4.3. Lacrime e sangue: i corpi di Gomorra - La serie

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1. La circolarità del mito e il racconto seriale

Fra le ragioni del successo internazionale di Gomorra - La serie, produzione originale di Sky Italia basata sul romanzo di Roberto Saviano, c’è anche una riflessione interessante sulla collocazione soggettiva dei personaggi e la loro corporeità.

Il racconto della guerra fra i Savastano e l’alleanza si concretizza in un continuo movimento circolare di coloro che occupano le posizioni di potere. Non è il soggetto, con le sue configurazioni, che connota il ruolo che va a occupare: al contrario, sono le caratteristiche di questo ruolo a dare significato al personaggio; e la sua eventuale eliminazione (più o meno definitiva) non intacca la rappresentazione complessiva. Gli individui mutano la superficie del proprio corpo in funzione della casella in cui si collocano, e vivono le loro esperienze di conseguenza.

Questa condizione ha una concretizzazione nella seconda stagione sul corpo di Patrizia, ambasciatore e strumento della sopravvivenza di Don Pietro. Durante una delle loro prime conversazioni (nell’episodio Profumo di iena), il boss nota un tatuaggio di una leonessa sulla spalla; la giovane gli risponde che era il modo in cui la chiamava il padre, e alla sua morte ha deciso di commemorarlo in quel modo [fig. 1]. «Si tu eri ‘na leonessa non tinivi abbisogno di ‘nu tatuaggio», commenta Don Pietro infastidito (la Leonessa, come noto, era il nome dell’amata moglie, Donna Imma, sulla cui tomba è avvenuto peraltro il primo incontro con Patrizia). Il giorno dopo, la donna ha una estesa ustione sul braccio, con cui ha cancellato il tatuaggio [fig. 2]: per ricoprire il ruolo di donna di fiducia del boss, e poi di sua compagna, Patrizia cambia letteralmente la propria pelle, e di conseguenza il suo modo di leggere il mondo.

Ciascun ruolo implica dunque una traiettoria già segnata, raccontata però attraverso incarnazioni diverse. Questa peculiare costruzione è particolarmente adatta alla narrazione seriale, soprattutto nelle sue forme più vicine all’ecosistema (Pescatore, Bisoni, Innocenti 2013), perché permette la ripetizione di situazioni ed emozioni per personaggi diversi e in momenti diversi, senza perdere di complessità ed equilibrio. La configurazione circolare del racconto e del personaggio fa riferimento a una logica fondamentalmente mitica, per cui il mito è un segno che rimanda ad altri segni (che ne costituiscono significanti e significati di secondo livello), ma che non è riconducibile a dei significanti e significati concreti (Barthes 1994). Ogni posizione rimanda ad un gruppo di personaggi a cui assegna delle caratteristiche, senza che questi siano riconducibili a un’‘identità’ definitiva e univoca.

 

2. Il corpo melodrammatico preso nel ‘sistema’

Il sistema mitico (circolare e ricorrente) e non storico di configurazione del racconto si riconferma in un modo di rappresentazione melodrammatico (Pravadelli 2007), proprio della serie più che del romanzo o del film, e che si riscontra soprattutto nella scrittura di corpi sensibili, al centro di volta in volta di traiettorie narrative non classiche segnate da pathos, intensità emotiva, sensazionalismo, polarizzazione morale (benché nessuno qui sia innocente – a parte, forse, le bambine). Si crea dunque una risonanza produttiva fra un sistema narrativo basato su ruoli prefissati, a cui i personaggi si adeguano per mantenere l’equilibrio narrativo ed emotivo, e ‘o’ sistema’, l’organizzazione criminale basata su posizioni di potere che possono essere occupate da persone diverse.

In molti hanno riscontrato una certa flessibilità della struttura di potere della camorra, meno legata di altre organizzazione criminali a storia e tradizione, e più propensa a preservare l’equilibrio al proprio interno e rispetto agli altri poteri (istituzionali e criminali) con cui interagisce. In particolare, la camorra permette anche a figure non-maschili o ‘persino’ non-eterosessuali di coprire posizioni di potere all’interno del sistema (Renga 2015, Antonello 2016). In questo contesto, la configurazione delle identità di gender proposta dalla serie è invece piuttosto normativa: la maggior parte dei personaggi attivi nel sistema sono uomini, e soprattutto il controllo del territorio è affidato esclusivamente a figure maschili, a cui è dato il potere della mobilità e dell’occupazione fisica dello spazio.

