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  • «Lampeggiare nello sguardo». Attrici e attori nel cinema di Pasolini →
Abstract: ITA | ENG

Concentrandosi su Salò o le 120 giornate di Sodoma, l’articolo indaga la relazione tra la componente attoriale del film e le riflessioni sulla società e sul potere che Pasolini stava sviluppando in quegli anni. L’analisi della dimensione metafilmica rivela così una specifica attitudine politica, restituendo al contempo la complessità della poetica della recitazione formulata dal regista nel corso del tempo.

By focusing on Salò, o le 120 Giornate di Sodoma (1975), this article investigates the relationship between the actorial dimension and the reflections about society and power that Pasolini was developing right in those years. Thus, the analysis of the self-reflexive component discloses a specific politic attitude, showing at the same time the complex poetics of acting conceived by the director throughout the years.

 

Salò o le 120 giornate di Sodoma costituisce per Pasolini una prima volta sotto tanti punti di vista. E non potrebbe essere altrimenti, dato che il film segna l’inizio di un nuovo corso a seguito della più famosa abiura nella storia del cinema, che con un colpo di penna prende le distanze dalla ‘Trilogia della vita’ degli anni Settanta, ripartendo piuttosto dalla produzione della fine del decennio precedente, Teorema (1968) e in parte Porcile (1969). Come noto, la distanza nasce da un’esigenza poetico-politica dopo il pieno riconoscimento di quella ‘mutazione antropologica’ occorsa in Italia con l’avvento della società dei consumi, al punto da spingere Pasolini a commentare, in riferimento a Salò: «è la prima volta che affronto il mondo moderno in tutto il suo orrore» (Pasolini 2001c, p. 3025). È un orrore, quello del mondo moderno, che travolge tutti gli aspetti del reale, inclusi gli stessi «innocenti corpi» (Pasolini 1999e, p. 600) dei ragazzi di borgata che il regista aveva messo in scena sino a Il fiore delle Mille e una notte (1974). Questo orrore, presumibilmente, non si limita a influenzare la dimensione contenutistica dell’opera, ma è capace di intaccare lo stesso piano dell’espressione filmica: e proprio nella dimensione attoriale dell’ultimo film sembra possibile rinvenire ulteriori tracce di quella riflessione su politica e società che Pasolini stava conducendo.

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Abstract: ITA | ENG

Dopo un breve cameo nella Ricotta (1963), a cui prende parte nelle vesti di una diva, Elsa de’ Giorgi connota l’ultima fase del cinema di Pier Paolo Pasolini, in particolare attraverso l’interpretazione di una delle narratrici in Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Oltre a fornire una sintetica ricognizione relativa al rapporto tra l’autore e l’attrice-scrittrice, il contributo focalizza l’attenzione sul personaggio della signora Maggi in Salò cercando di cogliere nella performance attoriale di de’ Giorgi, così come nell’orizzonte divistico convocato nel film, esiti e possibili motivazioni legate alle scelte di casting da parte del poeta-regista.

After a cameo role in La ricotta (1963), in which she takes part as a diva, Elsa de’ Giorgi characterizes the last phase of Pier Paolo Pasolini’s cinema, in particular through the interpretation of one of the narrators in Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Besides proposing a synthetic insights about the relationship between the author and the actress-writer, the contribution focuses on the character of signora Maggi in Salò, trying to analyze through de’ Giorgi’s acting, as well as the stardom recalled in the film, outcomes and possible motivations related to the poet-director’s casting choices. 

