3.3. Interno barocco. Le ambientazioni di Gomorra - La serie tra opulenza e degrado

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Stagione 1, episodio 1. Entriamo nell’universo di Gomorra - La serie in auto, seguendo Ciro e Attilio percorrere le strade della periferia, procedere lungo tunnel spettralmente deserti per raggiungere uno dei tanti palazzoni tetri e fatiscenti che disegnano il profilo dei rioni napoletani. Il loro spostamento si incrocia con quello dell’inconsapevole Salvatore Conte, boss di un clan rivale, che attraversa quel reticolo di strade protetto da una scorta.

Fin dall’incipit della serie si impone allo sguardo il degradato paesaggio urbano che ne è lo scenario, disgregato in tentacolari brandelli i cui contorni si ridefiniscono costantemente secondo le esigenze dei traffici illegali: si aprono uno nell’altro, si serrano in barricate, si trasformano in rifugi o palesano impietosamente nascondigli in apparenza sicuri. Ben presto tuttavia il procedere della narrazione rivela come questa ambientazione sia solo il polo di una dialettica tra interno ed esterno. Punto di convergenza del movimento dei personaggi è, infatti, la casa della madre di Conte, dove egli si reca in visita: qui la facciata disseminata di graffiti e il livido grigiore dell’androne del palazzo si aprono su uno spazio domestico inaspettatamente barocco, con tappezzerie e tessuti damascati, finti vasi antichi, brocche di cristallo, cornici decorate con motivi vistosi, vetrinette con ceramiche, fiori e fotografie [fig. 1]. Uno stile che accomuna le abitazioni dei protagonisti della serie, in un contesto in cui il loro ruolo nei giochi di potere dei clan camorristici è direttamente proporzionale alla pacchiana sontuosità della casa in cui risiedono.

L’appartamento della madre del boss è disseminato di statue e immagini religiose raffiguranti Cristo, la Madonna e Padre Pio. Il sovrabbondante apparato devozionale, che va a costituire un altro tassello del mosaico di ostentata opulenza degli arredi, si fa espressione di uno scenario in cui la religione rappresenta un imprescindibile orizzonte di riferimento. A tale sovrabbondanza di simboli sacri corrisponde il rigoroso rispetto della ritualità gestuale propria dei credenti, come la preghiera prima dei pasti. Salvatore Conte non la ometterà in nessuna occasione, accompagnandola nel suo privato, come si vedrà nel corso della serie, a un’intima e personalissima riappropriazione degli aspetti più dolenti e autopunitivi della spiritualità cristiana.

Nell’affollamento di orpelli e suppellettili dell’abitazione della madre del boss spicca un televisore di grandi dimensioni, circondato da una cornice dorata e posto al centro della parete, non lontano da una statua della Madonna col Cristo morto. La dimensione religiosa si intreccia del resto senza soluzione di continuità con quella terrena: nel momento in cui Conte e la madre recitano la preghiera, l’angolazione dell’inquadratura li colloca esattamente di fronte allo schermo, che ne sovrasta e quasi benedice il gesto [fig. 2]. Come la fede, nella sua profana sacralità il mezzo televisivo è veicolo di un immaginario che si insinua a fondo nel quotidiano: «Dovresti partecipare a un programma di cucina alla televisione» è per il boss il miglior complimento che si possa fare a un piatto ben riuscito.

Con un espediente che ricorrerà nel resto della serie, sullo schermo passano le immagini di un telegiornale, come a sottolineare che le azioni dei personaggi hanno un’influenza determinante sulla cronaca, locale e non solo. Se tramite il televisore fanno il loro ingresso nello spazio domestico le notizie di ciò che succede all’esterno, la forte eterogeneità tra i due ambiti non ne implica dunque la netta separazione. Anzi, essi sono strettamente collegati, come mostra la rapida e devastante invasione della casa da parte delle fiamme attizzate da Ciro e Attilio sul pianerottolo [fig. 3]. Il fuoco si insinua fin dentro l’appartamento, divorandone gli arredi e comunicando, come scopriremo poco dopo, un chiaro messaggio a Conte: il boss farebbe bene a ritirarsi dalla gara d’appalto che il rivale Pietro Savastano sta truccando.

L’abitazione dei Savastano è una risposta alla necessità dei camorristi di difendere la propria residenza per difendere se stessi [fig. 4]. La casa è circondata da un muro alto come i due piani dell’edificio, che la separa dalla corona di palazzoni che la attornia e la sovrasta. Il grigio dei caseggiati popolari sfuma nel rosa antico della facciata della villa, mentre al rigore geometrico dei primi fanno da contrappunto, nella seconda, le forme ondulate di un dispiegamento di colonne, archi e merlature.

