Interferenze #02 - Poetiche dell'estasi masochistica (tra due età barocche)

di

     
Categorie



Questa pagina fa parte di:

"Interferenze. Poeti d'oggi e arti della visione" si propone come uno spazio di analisi dei rapporti tra visualità e verbalità nelle opere di poetesse e poeti italiani delle generazioni più recenti. Un esperimento condotto con l’immagine ‘a fronte’, attraverso un confronto diretto tra la pagina e l’opera visiva che l’ha ispirata. Costituendosi come ‘serie’ di contributi, "Interferenze" si prefigge un duplice obiettivo: sottolineare la centralità di questi temi in alcune esperienze della migliore poesia italiana contemporanea e, insieme, offrire ai lettori di «Arabeschi» un sia pur essenziale panorama delle voci che animano l’attuale scena della scrittura in versi, implicitamente evidenziandone la varietà e ricchezza di esiti e toni.

 

I.
Santa Teresa d'Avila trafitta da una freccia
un po' ne vuole ancora
non vuole sopportare che si smetta.
È vestita di scogli
sfaccettature angoli
è becchime per angeli.
La veste monacale
difesa pretestuosa
a pieghe in pietra dura
oppone per proforma resistenza
all'oro incandescente
di quella punta.
 
Esce dalla metafora il barocco
per un perpetuo istante
(si illumina a gettone)
mette in mostra la faccia in questo luogo
abbaiante.
 
Risuonano gli applausi
di colpi nelle mani
dentro Santa Maria della Vittoria
fondata per gloria di guerra terrena
di papi armati come soldati.
 
Mistici marmi policromi
motivi militari
scudi spastici psichedelici
sul pavimento memento mori.
 
I committenti sono spettatori
di un altorilievo dell'ultima cena
con un Giuda
pericolante fuori dal riquadro.
 
Luigi Socci, Il rovescio del dolore (poesie 1990-2004)[1]

 

II.

La raccolta Il rovescio del dolore di Luigi Socci presenta in copertina un riferimento iconografico spassoso quanto irriverente: la caffettiera per masochisti ideata dal grafico e illustratore marsigliese Jacques Carelman, pubblicata in quel Catalogue d'objets introuvables che è uno dei volumi più rappresentativi del Surrealismo postbellico. Perché questa scelta?

È probabile che Socci, con l'amara e risentita ironia che caratterizza il suo lavoro, abbia inteso servirsi di un'immagine che sintetizza in modo esemplare una forma tra le più comuni di ‘dolore alla rovescia’: quella del masochismo, in questo caso simboleggiato da una caffettiera ustionante.[2] Cos'è in fondo il masochismo, se non una delle manifestazioni archetipiche della nostra società odierna, allucinata e ansiosa di infliggere (e infliggersi) dolore e punizione? Di più, che cos'è il teatrale e sensuale misticismo barocco, irresistibilmente affascinante per molti poeti contemporanei – penso, in particolare, all'opera di autori come Vito Bonito e Rosaria Lo Russo – se non un fenomeno di plateale godimento masochistico, che molto ha a che spartire con la narcisistica egolatria dei tempi presenti? Letto in quest'ottica, quello di Socci – tratto da una sezione de Il rovescio del dolore intitolata Berniniane – è un testo che crea, grazie al referente figurativo, un fulminante corto-circuito tra due poetiche dell'estasi per molti versi sintoniche: quella espressa da Bernini attraverso la raffigurazione della Santa barocca per eccellenza e quella messa a nudo dal poeta-performer anconetano giocando, se non sulle spinte autodistruttive, sulle neo-barocche tendenze masochistiche della contemporaneità.

Il riferimento iconografico è notissimo: la Cappella Cornaro a Santa Maria della Vittoria, «incarnazione suprema dello spirito barocco», come la definì Erwin Panofksy.[3] Qui Teresa, languidamente distesa sopra una roccia, viene irrorata da un'incessante pioggia di luce d'oro, segno del suo rapporto privilegiato col divino, mentre un angelo le trapassa le carni con una freccia. Il fatto che la performance masochistica inscenata da Bernini sia tutta giocata sull'infinita ripetizione del medesimo evento – nel caso specifico, il fenomeno della transverberazione, l'esperienza di una ‘trafittura’ operata da un intervento soprannaturale che causa sul corpo ferite reali – è ciò che il poeta sottolinea nei versi d'esordio del componimento: «Santa Teresa d'Avila trafitta da una freccia / un po' ne vuole ancora / non vuole sopportare che si smetta».