«Restò sempre legato a Elsa De Giorgi […]. A lei, con una divertita soggezione, dedicava – e la cosa durò anni – alcune serate. Andavano a cena fuori: […] Elsa De Giorgi, che amava stendere attorno a sé un qualche alone di spettacolo […], lasciava che alle labbra le venisse, con una foga insolita, certa cultura classica che amava coltivare. Pier Paolo ascoltava» (Siciliano 2005, p. 233): ricordato dalle parole di Enzo Siciliano, il rapporto tra Pier Paolo Pasolini e Elsa de’ Giorgi rientra fra le amicizie instaurate dallo scrittore nella Roma degli anni Cinquanta e Sessanta. Nel 1963 l’autore coinvolge l’attrice-scrittrice nelle riprese della Ricotta assegnandole – e la scelta non appare casuale – il ruolo di una delle dive che, insieme ai paparazzi, irrompono sul set alla fine dell’episodio, ma le relazioni tra il poeta-regista e de’ Giorgi si riflettono, in parte, anche nelle rispettive attività letterarie. Seguendo infatti i rimbalzi suggeriti dalle loro produzioni narrative, poetiche e saggistiche, si scopre che la diva si è rivolta a Pasolini sul finire degli anni Cinquanta per chiedergli di intercedere con Garzanti per la pubblicazione della sua seconda prova narrativa, L’innocenza, poi uscita nel 1960 per una casa editrice veneziana, Sodalizio del Libro; due anni dopo l’autore scrive una prefazione in forma di lettera al testo poetico dell’attrice La mia eternità e, mettendone in evidenza la pregnante metaforicità, rivolge all’opera di de’ Giorgi un’attenzione critica (cfr. Pasolini 2008a). L’artista, dal canto suo, dedica a Pasolini, dopo la sua morte, il poemetto del 1977 Dicevo di te, Pier Paolo.

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  • Arabeschi n. 20→

 

 

Pier Paolo Pasolini non ha mai codificato una puntuale e organica teoria della recitazione cinematografica ma ha sempre prestato grande attenzione alle scelte di casting, intervenendo continuamente su questioni relative al rapporto con gli attori e le attrici. La sua sensibilità verso la dimensione corporale, l’interesse per la relazione tra spazi e figure fanno sì che ogni film rilanci sempre nuove traiettorie di senso legate alla presenza e alle dinamiche di interazione fra interpreti. L’importanza delle pose, dei gesti, degli sguardi dei personaggi determina una frizione costante fra verità e artificio, puntando alla perfetta combinazione fra carattere e atto performativo.

Con la Galleria «Lampeggiare nello sguardo». Attrici e attori nel cinema di Pasolini si vuole disegnare una mappa delle pratiche e delle teorie attoriali messe in atto dal regista, tema finora poco indagato dalla critica ma decisivo per intendere gli equilibri e le dinamiche del suo sguardo. La struttura prevista sarà quella di un dizionario-atlante, con voci dedicate ad attori e attrici che ricostruiscano – dove è possibile sulla base della documentazione disponibile – la relazione fra il regista e l’attore, le peculiari caratteristiche performative che il viso e il corpo di ogni interprete assumono nei film di Pasolini, oppure (nel caso degli attori professionisti e delle star) le modalità con cui lo scrittore si confronta con la loro immagine divistica.

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Il vasto campo di studi inaugurato dalle ‘divagrafie’, ovvero dalla mappatura e dalla interpretazione delle scritture delle attrici, si configura come un terreno d’indagine di notevole complessità, sia sul piano strettamente letterario che a livello extra-testuale. Uno sguardo agli aspetti che entrano in gioco nell’esame delle opere delle dive che hanno intrecciato al lavoro attoriale anche l’attività di scrittura, fa vedere quanto vari e molteplici siano i generi letterari coinvolti, le modalità di rappresentazione delle personagge, i percorsi artistici delle attrici, i contesti culturali in cui si sono trovate ad operare. All’interno di una prospettiva che, nel confronto con oggetti di studio ibridi, intermediali, di non facile collocazione entro le coordinate stesse della teoria letteraria,prova a ripensare e a ridefinire i propri strumenti ermeneutici, è però rintracciabile un sostrato comune.[1] Lungo una produzione che, allo stato attuale delle ricerche, prende avvio nel 1950 con la pubblicazione di Shakespeare e l’attore e si conclude con il romanzo Una storia scabrosa del 1997 [fig. 1], anno della morte dell’attrice-scrittrice, non sono poche le dimostrazioni di uno sconfinamento ‘audiovisivo’ della pagina scritta, cioè di una rilettura da parte dell’autrice della propria carriera attoriale e dunque di uno sporgersi della prosa verso il linguaggio cinematografico; così come marcata risulta, in diverse opere, la dimensione autobiografica della scrittura. Basti pensare – come sintesi delle due caratteristiche menzionate e come punto di convergenza con la categoria della divagrafia, che pone l’accento sulla diffusa matrice metatestuale delle scritture del sé – a uno dei libri più noti di de’ Giorgi, I coetanei (1955), che riunisce in un’unica tessitura diegetica una componente autobiografia, inevitabilmente connessa con il carattere performativo del lavoro dell’artista, e una rievocazione memoriale e romanzata della Resistenza.