Anche in presenza di personaggi non-maschi, non-bianchi, non-cisgender, viene sempre rispettata l’idea di un’aderenza fra il corpo del personaggio e una sua supposta ‘interiorità’. In alcuni casi, come quello del transgender Luca e della transessuale Nina, l’anatomia dell’apparato genitale riconosciuto alla nascita non coincide con le persone che decidono di essere da adulte; messa in scena relativamente coraggiosa nel contesto produttivo mainstream italiano (peraltro, Nina è interpretata da un’attrice transessuale, Alessandra Langella [fig. 3]). Ma questi personaggi non vengono esplorati, anzi: entrambi restano sullo schermo solo per un episodio ciascuno (Luca in Imma contro tutti, Nina in Mea Culpa), e vengono presi in considerazione esclusivamente i risvolti tragici di questa loro posizione non normativa. In entrambi gli episodi, il loro corpo diviene il luogo in cui il senso viene inscritto, e tutta la traiettoria dei due personaggi è ricondotta ad esso (Pravadelli 2006).

Il regime narrativo e visuale di Gomorra - La serie è sempre melodrammatico e sensazionalistico: il corpo, e in particolare quello maschile, è portatore di azione, ma anche manifestazione di un conflitto che si riversa nei suoi aspetti più materiali e abietti; soprattutto, è un dispositivo di potere che configura traiettorie di desiderio e violenza. Dalle bande di ragazzini che sorvegliano le piazze, ai consiglieri-guardie del corpo che accompagnano i boss, fino ovviamente ai protagonisti della serie, lo schermo è punteggiato di corpi maschili [fig. 4], caratterizzati dalla condivisione del linguaggio della violenza. Le donne in questo scenario non sono necessariamente marginali, ma sono tenute ad abitare le stesse traiettorie esperienziali, le stesse strutture di interpretazione e trasmissione del potere, come dimostrato dalla Leonessa nella prima stagione (Di Bianco 2016). Inoltre, non è detto che siano in grado di sopravvivere nel sistema: alla fine della seconda stagione, la Leonessa è stata uccisa, Scianel viene arrestata, Marinella ha denunciato marito e suocera alla polizia, e solo Patrizia è ancora attiva, benché la morte di Don Pietro la metta indubbiamente in grande difficoltà.

 

3. Padri e figli

Il conflitto è perciò soprattutto interno al maschile, e trattandosi come detto di una configurazione mitica e melodrammatica, si manifesta essenzialmente come lotta fra potere dei padri e ribellione dei figli. La legge patriarcale e fallica della mafia e la difficoltà a crescere secondo i modelli identitari maschili proposti è una questione affrontata dal cinema italiano sin dal dopoguerra (Hipkins 2011). In Gomorra - La serie questa dialettica viene tradotta nel conflitto visuale fra una mascolinità tradizionale, sobria e controllata, che fa riferimento al potere come valore assoluto, ottenuto tramite sacrificio e fatica; e una mascolinità più esplicitamente aggressiva, che si nutre dell’eccesso e riconosce la violenza come esperienza privilegiata in cui collocarsi.

La linea di confine fra le due dimensioni è simbolicamente incarnata dallo scontro – in sé assai banale – fra Don Pietro e il figlio Genny, il quale, nonostante la trasformazione avvenuta nella prima stagione da ragazzino viziato a condottiero efficiente, viene disprezzato dal padre, che non ha alcuna fiducia in lui e ne sottovaluta le capacità strategiche e di esercizio del potere (Renga 2015). La prima stagione è narrativamente più vicina al padre e a Ciro, che con Don Pietro condivide una mascolinità più controllata; benché le scelte stilistiche siano già contrarie a qualunque sobrietà di messa in scena. Diversa è però la scelta di campo della seconda stagione: l’uso di filtri blu e verdi (che finiscono spesso per alterare l’incarnato dei personaggi [fig. 5]), l’accurata composizione delle inquadrature in funzione simbolica, l’esibizione della violenza efferata di alcuni omicidi, esplicitano definitivamente la fascinazione della serie per le posizioni più estreme.