L'andamento piano, fortemente discorsivo ma ritmicamente determinato di questi versi incipitari (con il primo verso composto da due settenari, cui seguono un terzo settenario e un endecasillabo, movimentati dalla ripetizione di «vuole» e dall'imperfetto rimare interno di «trafitta/smetta»), insieme al ricorso a un lessico «esatto e pungente» favoriscono, come nota Massimo Raffaeli, «una vera e propria mobilitazione percettiva»[4]. Attraverso le parole di Socci la celebre opera di Bernini si anima, imponendosi con forza ai nostri occhi, non come un simbolo sacro da venerare ma come un campo di forze su cui insistono due pulsioni solo apparentemente opposte: il desiderio e quanto è indesiderabile per definizione, la sofferenza.[5] Con tipico meccanismo masochistico, ciò che la Santa non può sopportare non è il dolore, che coincide con il gaudio procuratole dalla ferita celestiale e letificante, bensì la sua interruzione. La contrapposizione fra aspirazione al tormento e suo rifiuto si rivela dunque sin da subito falsa, artificiosa, come evidenziano in un crescendo di algida, straniata ironia i versi successivi. Scolpita nel gelido marmo, Teresa è «vestita di scogli», il suo abito non cade in morbide pieghe ma è sfaccettato, franto in una pluralità di angoli che sembrano voler sfidare le punte acuminate delle armi angeliche – da notare la paronomasia «angoli/angeli», oltre al bisticcio anagrammatico ‘ogli’/’goli’ – esattamente come le architetture militari del Rinascimento maturo si ergevano di sbieco, con un profilo sfuggente e frastagliato, per sottrarsi alle artiglierie nemiche. Tuttavia la sua «veste monacale» «a pieghe in pietra dura» non offre che una «difesa pretestuosa», opponendo alla freccia di fuoco vibrata dall'angelo una resistenza che è solo «proforma».

L'allusione erotica assolutamente esplicita quanto beffarda contenuta nei versi 11-12 («all'oro incandescente / di quella punta») riconduce a uno degli aspetti decisivi del capolavoro berniniano, ovvero la componente sensuale e sessuale connaturata al momento supremo dell'estasi:

La bocca socchiusa dà il senso dell'agitazione, gli occhi arrovesciati trasmettono la visione interiore, il drappeggio svolazzante dell'abito crea un effetto di ondeggiamento, di moto, le linee delle vesti, spezzate e irregolari, hanno fatto parlare di “crepitio” delle vesti, e nel crepitio sentiamo ancora l'immagine della fiamma d'amore. Al nostro sguardo moderno, certo molto più abituato di quello dell'epoca barocca a riconoscere e usare l'immagine di una donna in amore, il gruppo formato dall'Angelo-Cupido sorridente armato del dardo infuocato con la Santa “dolce-languente” semisdraiata su una nuvola, ha certo molte più possibilità di essere assimilato a un amplesso che a un soggetto religioso.[6]

È questo un punto cruciale per comprendere la natura dello sguardo che Socci posa sull'opera berniniana: non solo, ma per capire la contiguità del secolo spagnolo con il nostro. A tal proposito, due elementi almeno meritano di essere presi in considerazione, entrambi legati alle modalità di rappresentazione delle vicende di Teresa ed entrambi rilevanti per cogliere la natura del suo esibirsi masochistico. Come osserva Erwin Panofsky,

[...] la sofferenza arrecata dalla freccia dorata che ferisce il cuore della santa si fonde di fatto con il godimento supremo dell'unione di Cristo, cosicché la beatitudine spirituale sembra mescolarsi agli spasimi di un'estasi quasi erotica. L'esperienza, caratteristica di molti mistici, è stata spesso descritta nella letteratura religiosa (e in particolare da santa Teresa stessa), ma è stato lo stile barocco a esprimerla in forma visiva.[7]

