1.1. Catullo e Funi: Ad Lesbiam
Franco Riva è l'autore, editore e tipografo del libro dedicato alla poesia di Catullo per la collana “I Poeti Illustrati” delle Editiones Dominicae. Non è – come ci si aspetterebbe secondo la dizione dei codici antichi – il Catulli Veronensis Liber, che contiene tutta la produzione di Catullo: Riva decide di raccogliere e pubblicare solo le poesie di Catullo dedicate a Lesbia che preferisce. Lo si scopre leggendo il colophon posto in fondo, a sigillo del testo, che come sempre per le Editiones Dominicae contiene notizie essenziali per comprendere l'operazione editoriale proposta dal libro. È di Riva, infatti, la selezione dei 23 carmi scelti tra i 113 che i codici antichi ci hanno tramandato, sua la sequenza con la quale si susseguono, così come sua è la decisione di porre all’inizio della raccolta Vivamus, mea Lesbia, atque amemus, con cui ha inizio la narrazione di una grande storia d’amore e di passione che vedrà la conclusione con il carme 74 (Siqua recordanti benefacta priora voluptas), posto in fondo al libro, in cui Catullo prega gli dei perché gli concedano di rompere con l’amata. Non c’è nessuna mediazione. Il testo è stampato in latino senza traduzione. Sono le poesie più conosciute dal pubblico e più amate da Riva, lette e rilette e ripetute a memoria come, ad esempio, Passer, deliciae meae puellae, Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris? oppure Lesbia mi dicit semper male nec tacet umquam.
Una cura particolarissima è data all’impaginazione del testo, alla qualità tipografica e al rapporto tra testo e immagini. Sulla copertina grigia c’è la scritta maiuscola «Ad Lesbiam», stampata in rosso mattone come la marca tipografica con il gatto e la croce di Lorena che si trova in fondo al libro. Dopo il frontespizio è inserita la prima acquaforte di Achille Funi (fig. 1). Ritrae una donna nuda, seduta, giovane e bella che appoggia la mano su una brocca, le gambe accavallate, un piede in primo piano. Il viso della donna è pensoso. Il tratto che forma il disegno è deciso, sottile, quasi nervoso, tanto che, nell’addensarsi delle linee, riesce a creare il buio della notte insieme a una sensazione d’intimità. Girando la pagina, se ne trova a sinistra, dietro al disegno, come ovvio, una bianca; sulla destra invece è la poesia Vivamus, mea Lesbia, stampata tutto in maiuscolo. Non compare il numero di pagina. Il carme è trattato come una figura, e anche in questo caso, infatti, il retro della pagina rimane bianco. L’immagine di donna creata da Funi e il nome di Lesbia evocato da Catullo nella poesia hanno la stessa funzione: preparano alla lettura del testo e forniscono al lettore tutte le suggestioni necessarie per addentrarsi nel volume.
Dalla pagina 15, che presenta due poesie poste una sotto l’altra, inizia la numerazione del libro. L’impaginazione corrisponde alla vivacità del metro e della poesia di Catullo. Nulla è lasciato al caso. Sulle pagine 16 e 17 sono stampati a tutta pagina due carmi della stessa lunghezza. Le coppie di pagine che seguono (18-19 e 20-21) presentano entrambe sulla sinistra due poesie brevi accompagnate sulla destra da una più lunga. Alla pagina 22 si susseguono tre brevi componimenti sulla sinistra e quattro sulla destra, creando un effetto di straordinaria leggerezza e vivacità. In questo caso, oltre a stampare la prima parola maiuscola di ogni componimento di cui la prima lettera sporge rispetto all’impaginato, come era successo per le altre poesie, anche il primo verso del secondo distico sporge rispetto al testo, proprio per segnalare l’uso di un nuovo metro anche a livello grafico.
A pagina 25 compare la seconda acquaforte di Funi (fig. 2). Rappresenta una donna che dorme, seduta su un masso, all’aperto. Si distinguono dei fiori sullo sfondo e uno spicchio di luna nel cielo. Il viso è dolce e assopito. Segue la poesia di commiato a Lesbia con cui si conclude il liber di Franco Riva dedicato a Catullo.
Bibliografia
Catulli Veronensis ad Lesbiam, con due acqueforti di Achille Funi, Verona, Editiones Dominicae, Capodanno 1965.
