4.2. Il fascino sfacciato dei boss

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L’abbigliamento è un codice: il modo in cui ci si veste indica come ci si vuole presentare al mondo. E questa è una carta molto forte da giocare in un film: il primo impatto visivo del pubblico è un abito che deve raccontare con immediatezza la vita delle persone e dei personaggi. Non è un caso se in Gomorra quando ci sono inserimenti di personaggi che vengono da altre realtà è subito evidente lo scarto estetico.

Così la costumista Veronica Fragola, responsabile di tutti gli abiti della serie, sia per la prima che per la seconda stagione, racconta in un’intervista l’importanza dell’abbigliamento per i personaggi della serie.

Gomorra - La serie ha suscitato l’attenzione di tutti gli spettatori per il suo realismo nella messa in scena; gli interni utilizzati per la realizzazione delle case di Scampia e Secondigliano da parte dello scenografo Paki Meduri, sono frutto di un lungo percorso di ricerca estetica. Lo scenografo si è documentato attraverso l’osservazione degli arredi delle case dei veri camorristi, degli affiliati e di tutti coloro che in qualche modo vivono attorno all’ambiente della malavita campana. Meduri ha costruito, oggetto dopo oggetto, mobile dopo mobile, l’aspetto di quel mondo con una fedeltà al reale quasi filologica. Nella costruzione questo immaginario tanto fedele al vero, quanto agghiacciante, non è meno importante la progettazione dei costumi dei personaggi, che – naturalmente – si inserisce nello spazio scenico e con questo dialoga, fino a fondersi.

I protagonisti maschili Genny, Ciro, Don Pietro Savastano e Salvatore Conte, usano il ‘codice’ dell’abbigliamento per dichiarare la loro posizione all’interno del clan. Raccontano se stessi e contemporaneamente si presentano al mondo attraverso i loro abiti, i monili che indossano, gli occhiali da sole, le acconciature.

Napoli è sullo sfondo. In primissimo piano convivono corpi sfrontati, colori improbabili, tute acetate, bomber volgari e sintetici, completi di sartoria, camicie inamidate e jeans sempre troppo stretti e carne sempre troppo in vista. Gli eccessi nel look di alcuni personaggi non hanno mai una finalità iper-reale o parodistica; sono, anzi, la fotografia il più possibile fedele di quella società che obbedisce a regole e codici personali. Lo spettatore, osservando i personaggi che popolano le vicende della serie, prova una sensazione di disagio, di disgusto a volte, ma è innegabile che la sfrontatezza di quei corpi, noncuranti delle mode e delle regole estetiche seguite dai più, costituisca una sorta di bellezza, di fascino.

Veronica Fragola, dopo aver indagato sulla realtà, non solo fra le strade di Napoli, Scampia e Secondigliano, ma anche in quella virtuale dei social network dove è possibile studiare a fondo le immagini postate da tanti dei personaggi più o meno noti che hanno delle relazioni con il mondo della camorra campana, ha compiuto un passo in avanti; progettare i costumi infatti non significa ritrarre la realtà così come ci si presenta, significa dare un significato preciso a ogni indumento, a ogni monile o accessorio indossato dal personaggio. Gli abiti sono necessari all’attore per entrare nel ruolo che interpreta e sono necessari al racconto per dare visibilità tangibile all’intero arco narrativo di ciascun personaggio, un arco che in ambito seriale diventa spesso più complesso e sfaccettato rispetto ai tempi più contratti della narrazione cinematografica. La costumista non ha avuto la possibilità di fare uso di marchi di abbigliamento noti e questo – in un ambiente dove l’ostentazione del marchio assume valenze importanti e diventa la prova del potere – avrebbe potuto essere un problema. Invece questa limitazione è diventata un elemento di libertà e di sperimentazione. Il look dei protagonisti è unico: si avvicina alla moda dell’ambiente in cui si colloca la vicenda, ma non è una copia. Far uso di marchi come Adidas, Nike, o Versace (solo per citarne alcuni) avrebbe reso il lavoro di caratterizzazione dei soggetti più facile indubbiamente, ma non avrebbe creato lo ‘scarto’ necessario tra il vero e la finzione, che si rivela fondamentale, come sappiamo, nel meccanismo d’immedesimazione da parte dello spettatore.

Sebbene la serie veda la presenza di circa 1360 personaggi, tutti seguiti nel loro outfit da Veronica Fragola assieme a Giulio Pezza (make up designer), il progetto del look dei protagonisti maschili della serie è naturalmente il più accurato. Lo stile di Genny, per esempio, racconta la trasformazione psicologica e fisica del personaggio. Il giovane Savastano è inizialmente molto appariscente, è il figlio di un boss e come tale è viziato, sfacciato. Indossa felpe con cappuccio, giubbotti e abiti comodi. Catene d’oro e orecchini con diamanti vistosi non mancano mai nel suo look [fig. 1]. Poi cambia, lentamente e inesorabilmente. Il primo viaggio in Honduras, voluto da Donna Imma lo segna: una cresta e tatuaggi vistosi richiamano l’immaginario calcistico contemporaneo, l’abbigliamento, sempre casual-sportivo ma in toni meno accesi (prevalgono i neri e i grigi), ricorda quello delle gang centroamericane che ha conosciuto e che lo hanno forgiato. Con il secondo viaggio in centro America la trasformazione è completa, del figlio grassoccio e viziato del boss non c’è più traccia [figg. 2-3]. Tuttavia Genny rifiuta, come vorrebbe il padre, Don Pietro Savastano, di indossare abiti ‘adulti’, preferendo affermare la sua autorità attraverso l’esibizione della stazza fisica, che non è più quella di un ragazzino sovrappeso ma quella di un uomo potente, violento e arrabbiato.

