4 gennaio 2013. A pochi giorni dall’inizio delle riprese della prima stagione di Gomorra. La serie a Scampia, il politico locale Angelo Pisani, allora presidente dell’ottava municipalità di Napoli, convoca una conferenza stampa per annunciare ai giornalisti presenti di aver negato alla casa di produzione, Cattleya, l’autorizzazione per occupare il suolo pubblico e girare sul posto [fig. 1]. Come riporta il Corriere del Mezzogiorno, la serie è accusata (preventivamente) di enfatizzare «sempre e soltanto le cose negative» del quartiere, confermando il «marchio di infamia» che già libro e film hanno costruito, nonostante le «tante realtà positive di cui non si parla mai». Siamo nel mezzo di una campagna elettorale, e dopo il primo annuncio si scatena un feroce dibattito, tra lettere, interviste, articoli di giornale, prese di posizione pure del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Prima ancora di passare dalla scrittura al lavoro ‘sul campo’, così, i piani di Sky si inceppano, la macchina produttiva si deve fermare un paio di mesi. Ma è solo l’inizio di una frizione tra il team creativo e organizzativo della serie, da un lato, e il territorio messo in scena, dall’altro, destinata poi ad accompagnare, con fasi di maggiore e minore intensità (e visibilità), l’intero ciclo di vita della fiction, e persino oggi, dopo due stagioni, non ancora del tutto risolta.

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La prima sequenza di Gomorra di Matteo Garrone si svolge in un centro estetico. Gli spazi angusti delle cabine abbronzanti e di una toilette invadono le inquadrature ravvicinate. Tutta l’immagine è bagnata in una luce blu intensissima [fig. 1]. Per qualche secondo la sensazione è di trovarsi in un altro mondo, uno spazio futuristico e sospeso: poi subentra la tensione, e sarà l’irruzione della lingua napoletana e soprattutto l’esplosione di violenza a precipitare bruscamente lo spettatore nelle precise coordinate spazio-temporali che rispondono al nome di Gomorra.

La prima inquadratura del primo episodio di Gomorra - La serie è una strada notturna, sovrastata da un cavalcavia, su cui incombe a sua volta un cielo nuvoloso blu cupo [fig. 2]. È un esterno gravato da una banda orizzontale scura, che ne abbatte il potenziale spaziale. Nel corso della serie il blu appare come un colore ricorrente, presente in modulazioni diverse nelle scene notturne o nelle location interne: un blu innaturale, come le stranianti prime inquadrature del film del 2008, riaffiora nell’uso di neon, luci pop, fluo, nei locali e nelle stanze che hanno il ruolo di luoghi del potere. L’illuminazione artificiale è uno dei principali strumenti visivi usati dalla serie per controbilanciare la cifra realistica che emerge ad esempio nella rappresentazione cruda della violenza.

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