Stagione 1, episodio 1. Entriamo nell’universo di Gomorra - La serie in auto, seguendo Ciro e Attilio percorrere le strade della periferia, procedere lungo tunnel spettralmente deserti per raggiungere uno dei tanti palazzoni tetri e fatiscenti che disegnano il profilo dei rioni napoletani. Il loro spostamento si incrocia con quello dell’inconsapevole Salvatore Conte, boss di un clan rivale, che attraversa quel reticolo di strade protetto da una scorta.

Fin dall’incipit della serie si impone allo sguardo il degradato paesaggio urbano che ne è lo scenario, disgregato in tentacolari brandelli i cui contorni si ridefiniscono costantemente secondo le esigenze dei traffici illegali: si aprono uno nell’altro, si serrano in barricate, si trasformano in rifugi o palesano impietosamente nascondigli in apparenza sicuri. Ben presto tuttavia il procedere della narrazione rivela come questa ambientazione sia solo il polo di una dialettica tra interno ed esterno. Punto di convergenza del movimento dei personaggi è, infatti, la casa della madre di Conte, dove egli si reca in visita: qui la facciata disseminata di graffiti e il livido grigiore dell’androne del palazzo si aprono su uno spazio domestico inaspettatamente barocco, con tappezzerie e tessuti damascati, finti vasi antichi, brocche di cristallo, cornici decorate con motivi vistosi, vetrinette con ceramiche, fiori e fotografie [fig. 1]. Uno stile che accomuna le abitazioni dei protagonisti della serie, in un contesto in cui il loro ruolo nei giochi di potere dei clan camorristici è direttamente proporzionale alla pacchiana sontuosità della casa in cui risiedono.

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"Interferenze. Poeti d'oggi e arti della visione" si propone come uno spazio di analisi dei rapporti tra visualità e verbalità nelle opere di poetesse e poeti italiani delle generazioni più recenti. Un esperimento condotto con l’immagine ‘a fronte’, attraverso un confronto diretto tra la pagina e l’opera visiva che l’ha ispirata. Costituendosi come ‘serie’ di contributi, "Interferenze" si prefigge un duplice obiettivo: sottolineare la centralità di questi temi in alcune esperienze della migliore poesia italiana contemporanea e, insieme, offrire ai lettori di «Arabeschi» un sia pur essenziale panorama delle voci che animano l’attuale scena della scrittura in versi, implicitamente evidenziandone la varietà e ricchezza di esiti e toni.

 

 

II.

La raccolta Il rovescio del dolore di Luigi Socci presenta in copertina un riferimento iconografico spassoso quanto irriverente: la caffettiera per masochisti ideata dal grafico e illustratore marsigliese Jacques Carelman, pubblicata in quel Catalogue d'objets introuvables che è uno dei volumi più rappresentativi del Surrealismo postbellico. Perché questa scelta?

È probabile che Socci, con l'amara e risentita ironia che caratterizza il suo lavoro, abbia inteso servirsi di un'immagine che sintetizza in modo esemplare una forma tra le più comuni di ‘dolore alla rovescia’: quella del masochismo, in questo caso simboleggiato da una caffettiera ustionante.[2] Cos'è in fondo il masochismo, se non una delle manifestazioni archetipiche della nostra società odierna, allucinata e ansiosa di infliggere (e infliggersi) dolore e punizione? Di più, che cos'è il teatrale e sensuale misticismo barocco, irresistibilmente affascinante per molti poeti contemporanei – penso, in particolare, all'opera di autori come Vito Bonito e Rosaria Lo Russo – se non un fenomeno di plateale godimento masochistico, che molto ha a che spartire con la narcisistica egolatria dei tempi presenti? Letto in quest'ottica, quello di Socci – tratto da una sezione de Il rovescio del dolore intitolata Berniniane – è un testo che crea, grazie al referente figurativo, un fulminante corto-circuito tra due poetiche dell'estasi per molti versi sintoniche: quella espressa da Bernini attraverso la raffigurazione della Santa barocca per eccellenza e quella messa a nudo dal poeta-performer anconetano giocando, se non sulle spinte autodistruttive, sulle neo-barocche tendenze masochistiche della contemporaneità.

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