L’abito classico (giacca e pantalone) indossato da Pietro Savastano è in ogni caso ancora simbolo di autorevolezza maschile. Pietro è un boss vecchia maniera, di quelli la cui prima regola è l’invisibilità: abito tradizionale oppure pantalone, camicia e maglioncino. Lui appartiene a una generazione in cui i camorristi esibivano poco il loro denaro, perché ciò che contava era solo il potere, il dominio sugli altri [fig. 4]. Diverso è il caso dell’uso dell’abito classico maschile da parte di Salvatore Conte, soprattutto nella seconda stagione: è un uomo che ha dovuto costruire la sua rispettabilità all’interno della società camorristica pezzo per pezzo; il suo look, quasi sempre piuttosto elegante con pantalone o jeans e camicia, è decisamente più contemporanee rispetto a quelli di Don Pietro. Conte ostenta un gusto ben definito, necessita riconoscibilità e affermazione anche attraverso il suo aspetto – controllato e ordinato – specchio della sua freddezza e del suo cinismo [fig. 5].

Ciro Di Marzio, infine, è un personaggio che si maschera, si confonde. Ha alle spalle un’infanzia traumatica, ha dovuto iniziare a lottare quand’era ancora un bambino. Ciro non necessita, proprio come un vero soldato, di rendersi riconoscibile. Anzi, per ‘l’immortale’ mimetizzarsi è un punto di forza. Bello e spietato, usa solo un elemento che lo distingue e contemporaneamente lo protegge: gli occhiali da sole. Il modello con asticella dorata decorativa collocata davanti alle lenti è diventato un oggetto di culto per i fan della serie [fig. 6].

I personaggi femminili, a parte la figura imponente di Donna Imma, rimangono sullo sfondo durante la prima stagione di Gomorra - La serie, per poi acquisire maggior definizione nella seconda stagione. L’esibizione del corpo bello o brutto, vecchio o giovane, è una necessità per le donne di Scampia e Secondigliano. Sono sfrontate e sicure del loro aspetto, noncuranti delle mode fuori dai confini della loro città. Sono consapevolmente irrispettose di qualsiasi cliché imposto dal fashion-marketing. E questa libertà nell’abbinamento degli stili, nell’esposizione del proprio corpo, è percepibile in ciascuna di loro, anche nella più potente di tutte, Imma Savastano, costruita sugli archetipi femminili del Sud ai quali s’innestano accessori e look che appartengono alla contemporaneità e le conferiscono un aspetto austero, malvagio il più delle volte. La moglie del boss è un personaggio che, come racconta la costumista, è un po’ il «mix fra la politica locale di Napoli e Carmela Soprano». Pantaloni strizzati addosso, gioielli d’oro, texture animalier, cinturoni a segnare il punto vita e scollature vertiginose sono la sua divisa d’ordinanza [fig. 7].

Meno formale è invece il personaggio femminile che domina la seconda stagione, Scianel (Annalisa Magliocca), una presenza ingombrante, capelli ossigenati, trucco pesante fin dalle prime luci dell’alba, unghie laccate, una sigaretta sempre accesa. Colei che comanda la piazza dello spaccio a Scampia, al posto del figlio in galera, porta il soprannome storpiato del marchio di un profumo (la mamma aveva una bancarella di profumi). Scianel fa di una boutique una sorta di ufficio personale, e non è casuale: è una spietata calcolatrice, assetata di potere e di conseguenza è fondamentale imporre la propria presenza con un look appropriato a ogni situazione: di giorno uno stile streetwear, di sera o per le grandi occasioni, tubini luccicanti e vistosi con scollature molto pronunciate [fig. 8].

L’abito nel mondo rappresentato dalla serie Gomorra, è un elemento fondamentale non solo per tracciare il carattere di ciascun personaggio, ma anche per dare a quel personaggio un ruolo specifico all’interno di una società criminale dove la partita della vita e della morte si gioca con altre regole e codici. Non vediamo mai il Bene in Gomorra - La serie (non ci sono magistrati, poliziotti, redenti), vediamo solo il Male di quel mondo. Non vediamo il bello, vediamo il brutto, il grottesco, lo sfacciato. E ne siamo attratti, affascinati.

 

 

Bibilografia

M. Scaglioni, L. Barra (a cura di), Tutta un’altra fiction. La serialità pay in Italia e nel mondo. Il modello Sky, Roma, Carocci, 2013.

S. Schirinzi, ‘Come si veste un boss’, Rivista Studio, 12 giugno 2014, <http://www.rivistastudio.com/standard/costumi-gomorra/> [accessed 24 gennaio 2017].

A.P. Merone, ‘Intervista a Veronica Fragola’, Corriere del Mezzogiorno, 10 giugno 2016.