N. Colombo (a cura di), Achille Funi. Mitologie del quotidiano, Milano, Mondadori, 2009.
1.2. Lucrezio e Saetti: De rerum natura
Leggere il dodicesimo poeta illustrato nelle edizioni di Franco Riva si rivela un’esperienza sinestetica. Leggere in questo caso significa, infatti, toccare con le mani la carta a tino, ruvida e irregolare, che costituisce le pagine del libro, rendendosi conto che gli stessi fogli sono serviti come supporto sia per il testo che per le immagini, entrambi impressi dal torchio con inchiostro nero. La mano percepisce il solco creato sul foglio dai caratteri Garamond, del tutto simile ai solchi prodotti dai segni che compongono le acqueforti di Bruno Saetti. C’è un’intima corrispondenza tra le lettere nere su sfondo bianco del testo e il tratto sicuro e calligrafico che dà forma ai due disegni del libro, una vicinanza formale che permette al lettore di ricercare altri richiami, perfino tematici e di senso, proposti dalla giustapposizione di testo e immagini.
Di Lucrezio è stampata una scelta di brani dal De rerum natura, tratti dall'antologia curata da Enzio Cetrangolo Ho vegliato le notti serene apparsa nel 1950 per Sansoni. Ma le modifiche sono numerose e fanno del libro di Riva un’opera nuova e non una semplice ristampa. Il libro si apre con cinque versi di Lucrezio - una dichiarazione di poetica - gli unici in latino e in corsivo a significare l’enunciazione autentica della voce del poeta. Dalla pagina successiva e a seguire si succedono brani in italiano, dai diversi contenuti, scanditi solo dal capolettera della prima parola di grandezza doppia rispetto al resto. Sarà l’indice, posto in fondo al libro, a fornire al lettore una mappa svelando il luogo di origine di ogni brano (libro e verso dell’opera di Lucrezio) accompagnato da un titolo: “La Gloria”, “Venere”, “La Luce”, “La morte”, “L’umanità”, “Forse c’è contro di noi una forza”, “La Noia”, “Niente assomiglia a se stesso”. Tutto il materiale proviene dall’antologia di Cetrangolo – la scelta e l’ordine dei brani, la loro traduzione, i titoli –, ma l’aver spostato ai margini queste informazioni, con un’operazione che per certi versi potrebbe sembrare antifilologica, crea di fatto un testo nuovo, originale e di grande intensità, che viene interpolato dalle due acqueforti. Con lo scorrere delle pagine si rafforza la sensazione di coerenza e unità del testo che fa risuonare all’orecchio del lettore moderno chiara e potente la poesia di Lucrezio.
Le acqueforti di Saetti non hanno titolo, si osserva solo la firma a matita dell’autore in basso a destra. Una prima lettura fa delle immagini di Saetti delle semplici illustrazioni ai versi di Lucrezio. La prima (fig. 3) presenta una grandiosa figura di donna, nuda, adagiata all’aperto, forse con in grembo un bambino girato di spalle e con accanto un gallo e un fiore, su cui troneggia in alto un enorme sole. L'immagine riecheggia nei temi e nella composizione i versi di Lucrezio che la precedono dedicati alla forza generatrice della primavera e alla potenza del sole. La seconda acquaforte (fig. 4) che mostra in primo piano una donna che abbraccia amorevolmente un bambino con alle spalle un grande sole, è introdotta sulla sinistra dai versi che descrivono il processo di civilizzazione dell’umanità che nel tempo ha ingentilito i costumi degli uomini.
Ma le immagini di Saetti svolgono anche altre funzioni. Permettono al lettore una pausa alla fruizione solo intellettualistica e immaginifica del testo generata dalle forti immagini verbali usate da Lucrezio e ben riproposte dalla lingua potente e musicale di Cetrangolo. Propongono altre immagini, che si sovrappongono a quelle di Lucrezio, e le arricchiscono. E grazie all’assoluta armonia compositiva e formale del libro, i versi di Lucrezio diventano a loro volta parafrasi e commento alle acqueforti di Saetti. E i famosi soli dell’artista, i nudi femminili, le sue maternità, che tante volte l'artista ci ha proposto in altre sedi, qui acquistano un nuovo senso.
Bibliografia
Lucrezio, De rerum natura, versioni di E. Cetrangolo, con due acqueforti di Bruno Saetti, Verona, Editiones Dominicae, 1968.
Lucrezio, Ho vegliato le notti serene, trad. it. di E. Cetrangolo, Firenze, Sansoni, 1950.
