Sogno di vendere sempre più copie, ovunque nel mondo, e sono sempre insoddisfatto, nonostante i risultati siano stati buoni perché io ho un’ambizione ben più grande – e non me ne vergogno – ben più grande di quella di piazzare un po’ di copie e di avere qualche buona recensione. Il sogno è che magari queste mie parole, condividendole, possano davvero diventare uno strumento.

Roberto Saviano

 

 

A dieci anni dalla pubblicazione di Gomorra il ‘caso’ Saviano desta ancora grande interesse anche se l’attenzione si è decisamente spostata dalle vicende biografiche e letterarie del suo autore verso la potenza espressiva della serie televisiva, capace di catalizzare un numero impressionante di spettatori e di mobilitare larghe fasce dell’opinione pubblica. Lungi dall’essersi inaridita, l’onda transmediale di questo testo-feticcio degli anni zero continua a segnare l’immaginario contemporaneo, a suggerire trame, personaggi, icone che meritano di essere ricomposte e analizzate.

Consapevoli della porosità della ‘costellazione-Gomorra’, abbiamo scelto di verificare la tenuta del romanzo guardando oltre il suo orizzonte di carta, puntando l’attenzione sui frammenti visivi che ha generato, sulle scorie che si sono depositate nel passaggio dal teatro al cinema fino all’approdo fatale nell’orbita della serialità. La scelta di ‘rimappare’ le immagini di Gomorra ci ha permesso di recuperare discorsi e approcci differenti, con un taglio per lo più comparatistico ma a partire dai metodi propri dei film e media studies, che abbiamo organizzato secondo quattro direttrici principali.

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Un bambino sta per nascere, un uomo per essere ucciso. Il montaggio alternato delle due situazioni chiude la seconda stagione di Gomorra - La serie [figg. 1-8]. Il bambino che nasce si chiamerà come l’uomo che muore: Pietro Savastano. Chi ha deciso su morte e nascita è Genny Savastano, allo stesso tempo figlio e padre. Il finale misura il tratto esplicitamente edipico di Gomorra. Ma se a contare nella prima stagione è la famiglia, che include anche Imma (moglie e madre) ed è rappresentata dalla casa dove abitano, nella seconda sono soprattutto i maschi ad avere un ruolo, e non c’è più né unità familiare né unità di luogo. Gomorra - La serie è una tragedia. La struttura mitica profonda che anima la serie è di tipo tragico. È la tragedia del potere, la conquista del quale diventa la posta in gioco di un soggetto disposto a pagare qualsiasi prezzo, non ultima la vita, per ottenerlo, per acquisirlo. E se questo accade è perché attraverso il potere, e dunque il dominio sulle vite e sui destini altrui, il soggetto si illude di sottrarsi alla sua condizione mortale.

Ambire a perdere l’umanità è un tratto, aberrante, dell’umano stesso. Negando la sua propria umanità, il soggetto nega il suo tratto finito. Sfida la morte riaffermandola.

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Ergo age, care pater, cervici imponere nostrae:

Ipse subibo umeris, nec me labor iste gravabit.

Quo res cumque cadent, unum et commune periclum,

Una salus ambobus erit.

(Su, padre mio, sali sulle mie spalle;

ti porterò con me, e non mi costerà fatica.

Comunque vadano le cose, correremo insieme il pericolo

e cercheremo insieme la salvezza).

(Aeneis II, 707-711)

 

- Papà!

- Nun c’a facc. Nun me sient’ bbuon.

(Gomorra: la serie, s2 e2)

 

Il secondo episodio della seconda stagione di Gomorra - La serie è un segmento singolare, anzitutto perché quasi interamente dislocato rispetto al topos campano: l’azione si svolge per lo più a Colonia, dove Pietro Savastano è riparato dopo la fuga dal carcere. La singolarità è anche temporale, perché fra primo e secondo episodio di stagione la serie introduce un’ellissi di un anno; nella struttura narrativa complessiva il primo episodio della seconda stagione funge da conclusione della prima, mentre il secondo apre la successiva con un programma nuovo e ambizioso: estendere il mondo narrativo e addirittura rifondarlo. L’espansione non va nella direzione del topos di episodio, che è uno spazio di transito, ma procede verso Roma, secondo il processo che Leonardo Sciascia definì «la linea della palma»: come il clima favorevole alla crescita della palma si estende ogni anno verso nord, così accade anche alla linea della criminalità organizzata di stampo mafioso, che sale ogni anno «meridionalizzando» progressivamente il settentrione.

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Mi pare significativo che Repubblica, per introdurre il nuovo libro di Roberto Saviano, La paranza dei bambini, abbia parlato di «un romanzo vero, un romanzo-romanzo: con tanto di invenzione e fantasia». Quasi una forma di riconoscimento, indiretta e retrospettiva, della difficoltà a considerare Gomorra un romanzo vero e proprio, anche se molti – vedere per credere la pagina di Wikipedia – a suo tempo lo giudicarono e definirono tale. Per capire il senso di quello che nel frattempo è diventato l’universo mediatico di Gomorra, credo allora sia opportuno partire da qui, da questa domanda: qual è l’identità del libro di Saviano? A quale genere appartiene?