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  • Arabeschi n. 15→
Abstract: ITA | ENG

Con gli scritti introduttivi di Roberto Deiedier, sono stati recentemente pubblicati per Feltrinelli due testi di Elsa de’ Giorgi, Ho visto partire il tuo treno (1992) e I coetanei (1955). I volumi, editi rispettivamente nel 2017 e nel 2019, rappresentano soltanto due frammenti del corpus dell’attrice-scrittrice, costituito da diversi generi letterari e da scritti critici. A partire dagli anni Cinquanta, infatti, de’ Giorgi, che in quel periodo è già un’attrice affermata, decide di esprimersi anche attraverso il medium letterario, componendo saggi, poesie, romanzi che hanno ricevuto negli anni una scarsa attenzione critica, oltre ad essere difficilmente reperibili. Sulla base della recente iniziativa editoriale, il contributo propone una lettura di Ho visto partire il tuo treno e dei Coetanei funzionale a una più generale contestualizzazione dei due testi, relativa sia alla complessiva produzione letteraria di de’ Giorgi, sia alla possibile corrente letteraria e agli approcci critici, tra cui la categoria elaborata da Maria Rizzarelli della ‘divagrafia’, messi in campo dalle sue opere.

With introductions of Roberto Deidier, two books of Elsa de’ Giorgi have been recently published by the publishing house Feltrinelli, Ho visto partire il tuo treno (1992) and I coetanei (1955). The books, respectively published in 2017 and in 2019, represent only two fragments of the entire production of the actress-writer, consisting of various literary genres and essays. Starting from the fifties, de’ Giorgi, who is already a successful actress in that period, decides to express herself also through the literary medium, writing essays, poems, novels that have received insufficient attention by critics over the years, in addition to being not easily available. On the basis of the recent editorial initiative, the contribution proposes a reading of Ho visto partire il tuo treno and I coetanei functional to a more general contextualization of the two books, related to both the overall literary production of de’ Giorgi and the possible literary stream and critical approaches, including the category of ‘divagrafia’ elaborated by Maria Rizzarelli, fielded by her books.

Attrice cinematografica e teatrale, scrittrice e regista, Elsa de’ Giorgi ha lasciato in eredità un patrimonio saggistico e letterario (dal testo critico Shakespeare e l’attore del 1950 e dai Coetanei, memoir resistenziale pubblicato nel 1955, fino al romanzo Una storia scabrosa, edito nel 1997) che solo negli ultimi anni è stato parzialmente ripresentato al pubblico dei lettori e delle lettrici.

Nel 2017, dopo una prima pubblicazione risalente al 1992, è stato edito da Feltrinelli con una prefazione di Roberto Deidier Ho visto partire il tuo treno, che ripercorre la relazione dell’artista con Italo Calvino, editor per Einaudi dei Coetanei e partecipe di un intenso confronto sentimentale e professionale durato dal 1955 al 1958. Ad una prima lettura, il volume si mostra dunque strettamente connesso all’acquisizione da parte del Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia di quell’epistolario che Maria Corti ha definito, com’è noto, il «più bello, così lirico e drammatico insieme, del Novecento italiano».[1] La studiosa non ha mancato di offrire un prezioso resoconto sulla consistenza del carteggio, costituito da poco meno di trecento lettere di Calvino a de’ Giorgi, e sulla notevole valenza ermeneutica di quegli scritti. Nella trattazione contenuta nel suo ultimo libro, I vuoti del tempo,[2] Corti si sofferma sull’influenza che quel dialogo appassionato ha avuto sulla attività creativa dello scrittore. Dalla testimonianza di lettrice della studiosa emerge il continuo riflettere di Calvino sulla sua precedente produzione e il costante riscoprirsi dell’autore attraverso una nuova consapevolezza suggerita dall’affinità, anche intellettuale, con de’ Giorgi. È un’analisi senz’altro affascinante, quella di Maria Corti, che mira anche a mettere in evidenza i rimandi tematici tra le opere di Calvino e le lettere, e a consolidarne il ruolo di «avantesto»[3] rispetto alle prove narrative composte tra il 1955 e il 1959. Nella vulnerabilità di Viola del Barone rampante, nel temperamento nervoso del protagonista della Nuvola di smog, nella grotta sulle coste del Meridione in cui è ambientata L’avventura di un poeta non sarà dunque fuorviante rintracciare i riflessi delle dinamiche del rapporto dell’autore con l’attrice-scrittrice, delle sue confidenze e delle vacanze estive vissute in uno stato di grazia creativo.

