Andrea Baracco, Hamlet

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Nell’Hamlet che Andrea Baracco ha presentato in prima nazionale al Teatro Argentina di Roma (26-28 settembre), nell’ambito del Romaeuropa festival 2014, la componente letteraria è profondamente vincolata alla dimensione visiva e visionaria. Grazie alla scenografia multimediale di Luca Brinchi e Roberta Zanardo dei Santasangre, la parola shakespeariana è portata a misurarsi con gli spazi vuoti, la video arte e l’alternarsi di luci e colori, in una continua intersezione e sovrapposizione di linguaggi. A ciò contribuisce anche la drammaturgia di Francesca Macrì (Biancofango), che scompone un testo ben noto al pubblico per ricostruirlo senza nessuna ambizione di riscrittura o di adeguamento alla realtà contemporanea. Al contrario, nel suo intervento si legge il desiderio di alleggerire, di ridurre il testo di Shakespeare a uno scheletro – riempito di immagini – sul quale disegnare la propria interpretazione.

©Guillermo Casas

Lo spettacolo procede con il ritmo delle montagne russe, proiettate sullo schermo all'inizio, senza nessun elemento superfluo, ma con continue accelerazioni. Effetto cui concorrono i giochi di luci e la scenografia essenziale e geometrica, che riduce i personaggi a sagome prive di profondità, capaci però di ritrovare il proprio spessore appena prendono la parola.

Parole, quelle shakespeariane, che superano la vacuità del «words, words, words», per riaffiorare nella forza imprescindibile di quel testo scritto che lo spettatore riconosce distintamente in diverse occasioni. Il minimalismo adottato come codice generale dell’allestimento (anche per la musica, che però lo alterna alla tecno e al Concerto italiano di Bach) influenza la scelta di limitare a dieci il numero dei personaggi, interpretati da un gruppo di attori decisamente adeguati ai ruoli, perfino molteplici.

©Guillermo Casas

Nella definizione dei caratteri, la regia gioca sullo straniamento, per cui Gertrude – interpretata da Eva Cambiale – appare fin troppo giovane, stridente, mentre il figlio Amleto (un perfetto Lino Musella) è il vero fool shakespeariano, indipendentemente dalla simulata pazzia. Ad un Claudio (Paolo Mazzarelli) tenebroso corrisponde un Orazio in pantaloni corti (Michele Sinisi), che sembra condividere con il protagonista il gusto del gioco.

©Guillermo Casas

Il personaggio di Ofelia (Livia Castiglioni) gode di un’inedita centralità, sottolineata anche dal suono dell’acqua che segna ogni sua apparizione. Lungi dall’essere ridondante, questa insistenza sulla dimensione acquatica della fanciulla è un modo per definirne la natura, ma anche per anticipare un finale che per lo spettatore non deve (e non può) essere a sorpresa.

Baracco insiste sul legame tra Amleto e Orazio, addirittura attribuendo a quest’ultimo il celebre monologo «Essere o non essere», detto – più che recitato – nel proscenio, alla fine dello spettacolo. È uno dei tanti modi per scardinare il testo, come il tempo che Amleto crede di dover rimettere in sesto («Questo tempo è scardinato. Oh maledetto destino, che mai io sia nato per rimetterlo in sesto»). Rafforza la sensazione di straniamento l’uso del microfono, cui è affidata la voce per annunci, proclami, ordini. In questo senso è particolarmente efficace nella scena iniziale il passaggio alla voce naturale, che segna anche lo scioglimento della staticità degli attori, disposti su una linea fissa, rivolti verso il pubblico mentre pronunciano le loro battute.

©Guillermo Casas

Il materiale scenografico è povero ed essenziale, fino a diventare plastico nelle mani degli attori che continuamente spostano quinte e microfoni, per poi scomparire del tutto, quando, nella seconda parte, l’edificio teatrale si svela nella sua nudità. Alla stessa essenzialità lo spettacolo mira anche con espedienti registici, per esempio scegliendo di sfruttare la profondità del palco, per tenere in scena i personaggi e mostrarli mentre allestiscono situazioni secondarie e parallele.

Particolarmente riuscita è la resa della Trappola per topi, gestita da un unico attore – Woody Neri – che interpreta le diverse parti sotto la direzione di Amleto, voce narrante e ideatore dello spettacolo. Ridotta all’essenza, la scena di ‘teatro nel teatro’ diventa puro gesto, con allusioni al mimo e al travestimento, senza perdere – pur nel grottesco – il tono psicodrammatico proprio della tragedia, per cui Claudio arriva a chiedersi come potrà pregare e lavarsi le mani dal sangue con cui si è sporcato.

L’idea della macchia indelebile, che deriva dalla contaminazione tra questo testo e il Macbeth (individuabile anche in altri momenti), è indagata a livello visivo dalla vernice scura con cui Livia Castiglioni – spogliata della maschera di Ofelia – segna i corpi dei morenti. Il body-painting allude così a Claudio e al suo «cuore nero come la morte», che ha contaminato progressivamente tutta la scena.

 

HAMLET

diretto da Andrea Baracco

con la drammaturgia di Francesca Macrì (Biancofango)

scenografie multimediali di Luca Brinchi e Roberta Zanardo/Santasangre

Lino Musella (Amleto), Eva Cambiale (Gertrude), Paolo Mazzarelli (Claudio), Michele Sinisi (Orazio, Guilderstern), Andrea Trapani (Polonio, Prete, Osric ), Woody Neri (Laerte, Rosencrantz), Livia Castiglioni (Ofelia) e Gabriele Lavia in audio e video nel ruolo dello spettro.

 

Una produzione Teatro di Roma, Festival Romaeuropa e 369gradi

in coproduzione con Festival Internacional de Teatro Clásico de Almagro

in collaborazione con Tfddal - Teatro Franco Parenti, La Corte Ospitale, ATCL Associazione Teatrale tra i Comuni del Lazio