo lungo articolo de’ Giorgi arriva ad affiancare all’opera e alla creatività di Aretino quella di Machiavelli compiendo interessanti analogie tra la prima edizione della Cortigiana e La mandragola (ricordiamo che aveva interpretato Lucrezia, diretta da Stefano Landi Pirandello).

49 Per de’ Giorgi la visionarietà del Tasso della Liberata era addirittura un’anticipazione del cinema. La simultaneità di un’azione spesso descritta in modo dettagliato evocava inquadrature e primi piani.

50 La scelta a protagonista di Torquato Tasso è dovuta alla particolare fortuna che l’autore della Gerusalemme liberata gode a Venezia nel corso degli anni Cinquanta del Settecento.

51 Erano gli anni in cui la polemica con Pietro Chiari si faceva più accesa e il commediografo veneziano, passato dal Sant’Angelo al San Luca maturava il distacco dalla sua città e dalle sue scelte politiche, caratterizzate dalla crisi dell’oligarchia.

52 C. Goldoni, ‘A chi legge’, in Id., Torquato Tasso, a cura di E. de’ Giorgi, Ferrara, Liberty house, 1989, p. 28.

53 E. de’ Giorgi, ‘Introduzione’ a C. Goldoni, Torquato Tasso, p. 12.

54 Ivi, p. 14.

55 Ivi, p. 11.

56 C. Goldoni, Torquato Tasso, p. 118.

57 E. de’ Giorgi, ‘Introduzione’ a C. Goldoni, Torquato Tasso, p. 15.

58 Lo spettacolo multimediale annunciato durante la conferenza stampa che darà l’avvio al Laboratorio sarà La Gerusalemme liberata di Tasso. Dal 27 al 29 novembre 1989 l’Associazione culturale Elsa de’ Giorgi collaborerà anche al Secondo congresso mondiale di sociologia del Teatro, organizzato dal Centro Teatro Ateneo dell’Università La Sapienza.

59 E. de’ Giorgi, ‘La lezione della Duse all’attore contemporaneo’, p. 1784.

60 M. Coletti, ‘Creatività e tecnica. Il «teatro nuovo» di Elsa De Giorgi’, La Nazione, 21 gennaio 1986, in un opuscolo informativo a opera del Comune di Bevagna sulla nascita dell’Associazione dal titolo Un grande laboratorio per una piccola nobile città, p. 20

61 F. Bonanni, ‘Incontro con Elsa de’ Giorgi. «Il mio laboratorio di arti sceniche tra storia e umorismo»’, Il Tempo, 26 febbraio 1987.

62 Gli episodi sono ricostruiti attraverso le fonti tratte da Laude Drammatiche e Rappresentazioni Sacre a cura di V. De Bartholomais (1943) e Le Rappresentazioni Sacre Italiane a cura di M. Bonfantini (1942).

63 E. de’ Giorgi, Sangue+Fango = Logos Passione, opuscolo contenente la sceneggiatura, custodito presso l’Archivio del Novecento dell’Università La Sapienza di Roma, senza data.

64 Si ricordi il matrimonio con il conte fiorentino e collezionista d’arte Sandrino Contini Bonacossi. A partire dagli anni Quaranta de’ Giorgi ha inoltre ospitato nella sua casa romana di via di Villa Ada 4 esponenti della scena artistica italiana del Novecento, tra i quali si annovera, la presenza di Renato Guttuso, Alberto Savinio e Carlo Levi (cfr. C. Pontillo, ‘Alla ricerca di una salonnière contemporanea: Elsa de’ Giorgi e la sua casa romana’, in L. Cardone, A. Masecchia, F. Polato, B. Seligardi, G. Simi (a cura di), «Ho ucciso l’angelo del focolare». Lo spazio domestico e la libertà ritrovata, Arabeschi, 21, gennaio-giugno 2023 <http://www.arabeschi.it/alla-ricerca-di-una-salonnire-contemporanea-elsa-de-giorgi-e-la-sua-casa-romana/> [accessed 10 dicembre 2023]).

65 E. de’ Giorgi, Storia di una donna bella, p. 126.

66 A. Cambria, ‘Quando rito e teatro si ritrovano uniti’, Il Giorno, 30 marzo 1986.