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  • [Smarginature] Divagrafie, ovvero delle attrici che scrivono →

 

 

 

L’autobiografia, fonte frugifera nell’analisi di una personalità, si rivela particolarmente interessante nello studio delle attrici: essa è veicolo di voci preziose in quel processo non semplice che è la traduzione in parola analitica di quanto espresso da un volto, da un’azione mimetica e, in generale, da una performance. La prassi dell’autobiografia d’attrice è relativamente trascurata nel contesto da noi scelto – l’Italia della dittatura fascista –, il cui cinema è popolato perlopiù di nuove leve che solo in decenni successivi scelgono talvolta di tornare a parlare dell’esperienza autarchica. È il caso delle attrici Elsa de’ Giorgi, Doris Duranti e Lilia Silvi, stelle di prima grandezza di quel cinema che a lungo è apparso come un sistema conchiuso, un’esperienza artistica soluta da quanto venuto prima e dopo.

Nell’apprestarci a rileggere queste autobiografie – eterogenee per dichiarazione d’intenti, struttura e successo editoriale – daremo priorità d’indagine a quell’insieme di aspetti che, nelle parole di Philippe Lejeune, stanno alla base dello «studio psicologico [dell’autobiografia]»: memoria, costruzione della personalità, autoanalisi (Lejeune 1975). La lucida scrittura storica e personale di Elsa de’ Giorgi, la disincantata narrazione cronologica di Doris Duranti e la penna improvvisata e spontanea di Lilia Silvi permettono di guardare da vicino – ma forse è solo una persuasiva illusione – quel periodo storico e cinematografico che, ora lontano, assume contorni meno vaghi quando narrato da una voce di donna testimone (privilegiata) del proprio tempo.

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  • [Smarginature] Divagrafie, ovvero delle attrici che scrivono →

Tra cinema, teatro e letteratura, il percorso lavorativo di Elsa de’ Giorgi e il suo poliedrico profilo artistico non possono che rinviare, per una ideale ricomposizione unitaria, a coordinate afferenti a linguaggi espressivi molteplici. Diva del cinema dei ‘telefoni bianchi’, de’ Giorgi esordisce nel 1933 in T’amerò sempre di Mario Camerini, dove giovanissima si presta all’interpretazione della protagonista Adriana, una ragazza-madre sedotta e abbandonata. Alla carriera cinematografica – che prosegue anche attraverso una nutrita schiera di film in costume, tra cui La sposa dei re (1938), Il fornaretto di Venezia (1939), Capitan Fracassa (1940), La maschera di Cesare Borgia (1941) di Duilio Coletti – si affianca negli anni Quaranta la strada del teatro, che vede de’ Giorgi impegnata nei ruoli di Desdemona, nell’Otello di Renzo Ricci, o di Annette nella rilettura del Francillon di Dumas figlio diretta da Luigi Carini. Oltre ad alcune prove di regia teatrale, una lunga pausa dalla scena cinematografica, iniziata nel dopoguerra, verrà interrotta soltanto nel 1963 con la partecipazione di de’ Giorgi a due pellicole di Pasolini, La ricotta, episodio del film Ro.Go.Pa.G., e Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), le scandalose sequenze dove l’attrice domina lo schermo nelle vesti della superba e cinica signora Maggi [fig. 1]. Al ritiro che connota la parabola cinematografica di Elsa de’ Giorgi non corrisponde tuttavia un silenzio dell’artista, che a partire dagli anni Cinquanta, lungo un arco cronologico che si snoda per più di vent’anni, si esprime attraverso saggi, poesie, romanzi pubblicati in volume.

