3.1. Gomorra - La serie vs. Scampia. Il ‘senso del luogo’ e le frizioni tra produzione e territorio

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4 gennaio 2013. A pochi giorni dall’inizio delle riprese della prima stagione di Gomorra. La serie a Scampia, il politico locale Angelo Pisani, allora presidente dell’ottava municipalità di Napoli, convoca una conferenza stampa per annunciare ai giornalisti presenti di aver negato alla casa di produzione, Cattleya, l’autorizzazione per occupare il suolo pubblico e girare sul posto [fig. 1]. Come riporta il Corriere del Mezzogiorno, la serie è accusata (preventivamente) di enfatizzare «sempre e soltanto le cose negative» del quartiere, confermando il «marchio di infamia» che già libro e film hanno costruito, nonostante le «tante realtà positive di cui non si parla mai». Siamo nel mezzo di una campagna elettorale, e dopo il primo annuncio si scatena un feroce dibattito, tra lettere, interviste, articoli di giornale, prese di posizione pure del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Prima ancora di passare dalla scrittura al lavoro ‘sul campo’, così, i piani di Sky si inceppano, la macchina produttiva si deve fermare un paio di mesi. Ma è solo l’inizio di una frizione tra il team creativo e organizzativo della serie, da un lato, e il territorio messo in scena, dall’altro, destinata poi ad accompagnare, con fasi di maggiore e minore intensità (e visibilità), l’intero ciclo di vita della fiction, e persino oggi, dopo due stagioni, non ancora del tutto risolta.

Il rapporto tra un luogo reale (abitato, amministrato e vissuto) e la sua rappresentazione in una serie di finzione come Gomorra (che a sua volta poi trasfigura e rimanda a fatti e personaggi reali) è per forza di cose intricato, complesso, denso di implicazioni e conseguenze, di ricadute che investono la narrazione televisiva, di timori del territorio e della gente che lo popola. La ripresa in location napoletane non solo verosimili ma vere, come le iconiche Vele di Scampia, è un elemento importante per una fiction ad alto budget che vuole differenziarsi dalla produzione corrente e imporsi, in Italia e all’estero, come un titolo ‘di qualità’, scritto e realizzato con un’attenzione che si riserva a poche altre fiction. Come sottolinea lo stesso Roberto Saviano nella conferenza stampa di lancio della prima stagione, «girare a Scampia era fondamentale […], è protagonista, è un attore, non è una quinta che puoi ricostruire: è il Dna della serie. Quei palazzi, quelle scale, quel cielo sono protagonisti», almeno quanto le comparse e gli interpreti esordienti, tutti provenienti da quello stesso territorio. Lo skyline degradato che incombe sotto un cielo livido, i totali e le prospettive inedite su palazzi residenziali solitamente confinati alla rappresentazione ‘piatta’ dei telegiornali, il labirinto dei corridoi, dei terrazzi e dei passaggi interni alla struttura non può essere un semplice sfondo, ma vuole restituire un ‘senso del luogo’, implicito ma profondo, agganciato alle storie. Allo stesso tempo, questa veridicità tanto importante per la riuscita anche estetica della serie tv non è però priva di conseguenze, ma lascia tracce insieme fisiche e legate agli immaginari (rinnovati o perpetuati dal racconto) [figg. 2-3]. Ci sono insomma esternalità negative, ricadute vere o simboliche su quartieri e ampie parti di città che si ritrovano appiattiti su una sola dimensione, sulle faide di camorra e lo spaccio: in sostanza sul Male, maiuscolo. Rispetto al film di Garrone, che già aveva lasciato più di uno strascico, la serie tv amplifica le conseguenze, le prolunga nel tempo (con il dispiegarsi per anni della produzione di numerosi episodi e svariate stagioni, che occupa le location per periodi lunghi e ripetuti, come poi della messa in onda, tra prime visioni e repliche in chiaro) e le potenzia (per i maggiori impegni produttivi e investimenti, per il bacino ben più ampio di pubblico che è in grado di raccogliere nelle sue molteplici declinazioni). Non stupisce allora una polemica che nel discorso pubblico, locale e nazionale, diventa un ‘basso continuo’ della dinamica produttiva e distributiva della serie. E non stupiscono le azioni e le reazioni, le proposte e le controproposte, la dinamica negoziale con istituzioni ora conflittuali ora collaborative, i percorsi di allontanamento e successivo riavvicinamento, il ‘gioco delle parti’.