Il fasto stucchevole dell’esterno non è tuttavia che una vaga anticipazione dell’arrogante opulenza degli interni. La residenza dei Savastano porta al parossismo le caratteristiche già intuite a casa della madre di Salvatore Conte: gli ampi spazi sono dominati da stucchi, marmi e dettagli dorati, gremiti di mobili antichi, lampadari di cristallo, balaustre con colonne, specchi incorniciati, sedie imbottite, lussuosi soprammobili. Nello studio del boss spicca su tutto un ritratto pretenziosamente ‘nobiliare’, un ‘gruppo di famiglia’ posticcio e altisonante che ambisce addirittura a dettare le regole compositive dello spazio occupato dai personaggi, e con esso delle loro relazioni [fig. 5]: durante la riunione con gli imprenditori per manovrare l’appalto, donna Imma si accosta al marito assumendo la stessa posizione raffigurata nel quadro, mentre dall’altro lato Genny, seduto in posizione scomposta, fa da elemento dissonante – come effettivamente sarà sempre più nel corso della serie. Lo spazio domestico organizza i rituali della celebrazione dei valori della famiglia, per i Savastano intesa innanzitutto come nucleo di comando. Non è un caso se nell’abitazione del boss le immagini devozionali lasciano spazio alle immagini del potere, incarnate da figure di animali feroci. Come una sorta di simbolo di famiglia, tigri rappresentate nelle loro pose più aggressive popolano la villa, tra statue, quadri e soprammobili.

Come già nella casa del rivale, nell’ampio salone dei Savastano uno schermo enorme e incorniciato domina sulla famiglia riunita per la cena, con le figure di don Pietro, donna Imma e Genny che quasi si perdono nell’abbacinante kitsch che li circonda [fig. 6]. Le immagini del notiziario fanno entrare nello spazio domestico l’aspetto più violento delle lotte di camorra, a integrazione del lato affaristico che solo poco prima vi aveva trovato sede. Eppure la cronaca sembra avere un interesse decisamente minore delle trattative economiche: donna Imma cattura l’attenzione del marito parlando d’altro, mentre il figlio, non ancora realmente interessato agli affari di famiglia, dà le spalle allo schermo.

Anche nell’apparente impenetrabilità del bunker dorato dei Savastano l’esterno è una minaccia costante: ne sono prova i monitor collegati alle telecamere di sorveglianza, che sanciscono l’importanza del controllo dei possibili attacchi provenienti da fuori. Lo stato di allerta permanente è riaffermato dal fatto che la videosorveglianza è una pratica comune anche nelle case di figure meno importanti, come in quella di Attilio, un ‘soldato semplice’ nel cui soggiorno uno schermo permette di tenere sempre monitorati i possibili punti di accesso [fig. 7], a ribadire che l’ambiente domestico può essere un rifugio sicuro solo se adeguatamente protetto: una fortezza più che una casa.

Per quanto fortificate ne siano le mura e per quanto serrati i controlli, anche nell’abitazione dei Savastano può insinuarsi il pericolo. Don Pietro viene infatti a sapere che nel divano che ha appena acquistato sono nascoste delle microspie, minaccia non meno temibile del fuoco. Essa viene però arginata per tempo: fingendone la scomodità, i Savastano buttano via il divano, lo espellono dal loro spazio abitativo ristabilendo l’equilibrio messo a rischio.

Il mobile viene scaricato in mezzo ai palazzoni, in quelle strisce di terra di nessuno in cui tra fili d’erba gialla si ammassano cumuli di immondizia. Con i suoi decori appariscenti, i dettagli rossi e oro, il telaio di legno intagliato, esso crea un’improbabile macchia di colore nel grigio delle facciate disfatte, instaurando un cortocircuito che sancisce senza appello l’impossibile separazione tra interno ed esterno: il potere opulento fino al cattivo gusto di cui gli oggetti sono simbolo ha il proprio rovescio della medaglia in un insanabile degrado urbano e morale. Anche laddove dovrebbe esserci innocenza: con una sconcertante capacità di riappropriazione degli oggetti, i ragazzini fanno del divano un nascondiglio strategico nel loro gioco – che in fondo ha anche il sapore di un’esercitazione – a fare da sentinelle dello spaccio [fig. 8].

 

 

Bibliografia

M. Masneri, ‘Interno Criminale’, Rivista Studio, 12 giugno 2014, <http://www.rivistastudio.com/standard/interno-criminale-gomorra/> [accessed 21 january 2017].

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R. Saviano, Gomorra, Milano, Mondadori, 2006.

M. Scaglioni, L. Barra (a cura di), Tutta un’altra fiction. La serialità pay in Italia e nel mondo. Il modello Sky, Roma, Carocci, 2013.