Hans Belting ha scritto pagine illuminanti sull'immagine come mezzo attraverso cui il potere plasma la coscienza collettiva, esercitando un controllo dello spazio sociale e religioso. Nel caso della Teresa berniniana, la «forma visiva» che lo «stile barocco» esprime è il prodotto diretto dello stravolgimento in senso autoritario e paternalistico dell'esperienza mistica femminile: paternalistico perché completamente manipolato dagli orientamenti dottrinari del clero maschile; autoritario perché funzionale a una logica di dominio che impiega i mezzi visivi con precise finalità socio-politiche.[8] Come dire: masochista è il Barocco, non Teresa. Socci ne è ben consapevole, e non a caso nella seconda parte del testo, tramite un'energica deflagrazione uditiva (i «colpi nelle mani» che «risuonano»), sposta l'attenzione dal particolare (la figura della Santa) al contesto, ovvero l'intera Cappella Cornaro, esemplare prodotto figurativo dello «stile barocco». Per il «perpetuo istante» in cui una luce a gettoni illumina l'intero ambiente, el siglo de oro «mette in mostra la faccia», rivela cioè il suo volto più spettacolare ai plaudenti turisti che affollano la chiesa romana. Ma rivela anche, al poeta, la propria natura fortemente repressiva e sanguinaria. Ciò che la Chiesa di Roma mostra attraverso la monumentale scenografia di quei «marmi» e di quegli «scudi», deformi («spastici») e per questo tanto più suadenti e ipnotici («psichedelici»), è anche la propria secolare storia di ambizioni, violenze belliche («fondata per gloria di guerra terrena / di papi armati come soldati»; «motivi militari») e tribunali delle coscienze («sul pavimento memento mori»).[9] Il tutto reso attraverso una funambolica spirale fonetica che, sprofondando la pronuncia in vertigini allitteranti – l'ipnotico inanellarsi delle sillabe mi/ma/mo/me e ti/ta/to, intrecciate con un martellare di sibilanti – fa procedere il senso sulla corda sospesa di un'ironia senza riso.

Vi è poi un secondo elemento da considerare, legato ancora una volta al nodo della rappresentazione e alla natura peculiare dell'impulso masochistico. Come osserva ancora Panofsky, il Seicento introduce una frattura fondamentale nella storia dello spirito, con l'io che inizia a prender coscienza di sé medesimo, ovvero impara, per dirla con un sintagma di Valerio Magrelli, a «vedersi vedersi»:

Il sentire dell'uomo barocco (almeno nell'opera dei grandi maestri) è del tutto sincero, solo che non occupa per intero l'anima. Il soggetto non solo sente, ma è anche consapevole di quello che sente. Se il cuore palpita di emozione, la coscienza resta distaccata e “sa”.[10]

Proprio in virtù di questo scenario dove non esiste più un vero assoluto, ma solo un assoluto di maniera – al massimo, onestamente dissimulato – la metafora barocca, figura topica della cultura seicentesca, è sempre destinata a tracimare, a ritrovarsi ‘fuori luogo’ («Esce dalla metafora il barocco», endecasillabo ben battuto e scandito a fior di labbra e fuori dai denti). Spesso suo malgrado, il soggetto inizia a presentare, più che una duplicità, un vero e proprio strabismo: uscendo da sé, si guarda agire, un occhio rivolto all'interno e l'altro all'esterno, per vedere l'effetto che fa. Socci lo mostra a chiare lettere nei versi finali, dove l'impianto teatrale dell'architettura della Cappella emerge in tutta evidenza, con i committenti in veste di attori/spettatori che si affacciano dal palco[11], mentre un Giuda commediante, con la sua acrobatica rottura del recinto illusorio che perimetra lo spazio di finzione («pericolante fuori dal riquadro»), non ha altra funzione che quella di far debordare, precipitandola, la metafora.

La Cappella è, dunque, un palcoscenico attraverso cui l'idea controriformata di santità si mette in scena, una quinta che vale come un angolo di paradiso post-tridentino. Socci conosce bene questo gaudioso tormento della recita, della posa, la necessità ma più spesso l'obbligo di esibire ogni piega di un Sé esploso e frammentario cui non resta che un solo agente identitario: la percezione del proprio (rovesciato) dolore, se il ‘rovescio del dolore’ non è affatto il piacere, come il senso comune suggerirebbe, bensì, secondo la lezione gaddiana, «una sottile, e non meno straziante, cognizione del dolore stesso».[12] Per questo, il poeta non fatica a leggere nei marmi di Santa Maria della Vittoria un archetipo di quella società dello spettacolo che è al centro di molti dei suoi testi, nei quali la tristezza intrinseca e rivelatrice dei luoghi e degli spazi preposti alla produzione di divertimento occupa un posto decisivo, dal teatro allo spettacolo circense, dal carnevale, «arte / dello spasso»,[13] agli ameni sfondi balneari.

La sua Santa Teresa appare allora come una figura paradigmatica di quella modernità, inaugurata dalla seicentesca dittatura dell'emozione, in cui ogni vita diventa un precipitato di conflitti tra impulsi divergenti, ogni luogo un teatro di (gaudente) martirio talmente esasperato ed esibito da finire per rovesciare il dolore nel suo comico contrario. Del resto, non è forse vero che il Bernini celebratore della mistica controriformata è lo stesso artista che, con graffiante ironia, disegnava caricature spassose e irriverenti per sbeffeggiare i potenti della Curia Pontificia? La componente ironica, parodistico-beffarda che contraddistingue gran parte della scrittura di Socci non lascia scampo, trascinando il lettore nel gorgo della sua logica freddamente oltranzistica, portando alla luce la natura rovesciata di ciò che il dolore è divenuto da quando «la coscienza resta distaccata e “sa”»: una terribile, estatica e scenografica cognizione di sé medesimo.

