L’abbigliamento è un codice: il modo in cui ci si veste indica come ci si vuole presentare al mondo. E questa è una carta molto forte da giocare in un film: il primo impatto visivo del pubblico è un abito che deve raccontare con immediatezza la vita delle persone e dei personaggi. Non è un caso se in Gomorra quando ci sono inserimenti di personaggi che vengono da altre realtà è subito evidente lo scarto estetico.

Così la costumista Veronica Fragola, responsabile di tutti gli abiti della serie, sia per la prima che per la seconda stagione, racconta in un’intervista l’importanza dell’abbigliamento per i personaggi della serie.

Gomorra - La serie ha suscitato l’attenzione di tutti gli spettatori per il suo realismo nella messa in scena; gli interni utilizzati per la realizzazione delle case di Scampia e Secondigliano da parte dello scenografo Paki Meduri, sono frutto di un lungo percorso di ricerca estetica. Lo scenografo si è documentato attraverso l’osservazione degli arredi delle case dei veri camorristi, degli affiliati e di tutti coloro che in qualche modo vivono attorno all’ambiente della malavita campana. Meduri ha costruito, oggetto dopo oggetto, mobile dopo mobile, l’aspetto di quel mondo con una fedeltà al reale quasi filologica. Nella costruzione questo immaginario tanto fedele al vero, quanto agghiacciante, non è meno importante la progettazione dei costumi dei personaggi, che – naturalmente – si inserisce nello spazio scenico e con questo dialoga, fino a fondersi.

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1. La circolarità del mito e il racconto seriale

Fra le ragioni del successo internazionale di Gomorra - La serie, produzione originale di Sky Italia basata sul romanzo di Roberto Saviano, c’è anche una riflessione interessante sulla collocazione soggettiva dei personaggi e la loro corporeità.

Il racconto della guerra fra i Savastano e l’alleanza si concretizza in un continuo movimento circolare di coloro che occupano le posizioni di potere. Non è il soggetto, con le sue configurazioni, che connota il ruolo che va a occupare: al contrario, sono le caratteristiche di questo ruolo a dare significato al personaggio; e la sua eventuale eliminazione (più o meno definitiva) non intacca la rappresentazione complessiva. Gli individui mutano la superficie del proprio corpo in funzione della casella in cui si collocano, e vivono le loro esperienze di conseguenza.

Questa condizione ha una concretizzazione nella seconda stagione sul corpo di Patrizia, ambasciatore e strumento della sopravvivenza di Don Pietro. Durante una delle loro prime conversazioni (nell’episodio Profumo di iena), il boss nota un tatuaggio di una leonessa sulla spalla; la giovane gli risponde che era il modo in cui la chiamava il padre, e alla sua morte ha deciso di commemorarlo in quel modo [fig. 1]. «Si tu eri ‘na leonessa non tinivi abbisogno di ‘nu tatuaggio», commenta Don Pietro infastidito (la Leonessa, come noto, era il nome dell’amata moglie, Donna Imma, sulla cui tomba è avvenuto peraltro il primo incontro con Patrizia). Il giorno dopo, la donna ha una estesa ustione sul braccio, con cui ha cancellato il tatuaggio [fig. 2]: per ricoprire il ruolo di donna di fiducia del boss, e poi di sua compagna, Patrizia cambia letteralmente la propria pelle, e di conseguenza il suo modo di leggere il mondo.

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