2.2. Trasformiste ed eclettiche. Il percorso artistico di Gabriella Rosaleva e Daniela Morelli

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Riconduci i tuoi modelli alle tue regole:

esse ti lasceranno agire in loro e tu li lascerai agire in te.

Robert Bresson, Note sul cinematografo

 

 

1979. Gabriella Rosaleva lascia la scuola di cinema e decide di acquistare una Super8. Comincia a girare piccoli lavori. La svolta arriva l’anno successivo, nel 1980, quando si propone di realizzare tre cortometraggi: Cornelia, L’isola Virginia, La borsetta scarlatta [fig. 1].

Daniela Morelli nasce a Varese, stessa città di Gabriella Rosaleva. Studia recitazione alla Scuola del Piccolo Teatro a Milano, fondata da Paolo Grassi, dal 1972 al 1974. Nel 1980 viene contattata dalla regista che le propone il ruolo di protagonista per tutte e tre le pellicole [fig. 2].

Tra Rosaleva e Morelli nasce un sodalizio artistico che perdura negli anni e che porterà le due donne a collaborare in numerose e fruttuose occasioni. Rosaleva rimane colpita da diverse caratteristiche di Daniela Morelli: quell’aria un po’ irlandese che emana grazie alla folta chioma rossa, l’eleganza dei modi; il fascino che Morelli sprigiona convince la regista a sceglierla come protagonista assoluta dei suoi primi lavori. «La mia prima trilogia l’ho fatta con lei. I miei lavori più importanti li ho fatti con lei», afferma Rosaleva nell’intervista che mi ha concesso, quando le chiedo di raccontarmi gli inizi del loro rapporto.

Daniela Morelli dimostra da subito una grande sensibilità e una spiccata capacità di adattarsi e trasformarsi. «È una che si trasforma completamente. Questa sua capacità di cambiare mi ha colpita positivamente», sottolinea ancora la regista. Ne La borsetta scarlatta interpreta una donna borghese sospettata di aver ucciso il marito; in Cornelia è una donna semplice che sta scrivendo una lettera a sua sorella, dove le racconta di quanto stia bene, ma nel finale si butta dalla finestra. Ne L’isola Virginia, invece, veste i panni di una poeta che ripercorre i ricordi della sua infanzia.

«Già dai corti lei mi ha dimostrato la sua capacità di calarsi in tutti i ruoli che io le proponevo», riconosce l’autrice. Grazie al successo della sua trilogia in Super8, Rosaleva, alcuni anni dopo, non ha dubbi nello scegliere Morelli come protagonista del suo film successivo: Processo a Caterina Ross (1982) [fig. 3]. Il mediometraggio racconta la storia di Caterina Ross, contadina di umili origini, processata e condannata a morte per stregoneria fra il 20 gennaio e il 7 marzo 1697. Il film viene presentato al Festival di Locarno, dove riceve una menzione speciale da parte della giuria. L’interpretazione di Daniela Morelli è magistrale: con la sua presenza scenica, la mimica facciale e i movimenti lenti del corpo, riesce a far trasparire la sofferenza di una donna sottoposta a estenuanti interrogatori e strazianti torture. Non vediamo mai esplicitamente la violenza inflitta, non vediamo altro che la figura di Caterina Ross/Daniela Morelli e il suo sguardo, che spesso si incrocia con quello di noi spettatori, chiamandoci in causa e, in qualche modo, affermando la nostra corresponsabilità, come segnala Lorenzo Cuccu nel suo testo dedicato al film (2002) [fig. 4].

La loro ormai consolidata amicizia e la loro affinità artistica prosegue. Nel 1985 Gabriella Rosaleva sceglie di mettere in scena Sonata a Kreutzer, pellicola basata sull’omonimo romanzo di Tolstoj [fig. 5]. Oggi ricorda così questo lavoro:

Nella Sonata a Kreutzer ho scelto lei [Morelli] nonostante la moglie del romanzo di Tolstoj sia più giovane. Io ho volutamente scelto lei. Conoscevo già il suo modo di lavorare e tra noi c’era una grande intesa. Un regista ha il suo attore, la sua attrice. Lei era la mia attrice.