Come scrive in un romanzo-testimonianza Gianluca Arcopinto, l’organizzatore generale dei primi episodi di Gomorra, già pochi giorni dopo la conferenza stampa di Pisani, l’11 gennaio, i rappresentanti di Cattleya e Sky incontrano in un’assemblea pubblica i cittadini di Scampia, le istituzioni e associazioni, senza riuscire però a rassicurarli, a convincerli della bontà del progetto. E così comincia subito un lento processo di reciproca conoscenza con il quartiere, aiutato dalla film commission regionale (interessata alle ricadute economiche e occupazionali di un impegno produttivo così grande) e da alcuni comitati locali, consapevoli che accendere i riflettori sulla zona possa essere un’occasione di riscatto, e non soltanto di semplificazione e appiattimento di una realtà più stratificata. La mediazione con gli abitanti passa da occasioni formali e incontri informali, riunioni e sopralluoghi, cene e discussioni che coinvolgono anche il regista e showrunner Stefano Sollima, e che portano con una certa fatica all’inizio delle riprese, all’avvio della macchina produttiva [fig. 4]. Per poterlo fare, Cattleya e Sky si impegnano a ‘lasciare qualcosa in cambio’ al quartiere, in modo che il passaggio delle troupe non sia un evento incidentale ma l’inizio di qualcosa di stabile, di utile. Così, accanto all’indotto diretto del coinvolgimento di professionisti e maestranze locali in vari ruoli produttivi, vengono migliorati gli spazi degradati delle Vele, non soltanto in accordo alle necessità ed esigenze filmiche ma cercando di rimediare in modo duraturo al degrado di certe aree. E partono progetti dal respiro ancora più ampio, come il Laboratorio Mina, dedicato a Gelsomina Verde, giovanissima vittima di camorra cui è dedicato un episodio della prima stagione, che coinvolge i giovani del posto nella scrittura e poi nella realizzazione di alcuni cortometraggi, sospesi tra documentario e finzione (e poi mandati in onda in una serata speciale proprio sui canali Sky) [fig. 5]. Lo scontro iniziale si trasforma allora in una relazione più fruttuosa e responsabile tra industria televisiva e territorio.

Le polemiche di certo non si esauriscono, ma rivelano spesso il loro lato più strumentale, legato alla politica o alla visibilità personale. Con il lancio della prima stagione, sui giornali e nei social media si rinfocola il tema del poco rispetto dei luoghi messi in scena, intrecciato ai dubbi su una raffigurazione del male per una volta fatta senza sconti (e senza possibilità di scampo). Quando poi il primo blocco di episodi sta per finire, un imprenditore di 71 anni, Alfredo Giacometti, tappezza le strade di Napoli di manifesti e affissioni contro Sky e la serie, colpevoli di aver infangato ancora il «popolo napoletano»; e persino Diego Armando Maradona si scaglia contro la serie (Angelo Pisani è il suo avvocato) [fig. 6]. Intanto però il successo transmediale di Gomorra porta gli spettatori napoletani più giovani ad appropriarsi delle frasi fatte della serie, anche per scherzarci su. Le frizioni emergono di nuovo con la seconda stagione, ‘normalizzate’ però sia dal ripetersi di un copione già visto, sia dal rispecchiarsi di un territorio che si è già trovato raffigurato sullo schermo nella stagione prima, in un ‘rimbalzo’ tra rappresentazione della realtà e realtà di una rappresentazione che almeno in parte si auto-avvera. Il danno (di immagine) trova compensazione puntuale (e reale), lo sfruttamento retorico delle polemiche a fini politici o comunicativi ha un contrappeso diretto nella strumentalizzazione a fini promozionali da parte della stessa industria televisiva, seguendo la logica del ‘purché se ne parli’. E alla paura e diffidenza subentrano il desiderio e l’orgoglio del territorio, pronto per una terza e quarta stagione della serie, già in cantiere.

 

Bibliografia

G. Arcopinto, Un fiume in piena. Storie di un’altra Scampia, Roma, DeriveApprodi, 2014.

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M. Scaglioni, L. Barra (a cura di), Tutta un’altra fiction. La serialità pay in Italia e nel mondo, Roma, Carocci, 2013.