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Il doppio duetto sul mito biblico di Caino e Abele che Roberto Zappalà e Nello Calabrò hanno realizzato con Liederduett (2018), è un monito sulla sventura di ogni ritorno della figura del padre. Nella prima parte della coreografia, i corpi dei due danzatori traducono un’esortazione a ripensare un tipo di fratellanza capace di illuminare la vita fuori l’ombra del padre. Nella seconda parte, la coreografia ipotizza la dissoluzione dei legami di dipendenza da una violenza originaria, e i corpi dei danzatori si dispongono secondo una nuova configurazione, in termini affermativi, della fratellanza comeuno stare insieme simbiotico.

The double duet on the biblical myth of Cain and Abel that Roberto Zappalà and Nello Calabrò created with Liederduett(2018), is a warning about the misfortune of every return of the father figure. In the first part of the choreography, the bodies of the two dancers translate an exhortation to rethink a type of brotherhood capable of illuminating life outside the shadow of the (figure of the) father. In the second part, the choreography assumes the dissolution of the dependence bonds on an original violence, and the dancers’ bodies are settled according to a new configuration, in affirmative terms, of the brotherhood as a symbiotic way to being together.

 

In Caïn, la dieresi che segna la i corrisponde a una specie di ghigno, un apparire di fauci che mette allo scoperto due canini appuntiti che spiccano sugli altri denti.

Michel Leiris, Biffures

 

Quando mi sono affacciato alla finestra, sul tetto di fronte c’era un corvo con la testa rientrata, nella pioggia, e non si muoveva. Un sentimento di fratellanza mi ha invaso e il cuore mi si è riempito di solitudine.

Werner Herzog, Sentieri nel ghiaccio

 

 

 

 

1. Svuotare il sacco

Nessun giudice, nessun arbitro, nessun padre. Solo due lottatori. Lasciati soli sul ring. Lasciati soli a negoziare la propria (in)dipendenza. Nel tempo dei loro gong, tra le urla e i fischi di una platea invisibile. Forse perché nella trasgressione di un divieto, sulla scena dell’origine, non si può che agire soli.

 

 

Il doppio duetto sul mito biblico di Caino e Abele che Roberto Zappalà e Nello Calabrò hanno realizzato con Liederduett (Bolzano, luglio 2018), convergendo le due parti, già autonome, «in un nuovo allestimento con nuove musiche e un nuovo set scenico», di Corpo a corpo (Catania, marzo 2018) e Come le Ali (Viagrande, maggio 2018), è un monito sulla sventura di ogni ritorno della figura del padre.

Il coreografo catanese è persona devota, penso anche religiosa in senso minimamente osservante ma, almeno nei suoi lavori, pure in quelli maggiormente legati alla spiritualità della sua terra (fra tutti, per esempio, A. semu tutti devoti tutti? del 2009), senza alcuna rivendicazione confessionale. Anzi. In un precedente lavoro, La Nona (dal caos, il corpo) del 2015, l’esigenza di una maggiore comunanza spirituale per l’umanità intera gli faceva mettere in compresenza, fra gli oggetti di scena, tutte le rappresentazioni e i simboli ermeneutici di ogni paradigma religioso.

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Un bambino sta per nascere, un uomo per essere ucciso. Il montaggio alternato delle due situazioni chiude la seconda stagione di Gomorra - La serie [figg. 1-8]. Il bambino che nasce si chiamerà come l’uomo che muore: Pietro Savastano. Chi ha deciso su morte e nascita è Genny Savastano, allo stesso tempo figlio e padre. Il finale misura il tratto esplicitamente edipico di Gomorra. Ma se a contare nella prima stagione è la famiglia, che include anche Imma (moglie e madre) ed è rappresentata dalla casa dove abitano, nella seconda sono soprattutto i maschi ad avere un ruolo, e non c’è più né unità familiare né unità di luogo. Gomorra - La serie è una tragedia. La struttura mitica profonda che anima la serie è di tipo tragico. È la tragedia del potere, la conquista del quale diventa la posta in gioco di un soggetto disposto a pagare qualsiasi prezzo, non ultima la vita, per ottenerlo, per acquisirlo. E se questo accade è perché attraverso il potere, e dunque il dominio sulle vite e sui destini altrui, il soggetto si illude di sottrarsi alla sua condizione mortale.

Ambire a perdere l’umanità è un tratto, aberrante, dell’umano stesso. Negando la sua propria umanità, il soggetto nega il suo tratto finito. Sfida la morte riaffermandola.

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1. La circolarità del mito e il racconto seriale

Fra le ragioni del successo internazionale di Gomorra - La serie, produzione originale di Sky Italia basata sul romanzo di Roberto Saviano, c’è anche una riflessione interessante sulla collocazione soggettiva dei personaggi e la loro corporeità.

Il racconto della guerra fra i Savastano e l’alleanza si concretizza in un continuo movimento circolare di coloro che occupano le posizioni di potere. Non è il soggetto, con le sue configurazioni, che connota il ruolo che va a occupare: al contrario, sono le caratteristiche di questo ruolo a dare significato al personaggio; e la sua eventuale eliminazione (più o meno definitiva) non intacca la rappresentazione complessiva. Gli individui mutano la superficie del proprio corpo in funzione della casella in cui si collocano, e vivono le loro esperienze di conseguenza.

Questa condizione ha una concretizzazione nella seconda stagione sul corpo di Patrizia, ambasciatore e strumento della sopravvivenza di Don Pietro. Durante una delle loro prime conversazioni (nell’episodio Profumo di iena), il boss nota un tatuaggio di una leonessa sulla spalla; la giovane gli risponde che era il modo in cui la chiamava il padre, e alla sua morte ha deciso di commemorarlo in quel modo [fig. 1]. «Si tu eri ‘na leonessa non tinivi abbisogno di ‘nu tatuaggio», commenta Don Pietro infastidito (la Leonessa, come noto, era il nome dell’amata moglie, Donna Imma, sulla cui tomba è avvenuto peraltro il primo incontro con Patrizia). Il giorno dopo, la donna ha una estesa ustione sul braccio, con cui ha cancellato il tatuaggio [fig. 2]: per ricoprire il ruolo di donna di fiducia del boss, e poi di sua compagna, Patrizia cambia letteralmente la propria pelle, e di conseguenza il suo modo di leggere il mondo.

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