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  • [Smarginature] Vaghe stelle. Attrici del/nel cinema italiano →

Il caso dell’attrice che scrive rientra senz’altro a pieno titolo nell’ampia e sfaccettata categoria del «doppio talento», che solo recentemente è stata presa in considerazione dalla critica letteraria nell’ambito degli studi di cultura visuale (Cometa 2014) anche se in relazione alle figure degli scrittori-artisti o degli artisti-scrittori. Provare ad applicare tale categoria all’eterogenea produzione letteraria firmata dalle attrici, per saggiarne in tal modo la fecondità ermeneutica, significa innanzi tutto interrogarsi sugli oggetti di studio implicati (produzioni doppie, filmiche e letterarie), sulle convergenze (o sulle divergenze) fra l’immagine attoriale rappresentata dall’autrice nella propria esperienza performativa e quella contenuta nel testo letterario, sui riverberi e sulla dimensione metatestuale che la scrittura produce rispetto allo stile recitativo e alla star persona. Per quanto, però, si provi a tradurre le tipologie individuate da Michele Cometa in riferimento agli scrittori-pittori («opere doppie», «concrescenza genetica», «critica e commento», Cometa 2014), la traslazione dalle arti figurative a quelle performative impone un adeguamento dello sguardo critico ad un codice più complesso e sfuggente. Non bisogna però desistere di fronte alla serie di questioni poste da tale nuova prospettiva: quali sono i media coinvolti dalla recitazione? Il corpo e/o la complessa macchina del dispositivo filmico? quali sono i confini della performance? Come è possibile comparare l’oggetto-libro, i cui limiti e materialità tangibile appare evidente con l’esperienza attoriale che risulta allo stato attuale degli acting studies di difficile definizione? (deduco alcune di queste domande dallo stimolante e problematico invito a «guardare il cinema dalla parte degli attori» da parte di Mariapaola Pierini, 2017). Del resto, le ricerche sul doppio talento si trovano in una fase germinale, e tuttavia impongono un’apertura interdisciplinare che costituisce la premessa urgente e imprescindibile per lo studio di artiste come Goliarda Sapienza o Elsa de' Giorgi, che hanno affiancato alla formazione e all’esperienza attoriale la vocazione letteraria e romanzesca, e le cui opere sono state fino ad ora ingiustamente trascurate anche per l’incapacità di comprendere e apprezzare la «doppia vocazione» (Cometa 2014) espressa dal loro anticanonico percorso artistico. Quel che è certo è che tracciare una prima mappa delle diverse modalità di interazione fra performance e scrittura, che tenti di inquadrare figure ed esperienze in cui si incontrano la recitazione e la letteratura (dalle apparizioni di Elsa Morante e Natalia Ginzburg nei film di Pier Paolo Pasolini al caso di Sapienza e de' Giorgi), è una sfida ardua e affascinante al tempo stesso. Il primo passo in tale direzione mi pare possa essere l’individuazione delle costanti che emergono dalla ricognizione nel contesto italiano dalla seconda metà del ‘900 agli anni zero. Se è indubbia una prevalente predilezione delle attrici per la scrittura dell’io, è interessante notare che i libri firmati dalle ‘stelle italiane’ disegnano una parabola che dalla narrazione autobiografica (Sophia Loren e Monica Vitti ma anche Moana Pozzi) giunge alla scrittura finzionale e al romanzo (Elsa de' Giorgi oltre Goliarda Sapienza), passando per le tappe intermedie delle ‘memorie delle personagge’, di testi cioè che mettono in racconto frammenti di vita di una figura creata dall’attrice (Franca Valeri, per esempio, ma anche Laura Betti). Per segnare le linee generali di una ‘cartografia dell’attrice che scrive’ provo qui a indentificare alcune categorie paradigmatiche, che mettano in risalto le convergenze di questo eterogeneo corpus di testi, senza tralasciare alcuni casi di studio particolarmente originali.

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