4 gennaio 2013. A pochi giorni dall’inizio delle riprese della prima stagione di Gomorra. La serie a Scampia, il politico locale Angelo Pisani, allora presidente dell’ottava municipalità di Napoli, convoca una conferenza stampa per annunciare ai giornalisti presenti di aver negato alla casa di produzione, Cattleya, l’autorizzazione per occupare il suolo pubblico e girare sul posto [fig. 1]. Come riporta il Corriere del Mezzogiorno, la serie è accusata (preventivamente) di enfatizzare «sempre e soltanto le cose negative» del quartiere, confermando il «marchio di infamia» che già libro e film hanno costruito, nonostante le «tante realtà positive di cui non si parla mai». Siamo nel mezzo di una campagna elettorale, e dopo il primo annuncio si scatena un feroce dibattito, tra lettere, interviste, articoli di giornale, prese di posizione pure del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Prima ancora di passare dalla scrittura al lavoro ‘sul campo’, così, i piani di Sky si inceppano, la macchina produttiva si deve fermare un paio di mesi. Ma è solo l’inizio di una frizione tra il team creativo e organizzativo della serie, da un lato, e il territorio messo in scena, dall’altro, destinata poi ad accompagnare, con fasi di maggiore e minore intensità (e visibilità), l’intero ciclo di vita della fiction, e persino oggi, dopo due stagioni, non ancora del tutto risolta.
3.1. Gomorra - La serie vs. Scampia. Il ‘senso del luogo’ e le frizioni tra produzione e territorio
di Luca Barra
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