3.2. Cemento blu. I cromatismi notturni di Gomorra - La serie

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La prima sequenza di Gomorra di Matteo Garrone si svolge in un centro estetico. Gli spazi angusti delle cabine abbronzanti e di una toilette invadono le inquadrature ravvicinate. Tutta l’immagine è bagnata in una luce blu intensissima [fig. 1]. Per qualche secondo la sensazione è di trovarsi in un altro mondo, uno spazio futuristico e sospeso: poi subentra la tensione, e sarà l’irruzione della lingua napoletana e soprattutto l’esplosione di violenza a precipitare bruscamente lo spettatore nelle precise coordinate spazio-temporali che rispondono al nome di Gomorra.

La prima inquadratura del primo episodio di Gomorra - La serie è una strada notturna, sovrastata da un cavalcavia, su cui incombe a sua volta un cielo nuvoloso blu cupo [fig. 2]. È un esterno gravato da una banda orizzontale scura, che ne abbatte il potenziale spaziale. Nel corso della serie il blu appare come un colore ricorrente, presente in modulazioni diverse nelle scene notturne o nelle location interne: un blu innaturale, come le stranianti prime inquadrature del film del 2008, riaffiora nell’uso di neon, luci pop, fluo, nei locali e nelle stanze che hanno il ruolo di luoghi del potere. L’illuminazione artificiale è uno dei principali strumenti visivi usati dalla serie per controbilanciare la cifra realistica che emerge ad esempio nella rappresentazione cruda della violenza.

Oltre la verosimiglianza della messinscena, del dialetto e della rappresentazione dell’organizzazione criminale e delle guerre tra clan, oltre i rioni davvero parzialmente ripuliti e riqualificati dalla produzione durante le riprese, persino la cronaca si è intrecciata con la serie, tra le polemiche per la presunta acriticità e l’arresto di un componente del cast, in un esempio di estremizzazione del corto circuito tra reale e fiction (Renga 2016). Sky sottolinea il realismo come percorso editoriale dietro le proprie scelte produttive: «da Gomorra a 1992, fino a The Young Pope, è il realismo che rende queste storie rilevanti e questa realtà accompagna lo spettatore in un viaggio che non lo inganna, non lo consola, in cui l’unica cosa che non può fare è girarsi dall’altra parte” (Andrea Scrosati, vice-presidente di Sky, in M. Damilano, Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore nell’inferno della camorra, 2016)». In Gomorra, e nelle altre serie citate, l’etichetta di realismo corrisponde alla rappresentazione non edulcorata e non conciliante della corruzione, del potere, del male. L’esposizione dello spettatore alla violenza e la mancanza di appigli empatici sono considerati marche di realtà che richiamano fedelmente la brutalità dell’ambiente criminale descritto; ma naturalmente le stesse caratteristiche collocano Gomorra anche nel solco delle serie americane quality che hanno scandagliato a fondo e senza censure le oscurità dell’animo umano e i temi più controversi. Ciò che nota Gianluigi Rossini a proposito della strategia Sky per Romanzo criminale può infatti essere esteso anche a Gomorra: «seguendo una strategia abbastanza vicina a quella di HBO i personaggi negativi sono in primo piano e […] i contenuti eccedono platealmente i limiti di ciò che si era visto in televisione fino a quel momento» (G. Rossini, Le serie Tv, 2016, p. 149).

Se nella restituzione di una complessità priva di filtri normalizzanti si istituisce la vicinanza alla realtà di Gomorra, dal punto di vista formale la serie rifugge lo sguardo documentaristico e attinge ad altri orizzonti di riferimento. Come tutte le opere firmate Stefano Sollima, la fotografia[1] e la regia lavorano anche di stilizzazione: l’illuminazione provoca un distanziamento che accentua il vuoto di empatia ricercato dall’istanza narrativa, riequilibrando, o dis-equilibrando, la componente di realismo.

I personaggi di Gomorra - La serie sono legati agli spazi che vivono e che formano uno stesso humus sociale e urbano impenetrabile all’esterno, regolato da non-leggi interne. Le viscere di Scampia e degli altri quartieri sono esplorati orizzontalmente e verticalmente da una camera che fa sentire con forza gli interstizi e gli spazi invisibili dove solo chi vi vive quotidianamente riesce a muoversi.

L’assoluta assenza di un elemento di contrasto di primo piano rispetto a questo universo (che era presente invece in Romanzo criminale – La serie nella figura di Scialoja) permette la percezione di un ‘sistema’ non solo impenetrabile ma anche impossibile da abbandonare.

Questo senso opprimente trova espressione visiva nella disposizione dei personaggi nello spazio, nei movimenti e nelle scelte cromatiche. «Qui non ci sono colori, qui tutto è grigio» dice il prete nell’episodio 1x11, 100 modi per uccidere, durante il funerale di Danielino, il sedicenne ucciso a bruciapelo da Salvatore Conte nell’episodio precedente. La scelta privilegiata per le scene diurne è infatti la rimozione della luce del sole o la sua desaturazione [fig. 3], a mettere in chiaro a ogni inquadratura la distanza siderale da qualsiasi riferimento alla solarità di Napoli. Se le giornate sono sempre oppresse da un cielo basso e scuro e da luce livida, le notti sono per paradosso cromaticamente più varie. Da un lato i verdi e azzurrini spenti dei neon che illuminano male i cunicoli e i corridoi dei quartieri-dormitorio [fig. 4]; dall’altro punti luminosi che risaltano nel nero della notte, come richiami a un altrove esistente e irraggiungibile.