III.

Luigi Socci (1966), anconetano, è poeta e performer; riveste il ruolo di Direttore Artistico del Festival di poesia “La punta della lingua”, organizzato nelle Marche in collaborazione con l’associazione culturale Nie Wiem; da anni inoltre anima prestigiosi poetry slams nazionali e internazionali. Ha pubblicato testi poetici su numerose riviste cartacee ed elettroniche, è inoltre presente in varie antologie e nell'VIII Quaderno italiano di poesia contemporanea (2004). Il rovescio del dolore (2013) è il suo primo libro, preceduto dalla plaquette Freddo da palco, pubblicata dalle edizioni d'if nel 2009.


1 L. Socci, Il rovescio del dolore (poesie 1990-2004), con una nota di Massimo Raffaeli, Ancona, Italic Pequod, 2013, pp. 109-110.

2 «Così è la scrittura di Luigi Socci», nota Andrea Cortellessa, «masochista perché nel rovesciare il fiotto bruciante dell’esistere, ben lungi dal liberarsene, se lo versa ogni volta addosso» (A. Cortellessa, ‘Il rovescio del dolore’, Alfalibri, supplemento di Alfabeta 2, iv, 32, settembre-ottobre 2013, p. 12).

3 E. Panofsky, Tre saggi sullo stile. Il barocco, il cinema, la Rolls-Royce, a cura di Irving Lavin, ritratto biografico di William S. Heckscher, Milano, Electa, 1996, p. 58.

4 M. Raffaeli, Nota a Luigi Socci, Il rovescio del dolore, p. 135.

5 Le sei sezioni che compongono Il rovescio del dolore evocano altrettanti scenari di tormento: su questo si veda M. Daraio, ‘ “Il ribaltone della realtà reale”. Luigi Socci e i rovesciamenti parodici’, In realtà, la poesia, 2014, p. 12, disponibile online alla pagina <http://www.inrealtalapoesia.com/il-ribaltone-della-realta-reale-luigi-socci-e-rovesciamenti-parodici/ > (accessed 23 november 2014).

6 E. Tamburini, Gian Lorenzo Bernini e il teatro dell'Arte, Firenze, Le Lettere, 2012, pp. 28-29. Come noto sono numerose le letture in chiave psicanalitica sia del piacere sessuale masochistico (ivi compresa quella di Gilles Deleuze nella sua Présentation de Sacher-Masoch), sia dell'esperienza mistica di Santa Teresa (penso in particolare al seminario Encore di Jacques Lacan e al saggio di Julia Kristeva La passion selon Thérèse d'Avila che si legge online alla pagina <http://www.kristeva.fr/passion.html>).

7 E. Panofsky, Tre saggi sullo stile, p. 58.

8 Si vedano gli studi di Antonio Prosperi sul modo in cui lo sguardo maschile ha condizionato, nel Cinque-Seicento, la rappresentazione delle esperienze mistiche femminili e i rilievi dello storico spagnolo José Antonio Maravall sul Barocco come «cultura dell'immagine sensibile» che utilizzava i mezzi figurativi a fini di propaganda: cfr., rispettivamente, A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi, 1996 e J.A. Maravall, La cultura del Barocco. Analisi di una struttura storica, Bologna, Il Mulino, 1985.

9 Il riferimento è al già citato volume Tribunali delle coscienze di Adriano Prosperi, magistrale ricostruzione di come, tra Cinque e Seicento, l'egemonia cattolica si rinsaldò in Italia tra repressione, persuasione e controllo capillare delle coscienze, con la minaccia escatologica sempre in primo piano.

10 E. Panofsky, Tre saggi sullo stile, p. 77.

11 Si tratta degli aristocratici membri della famiglia Corner, tra i quali il committente dell'opera, il cardinale Federico. L'«altorilievo» cui fa riferimento il poeta è il «gruppo semiplastico» di cui parla Panofksy, «per metà rilievo per metà quadro», così realizzato al fine di articolare una tensione fra superficie bidimensionale e spazio tridimensionale che acuisse gli effetti soggettivi (E. Panofsky, Tre saggi sullo stile, p. 58).

12 M. Raffaeli, Nota a L. Socci, Il rovescio del dolore, p. 136. Come Raffaeli ricorda, Socci ha dedicato a Gadda la propria tesi di laurea.

13 L. Socci, Il rovescio del dolore, p. 106.