L’autrice non esita un momento, a distanza di anni, nel definire Morelli ‘la mia attrice’. Perché è di questo che si tratta: di un’intesa che non si è mai esaurita e che ha avuto la massima espressione nel loro sodalizio artistico.

Oltre al cinema, che le ha viste impegnate per diverso tempo, Rosaleva e Morelli hanno lavorato anche a teatro mettendo in scena il Mine-Haha di Frank Wedekind, spettacolo presentato al Festival delle Ville Tuscolane nel 1992. Nonostante fosse un’opera teatrale, e quindi l’approccio alla regia e alla recitazione fosse diverso rispetto al cinema che fino a quel momento avevano realizzato insieme, quei tratti distintivi del lavoro delle due donne si sono ripresentati anche fuori dal set cinematografico. Successivamente le due artiste hanno percorso strade diverse: Daniela Morelli ha continuato a lavorare per il teatro e ora scrive libri per bambini; Gabriella Rosaleva ha girato nuovi documentari e film per la televisione fino alla fine degli anni Novanta.

La scenografia scarna è una caratteristica che ha percorso quasi per intero il cinema di Rosaleva, ma nello specifico pare essersi resa ancora più essenziale nei lavori con Daniela Morelli. Quasi come se il corpo dell’attrice fosse sufficiente a colmare quel vuoto lasciato sulla scena. Rosaleva sceglie spesso di togliere: elimina fronzoli, parole superflue, musiche di accompagnamento. Non deve esserci «nulla di troppo, nulla che manchi», per dirlo con le parole di Robert Bresson (1986). L’equilibrio rosaleviano è dato dall’assenza che riempie. Come la morte, che non ci viene mai concesso di vedere davvero eppure si intuisce in Cornelia grazie al vuoto della stanza e all’inquadratura sulla finestra aperta; in Processo ci viene invece narrata da una donna estranea ai fatti che, successivamente, esce di scena. Quello che rimane a noi, pubblico che osserva, per dirla con le parole di Giuliana Bruno, è la possibilità di «cibarci degli avanzi della storia» ed «esplorare lo spazio che [i personaggi] hanno attraversato e in cui hanno vissuto».

Oggi, dopo molti anni, ho domandato a entrambe se e in quale misura il loro rapporto le abbia aiutate a realizzarsi artisticamente. Ricevo risposte molto simili: Rosaleva sente che la crescita maggiore stia soprattutto nella fortuna di aver trovato un’attrice con cui poter instaurare una particolare sintonia; Morelli, dal canto suo, riconosce l’importanza del lavoro svolto con l’autrice, in particolar modo a partire da Caterina Ross: è infatti grazie a questa pellicola che ha compreso quali siano le responsabilità di un attore nel momento in cui, attraverso il corpo e i movimenti, dà forma a un pensiero.

 

Bibliografia

R. Bresson, Note sul cinematografo [1975], trad. it. di G. Bompiani, Venezia, Marsilio, 1986.

G. Bruno, Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema [2002], trad. it. di M. Nadotti, Monza, Johan & Levi, 2015.

L. Cardone, S. Filippelli (a cura di), Filmare il femminismo. Studi sulle donne nel cinema e nei media, Pisa, Edizioni ETS, 2015.

L. Cuccu, ‘Il processo a Caterina Ross’, in C. Laura, C. Dinora (a cura di), Incanti e sortilegi. Streghe nella storia e nel cinema, Pisa, Edizioni ETS, 2002, pp. 185-194.

L. Irigaray, Essere due, Torino, Bollati Boringhieri, 1994.

L. Muraro, La signora del gioco. Episodi della caccia alle streghe, Milano, Feltrinelli, 1976.

V. Pravadelli, Le donne del cinema. Dive, registe, spettatrici, Roma-Bari, Laterza, 2014.

L. Tolstoj, Sonata a Kreutzer [1889], trad. it. di G. Pacini, Milano, Feltrinelli, 1991.