La madonna al centro della piazza di spaccio nell’episodio 1x07, Imma contro tutti, viene decapitata da un tossico innervosito dall’attesa della droga, e successivamente rimpiazzata con una statua nuova di zecca donata da Donna Imma. La madonna di Imma si staglia luminosa di blu durante il blitz notturno di una polizia anonima che non risolve nulla, e che anzi viene accolta da lanci di oggetti dalle finestre, a difesa dei traffici dei Savastano: la statua è caricata di un ambiguo valore ricattatorio, un do ut des che fa leva sul disagio e sulla percezione popolare del camorrista come benefattore. Ma come molte altre effigi e sculture religiose di cui è disseminata la serie, pesa la compresenza tra la fede e l’ideologia di morte. La luminosità fuori luogo della madonna la trasforma in un oggetto pop, con il suo bagliore blu che richiama, per l’appunto, le sirene spiegate delle macchine della polizia che si raccolgono impotenti proprio intorno a lei [fig. 5].

Nel buio della notte, nella distanza dei campi lunghissimi, la sottolineatura blu appare straniante, un eccesso della forma o una presenza misteriosa. In due momenti questo effetto è accostato alla figura di Gennaro Savastano. Nell’episodio 2x02, Lacrime e sangue, è notte, Genny e il padre si trovano in Germania e hanno appena seminato una pattuglia di polizia fuggendo a piedi da una tangenziale. Quando Don Pietro si sente male, Genny cerca una soluzione: la trova in un distributore di benzina che appare come un’oasi nel deserto nero della città straniera, dunque ostile. Il distributore occupa l’inquadratura in modo asimmetrico, con le file di lucine blu ai lati del tetto: Genny entra nell’inquadratura da destra, di spalle, fino ad apparire sovrastato dai due lati illuminati, che formano un vertice sbilenco sopra la sua testa [fig. 6]. Il disegno dell’inquadratura è preciso, quello che sta per succedere è chiaro; le luci esaltano l’imponenza di Genny e per un attimo lo fissano nell’immagine come un’icona intimidatoria.

Due episodi dopo Genny è a Roma intento a costruirsi la sua altra vita. La chiamata con cui gli viene proposto un incontro con Ciro, qui già nemico mortale, è ripresa dall’esterno della finestra del lussuoso appartamento; una forma bizzarra somigliante a un cuore compare dietro e poi a lato della testa di Genny che guarda fuori, e quando l’uomo sparisce dal quadro il fuoco si sposta su di essa: l’episodio si chiude ironicamente su questo simbolo di empatia distorto, che rimane a galleggiare nell’inquadratura fino al nero.

Non è un caso che a Salvatore Conte, il boss più enigmatico, sia riservato un uso particolarmente significante del colore. Rispetto alle altre pur spietate figure della serie, Conte possiede alcune caratteristiche che lo rendono una singolare manifestazione del male, prima fra tutte la sua performance religiosa. La compresenza di fede profonda e pratica criminale non è una novità, ma in Conte raggiunge le vette del fanatismo; anche la sua fisicità asciutta è molto diversa dai lineamenti teppisti di Ciro e dalla stazza minacciosa di Genny; al ritratto del personaggio si aggiunge nella seconda stagione la particolarità di una sessualità non conforme, ma rigorosamente nascosta. Come osserva Paolo Noto, i criminali di Gomorra non sono a loro agio negli spazi aperti: costantemente nascosti in rifugi mimetizzati dentro ai quartieri-alveare, invisibili dall’esterno e strabordanti opulenza all’interno. Uno degli spazi più significativi è il rifugio di Conte a Napoli, che tra prima e seconda stagione vede l’andirivieni di Ciro intento a cambiare le carte delle alleanze. La stanza è modesta, poco consona al potere di Conte; ma le immagini sono dominate dal monocromatismo blu della parete e della croce luminosa che campeggia sullo sfondo, e che conferiscono al luogo il peso della gerarchia (o del confessionale) [fig. 7]. La modulazione di luci e ombre sui volti e l’immobilità tipica di Conte non fanno che evidenziare il suo ruolo dominante; ma un’altra immagine segnata dal colore predice poi la fine della parabola di Don Salvatore. Dopo aver difeso a suo modo la reputazione di Nina, Conte è per la prima volta in preda a una sorta di senso di colpa: la stanza che straripa di effigi religiose e dei soliti mobili barocchi è letteralmente divisa in due dalla luce, azzurra a destra, rossa a sinistra, la prima apparentemente diffusa da un acquario, la seconda irradiante da sorgente ignota [fig. 8]. È una perfetta raffigurazione grafica dell’alterità di Conte, diviso a metà tra due colori dagli echi religiosi, in un’immagine che ricorda la tavola di un graphic novel.

Questo uso ricorrente dell’illuminazione e del colore è in Gomorra - La serie il principale strumento di punteggiatura con cui squarciare la rappresentazione, rimarcando l’assenza di prospettiva, richiamando un esterno inaccessibile, e sottolineando l’assurdo.

 

 

Bibliografia

M. Damilano, ‘Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore nell’inferno della camorra’, L’Espresso, 9 maggio 2016.

P. Noto, ‘1.2: Untrustworthy Spaces, Unfathomable Gangsters (‘Ti fidi di me?’, Stefano Sollima)’, The Italianist, 36, 2, pp. 298-303.

D. Renga, ‘Gomorra: La Serie: Beyond Realism’, The Italianist, 36, 2, 2016, pp. 287-292.

G. Rossini, Le serie TV, Il Mulino, Bologna 2016.


1 A cura di Paolo Carnera, attivo in molto cinema italiano dagli anni Novanta, e già con Sollima per Romanzo criminale e ACAB, e Michele D’Attanasio, che ha poi lavorato ad alcuni dei più interessanti casi cinematografici italiani degli ultimi anni, come In grazia di Dio, Lo chiamavano Jeeg Robot e Veloce come il vento.