Fosse stato scritto negli Stati Uniti, cadrebbe nella categoria del new journalism, col quale condivide il tratto fortemente soggettivo dell’inchiesta giornalistica: il reporter non espone i fatti, al contrario li metabolizza in chiave narrativa per renderli appassionanti e, a dispetto della loro comprovata evidenza, vagamente improbabili [fig. 1]. In Gomorra la soggettività di Saviano trapela soprattutto dalla scelta di dare ai suoi reportage un tono elegiaco, di rimpianto, che corre sotto traccia lungo tutto il libro. Una vena dolente attraversa i capitoli, quasi che l’autore si rammaricasse costantemente, pur senza mai dichiararlo esplicitamente, del triste destino toccato in sorte alla sua terra. Sullo sfondo dei delitti e dei misfatti, dei crimini e degli scempi edilizi, è tangibile l’amarezza per lo sfacelo cui è andato incontro un luogo che avrebbe potuto conoscere un destino diverso («È strano come con chiunque parli, qualunque sia l’argomento, appena dici che stai per andartene via ricevi auguri, complimenti e giudizi entusiasti. “È così che si fa. Fai benissimo, lo farei anch’io”. Non devi aggiungere dettagli, specificare cosa andrai a fare. Qualunque sia il motivo, sarà migliore di quelli che troverai per continuare a vivere in queste zone»).

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1. Ciò che maggiormente colpisce, ripensando al fenomeno Gomorra nelle sue varie incarnazioni, è quanto l’esito forse artisticamente più alto della ‘filiera’, il film di Matteo Garrone, sia stato alla fine quello con meno conseguenze sull’industria culturale e sull’opinione pubblica. Anzi, già il successo del film aveva preso alla sprovvista gli stessi produttori, che non si aspettavano un incasso così trionfale: 10 milioni di euro, decimo posto dei film più visti nella stagione. Da allora, nessun film italiano che non fosse una commedia ha raggiunto quelle cifre.

Colpisce soprattutto la difficoltà che la critica, italiana e straniera, ha avuto a collocare il film. Per lo più, si è insistito molto sul realismo di fondo, arrivando a parlare di ‘neo-neorealismo’, trascurando il lavoro svolto da Garrone sulla messinscena, e il suo peculiare metodo. La novità del film stava infatti anzitutto nel rifiuto della tradizione del cinema politico e di denuncia italiano, di ogni didascalismo come del frequente i metodi del poliziesco o dell'indagine ai problemi sociali.

Il successo del film si è poi proiettato sull’intera opera del regista, fino a costituire un equivoco critico. Garrone è diventato ‘il regista di Gomorra’¸ il narratore realista di un mondo degradato. L’equivoco si è proiettato sul film successivo, Reality, che dunque (pur essendo forse il capolavoro dell’autore, intreccio di allegoria e fiaba incarnato in luoghi iperrealisti) è stato ascritto a un grottesco di fondo: il critico di un quotidiano descrisse addirittura la scena iniziale come «un matrimonio di camorristi». Invece, a leggere nell'insieme la sua opera, è proprio lo sfondo sociale così determinato a costituire un’eccezione nell’opera del regista. Il quale, dopo le prime prove costituite da una narrazione più aperta, tentata dalla commedia, ha strutturato sempre più il proprio cinema a partire da un conflitto tra il copione e la regia, facendosi cantore di ossessioni radicate in un set forte, in cui echeggia la sua formazione di pittore. L’imbalsamatore, Primo amore, Reality, Il racconto dei racconti sono altrettante fiabe italiane, tendenti al gotico con qualche accenno di grottesco, e insieme costituiscono, senza alcun affondo sociologico, una forma mediata di antropologia di un paese e di una interazione tra set e personaggi del tutto peculiare, più prossima al cinema sperimentale che all’uso corrente dei luoghi nel cinema italiano e non solo.

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Il 12 ottobre del 2016, nel corso della diciassettesima puntata di Gazebo Social News, lo show condotto da Diego Bianchi, il vignettista e autore Makkoz disegna un personaggio proveniente da Napoli. Lo rappresenta con una caricatura di Genny Savastano, uno dei protagonisti di Gomorra - La serie, con tre frasi che contornano il personaggio [fig. 1]: «Stai senza pensieri», «Two Fritturs» e «Come to take the forgiveness». Ci sono una serie di cortocircuiti linguistici e mediatici che vanno in scena all’interno di questa immagine, una serie di immaginari che vengono convocati. Siamo all’interno di una trasmissione televisiva in un certo senso di nicchia, come Gazebo, ma a cui il preserale ha dato una più vasta popolarità. Le frasi, forse oscure ai più, arrivano dalla serie tv di Gomorra, ma rimodellate dal gruppo satirico The Jackal, autore di una fortunata web serie parodica, Gli effetti di GOMORRA LA SERIE sulla gente (d’ora in poi, Gli effetti). Alcune poi sono in inglese perché la web serie ha avuto un piccolo spin-off, Impara l’inglese con GOMORRA, dove i tormentoni vengono tradotti in inglese. Web, TV, ma anche cinema: il Genny Savastano disegnato da Makkoz rimanda molto più marcatamente al De Niro di Taxi Driver di quanto non lo faccia il personaggio della serie – che pure sempre da lì attinge parte del proprio stile e mise. Può sembrare strano partire da questa immagine per parlare di un aspetto del mondo Gomorra, ma proprio immagini come questa fanno vedere quando questo sia entrato nella cultura popolare, e lo abbia fatto ibridando una serie di linguaggi e media diversi.