Gomorra - La serie è pienamente ascrivibile dunque al modo di rappresentazione melodrammatico e sensazionale descritto da Linda Williams, interessato a mettere in scena la configurazione del soggetto – dentro e fuori lo schermo – in quanto corpo preso fra sensazione ed emozione, e che produce lacrime e sangue (e occasionalmente anche altri liquidi). La conclusione simbolica della seconda stagione, con la visualizzazione dell’intero ciclo di morte e rinascita in poche inquadrature, e il momentaneo trionfo della posizione di Genny, è anche una rivendicazione formale e narrativa dell’eccesso.

Se la prima serie vede l’esaltazione del corpo dell’Immortale, poiché privilegia la sobrietà e una certa freddezza dell’uomo d’azione (Renga 2015), la seconda esplora il conflitto fra padri e figli nella sua forma più grezza e polarizzata, in cui lo spettatore gode dello scontro senza essere chiamato a prendere posizioni definitive o identificarsi con le traiettorie dei personaggi. Per il momento ad avere successo è il modello imprenditoriale di Genny, orientato a una dimensione globalizzata, e privo di qualunque rispetto per un codice d’onore. Ma le ultime inquadrature promettono sviluppi interessanti: non ci viene più mostrata la cicatrice sul volto di Genny, bensì la sua guancia più morbida e rotonda, mentre stringe il figlio appena nato fra le braccia [fig. 6], adeguando ancora una volta il corpo e l’identità alla nuova posizione ricoperta dal personaggio. Al contrario, Ciro non è più padre, dal momento che Malammore ne ha ucciso la figlia, e può tornare ad essere strumento di morte. Tutti i ruoli sono insomma ancora una volta ribaltati, i padri non muoiono mai (Pescatore 2016) e i corpi – momentaneamente inattivi – sono comunque pronti per un altro giro sulla giostra sensazionale delle emozioni.

 

 

Bibliografia

P. Antonello, ‘1.7: A’ Storia e’ Maria: Gender Power Dynamics and Genre Normalization, (“Imma contro tutti”, Francesca Comencini)’, The Italianist, 36, 2, 2016, pp. 322-327.

R. Barthes, Miti d’oggi [1957], Torino, Einaudi, 1994.

L. Di Bianco, ‘1.5: Donna Imma’s “Dream of Domination” (“Il ruggito della leonessa”, Francesca Comencini)’, The Italianist, 36, 2, 2016, pp. 312-317.

D. Hipkins, ‘Which Law Is the Father’s? Gender and Generic Oscillation in Pietro Germi’s In the name of the Law’, in D. Renga (a cura di), Mafia Movies: A Reader, Toronto, University of Toronto Press, 2011, pp. 203-210.

G. Pescatore, ‘1.2: Realism, Archaism, and Seriality (“Gli immortali”, Stefano Sollima)’, The Italianist, 36, 2, 2016, pp. 349-354.

G. Pescatore, C. Bisoni, V. Innocenti, ‘Il concetto di ecosistema e i media studies: un’introduzione’, in C. Bisoni, V. Innocenti (a cura di), Media Mutations. Gli ecosistemi narrativi nello scenario mediale contemporaneo. Spazi, modelli, usi sociali, Bologna, Mucchi, 2013, pp. 11-26.

V. Pravadelli, ‘Eccesso, spettacolo, sensazione. Sul melodramma e Come le foglie al vento’, in G. Carluccio, F. Villa (a cura di), Il corpo del film. Scritture, contesti, stile, emozioni, Roma, Carocci, 2006, pp. 161-169.

V. Pravadelli, La grande Hollywood. Stili di vita e di regia nel cinema classico americano, Venezia, Marsilio, 2007.

D. Renga, ‘Making Men in Gomorra - La serie’, L’avventura, 1, 2015, pp. 105-120.

L. Williams, ‘Film Bodies: Gender, Genre, and Excess’, Film Quarterly, 44, 4, 1991, pp. 2-13.