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Da quando Agnès Varda, regista francese di origini belghe classe 1928, ci ha lasciati nel 2019 tante proiezioni fisiche o in streaming e la pubblicazione in cofanetto di tutti i suoi film hanno continuato a rievocarne la lezione attraverso la sua produzione quasi irriducibile per ricchezza e varietà. Per questo fra immagini e parole, in omaggio anche alla sua idea di cinescrittura, si è scelto di presentarne idee, opere ed eredità attraverso un ‘alfabeto vardiano’ che propone un indice per un orientamento ragionato.

Since Agnès Varda (the French film director born in Belgium on 1928) left us in 2019, many physical or online screenings or promotions through DVD boxes of all her films have continued to evoke her lessons through her irreducible production for its richness and variety. For this reason, between images and words in honor to her concept of cine-writing, we have chosen to present her ideas, works, and legacies through an alphabet about them in order to propose a reasoned introduction.

 

 

 

 

Arti

Agnès Varda non approda al cinema con un canonico percorso di formazione ed è forse questo che ha reso quasi naturale la sua continua sperimentazione autoriale, contrassegnata dall’appropriazione spontanea di ogni tipo di linguaggio fra cinema, televisione, letteratura, arti figurative e plastiche.

Nata nel sud della Francia, da madre francese e padre greco, dopo i primi studi letterari a Parigi, si dedica alla storia dell’arte per diventare curatrice museale. È la fotografia, però, l’incontro più incisivo grazie alla frequentazione di una scuola che la porterà a lavorare per molti anni come fotografa, soprattutto di scena.

Di quest’humus resta la propensione alla commistione artistica di generi mediali, modalità espressive e riferimenti culturali in ogni sua attività e produzione visuale. Il lavoro di Agnès Varda con le immagini prosegue infatti quasi in ogni direzione.

Nei suoi film si ritrovano fotografia, animazione, vignette, cartoline, elementi figurativi, opere scultoree e architettoniche. Sin dal 1967, poi, lavora per la televisione con il corto Les engants du Musée (per la serie Chroniques de France), cui segue il successivo film televisivo Nausicaa del 1970 sugli esiliati in Francia dalla Grecia dei Colonnelli (mai trasmesso in realtà e andato distrutto). Anche questo mezzo diventa per lei motivo di sperimentazione: in Une minute pour une image (1983), episodio per una serie, mostra per sessanta secondi un’unica immagine. Con il passaggio al digitale, si dedica a un’intera miniserie televisiva nel 2011, Agnès de ci de là Varda.

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Si intitola Il corpo eretico/The Heretic Body la prima esposizione antologica di Roberto Kusterle, pittore, autore di installazioni, fotografo e co-regista di video sperimentali, nato nel 1948 a Gorizia, dove vive e lavora. Promossa dal Comune di Pordenone in collaborazione con l’associazione culturale “Venti d’Arte” (Udine), la mostra si è tenuta dal 18 aprile al 9 agosto 2015 alla Galleria “Harry Bertoia” di Pordenone. Curata da Francesca Agostinelli e Angelo Bertani, è stata accompagnata da un catalogo edito dalla medesima associazione e a cui ha collaborato anche Stefano Chiarandini: vi compaiono testi di studiosi di diverse discipline, dalla geografia all’antichità classica, fra i quali Pier Aldo Rovatti e Guido Cecere.

Punto d’incontro tra categorie concettuali, come la sua città lo è tra culture, l'opera di Kusterle mescola e ricrea generi artistici e pratiche discorsive. La sperimentazione nelle arti visive, che coltiva dagli anni Settanta e che ha da tempo valicato i confini nazionali (Premio per la miglior mostra fotografica in Slovenia nel 2006, selezione al Festival International “Jean Rouch” a Parigi nel 2009), lo ha condotto a eleggere la fotografia come sintesi ultima di una elaborazione plurima e complessa, frutto di una visione eterodossa che invita a superare gerarchie e classificazioni fra animali (umani e non umani), piante, minerali, presenze del cosmo in generale, per ‘abbracciare’ una prospettiva ecocritica. Così, mentre la serie intitolata L’abbraccio del bosco disvela profonde interdipendenze fra esseri umani, vegetali e pietre, non può stupire che la produzione del goriziano si componga di cicli ‘aperti’, che possono accogliere nel tempo nuove opere, in quanto le indicazioni cronologiche valgono soltanto come riferimento al periodo di elaborazione del nucleo principale.

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