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4 gennaio 2013. A pochi giorni dall’inizio delle riprese della prima stagione di Gomorra. La serie a Scampia, il politico locale Angelo Pisani, allora presidente dell’ottava municipalità di Napoli, convoca una conferenza stampa per annunciare ai giornalisti presenti di aver negato alla casa di produzione, Cattleya, l’autorizzazione per occupare il suolo pubblico e girare sul posto [fig. 1]. Come riporta il Corriere del Mezzogiorno, la serie è accusata (preventivamente) di enfatizzare «sempre e soltanto le cose negative» del quartiere, confermando il «marchio di infamia» che già libro e film hanno costruito, nonostante le «tante realtà positive di cui non si parla mai». Siamo nel mezzo di una campagna elettorale, e dopo il primo annuncio si scatena un feroce dibattito, tra lettere, interviste, articoli di giornale, prese di posizione pure del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Prima ancora di passare dalla scrittura al lavoro ‘sul campo’, così, i piani di Sky si inceppano, la macchina produttiva si deve fermare un paio di mesi. Ma è solo l’inizio di una frizione tra il team creativo e organizzativo della serie, da un lato, e il territorio messo in scena, dall’altro, destinata poi ad accompagnare, con fasi di maggiore e minore intensità (e visibilità), l’intero ciclo di vita della fiction, e persino oggi, dopo due stagioni, non ancora del tutto risolta.

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La prima sequenza di Gomorra di Matteo Garrone si svolge in un centro estetico. Gli spazi angusti delle cabine abbronzanti e di una toilette invadono le inquadrature ravvicinate. Tutta l’immagine è bagnata in una luce blu intensissima [fig. 1]. Per qualche secondo la sensazione è di trovarsi in un altro mondo, uno spazio futuristico e sospeso: poi subentra la tensione, e sarà l’irruzione della lingua napoletana e soprattutto l’esplosione di violenza a precipitare bruscamente lo spettatore nelle precise coordinate spazio-temporali che rispondono al nome di Gomorra.

La prima inquadratura del primo episodio di Gomorra - La serie è una strada notturna, sovrastata da un cavalcavia, su cui incombe a sua volta un cielo nuvoloso blu cupo [fig. 2]. È un esterno gravato da una banda orizzontale scura, che ne abbatte il potenziale spaziale. Nel corso della serie il blu appare come un colore ricorrente, presente in modulazioni diverse nelle scene notturne o nelle location interne: un blu innaturale, come le stranianti prime inquadrature del film del 2008, riaffiora nell’uso di neon, luci pop, fluo, nei locali e nelle stanze che hanno il ruolo di luoghi del potere. L’illuminazione artificiale è uno dei principali strumenti visivi usati dalla serie per controbilanciare la cifra realistica che emerge ad esempio nella rappresentazione cruda della violenza.

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Stagione 1, episodio 1. Entriamo nell’universo di Gomorra - La serie in auto, seguendo Ciro e Attilio percorrere le strade della periferia, procedere lungo tunnel spettralmente deserti per raggiungere uno dei tanti palazzoni tetri e fatiscenti che disegnano il profilo dei rioni napoletani. Il loro spostamento si incrocia con quello dell’inconsapevole Salvatore Conte, boss di un clan rivale, che attraversa quel reticolo di strade protetto da una scorta.

Fin dall’incipit della serie si impone allo sguardo il degradato paesaggio urbano che ne è lo scenario, disgregato in tentacolari brandelli i cui contorni si ridefiniscono costantemente secondo le esigenze dei traffici illegali: si aprono uno nell’altro, si serrano in barricate, si trasformano in rifugi o palesano impietosamente nascondigli in apparenza sicuri. Ben presto tuttavia il procedere della narrazione rivela come questa ambientazione sia solo il polo di una dialettica tra interno ed esterno. Punto di convergenza del movimento dei personaggi è, infatti, la casa della madre di Conte, dove egli si reca in visita: qui la facciata disseminata di graffiti e il livido grigiore dell’androne del palazzo si aprono su uno spazio domestico inaspettatamente barocco, con tappezzerie e tessuti damascati, finti vasi antichi, brocche di cristallo, cornici decorate con motivi vistosi, vetrinette con ceramiche, fiori e fotografie [fig. 1]. Uno stile che accomuna le abitazioni dei protagonisti della serie, in un contesto in cui il loro ruolo nei giochi di potere dei clan camorristici è direttamente proporzionale alla pacchiana sontuosità della casa in cui risiedono.

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