1.3. (Vassalini) e Della Torre: Pervigilium Veneris
Il libro di Franco Riva dedicato al Pervirgilium Veneris si presenta come un elegantissimo cofanetto blu ceruleo, ornato da un’incisione in argento disegnata da Enrico della Torre (fig. 5). Si tratta di una collana, dalle forme geometriche e dall’aspetto raffinatissimo e lucente. Inevitabile è chiedersi quale donna si adornerà con quel gioiello. Spinto da questa curiosità, il lettore è mosso ad aprire l’astuccio per scoprire all’interno un libro morbidissimo al tatto, formato da grandi fogli di tino di Pescia di un bianco candido. Si susseguono pagine con il titolo in nero, un’altra con il titolo stampato in blu che richiama il colore del cofanetto, e altre, fino ad arrivare alla prima litografia di Enrico della Torre (fig. 6), nella quale torna il blu nel colore del mare e il giallo ocra di un’isola i cui promontori assomigliano ai seni di una donna. Sarà la lettura del testo che svelerà al lettore che il poema pubblicato è dedicato a una donna, o meglio a una dea, Venere, e alla forza generatrice della primavera e dell’amore che ella rappresenta. Il carme giunto anonimo fino a noi dalla tarda latinità – per la datazione si oscilla dal II al VI secolo d.C. – racconta la veglia notturna in attesa della festa in onore della dea e viene presentato sostanzialmente nell’edizione curata da Caterina Vassalini nel 1947 (La Festa Notturna di Venere. La Nascita delle Rose, Firenze, Fussi), ad esclusione delle note al testo. Le litografie a tre colori (blu, giallo e nero) di Enrico Della Torre, composte su tre lastre di zinco, incorniciano il testo latino, a cui segue la traduzione proposta dalla Vassalini, la sua introduzione e una breve nota di critica testuale. Il libro ha l’aspetto di un’edizione critica di elegantissima fattura, arricchita dal dialogo tra la filologa classica, che ha tradotto e commentato il poema curandone l’edizione in gioventù, e l’illustratore che per questa nuova edizione mette al servizio del testo la propria arte di raffinatissimo incisore, raccogliendone gli spunti filologici e reinterpretandoli.
I temi presenti nella prima litografia trovano un’eco sicura nei primi versi del poema che descrivono la nascita di Venere dalla schiuma del mare. Il dotto poeta del tardo impero segue la tradizione del mito che risale, quasi alla lettera, alla Teogonia di Esiodo (vv. 188-200) nel descrivere Afrodite mentre nasce dai genitali di Urano, tagliati e gettati in mare dal figlio Crono. Ma sono le parole della Vassalini che, tracciando il sentiero che dal testo giunge alle sue fonti, ne svelano l’origine: «La Venere del Pervirgilium […] ci fa risalire alle origini del mito […] alle origini del mondo nato in primavera, l’eterna primavera che ogni anno rinnova il prodigio dell’amore e della fecondità».
Il poema si chiude malinconicamente con una dichiarazione che sorprende il lettore perché proviene dalla voce del poeta: «Quando verrà la mia primavera? Quando potrò, come la rondine, al mio silenzio por fine? Il silenzio mi ha fatto nemica la Musa, né benigno mi guarda Apollo». Anche qui il testo latino è accompagnato da un’immagine evocativa e misteriosa di Della Torre (fig. 7) che fa emergere dal nero della notte le figure stilizzate e deformi di un cigno e di una donna nuda. Di nuovo un’importante chiave di lettura è fornita dalla nota della Vassalini che si sofferma sull’ultima parte del poema commentando le dichiarazioni del poeta con queste parole: «Lamento del poeta, per il quale invano sorgerà l’alba di domani, se non potrà più amare né cantare? O lamento della stessa poesia fatta muta dall’impossibile ritorno degli dei dell’Olimpo?». Solo pensando anche a un orizzonte mitologico e allegorico per il Pervigilium Veneris, è possibile avvicinarsi all’immagine del cigno presente nella litografia di Della Torre: nel mondo classico il cigno è animale caro ad Apollo che, accompagnato dalle Muse, si presenta come dio della musica e della poesia.
Nel colophon Franco Riva dedica il volume a Caterina Vassalini. Il libro, che contiene all’interno di un cofanetto prezioso l’opera giovanile della studiosa, nasce nelle intenzioni dell’editore-tipografo come un dono a un’amica, confezionato dalla sua arte come un gioiello. Li pensiamo, infatti, legati da una lunga amicizia nell’ambiente intellettuale di Verona, lei direttrice del liceo Maffei, lui impiegato dal 1945 e poi direttore della Biblioteca Civica.
Bibliografia
Pervigilium Veneris, testo, traduzione e note a cura di C. Vassalini, con due litografie a colori di Enrico Della Torre, Verona, Editiones Dominicae, autunno 1972.
C. Vassalini (a cura di), La Festa Notturna di Venere. La Nascita delle Rose, Firenze, Fussi, 1947.
S. Parmigiani (a cura di), Enrico Della Torre. Catalogo generale dell'opera grafica 1952-2012, introduzione di E. Ferrero, collaborazione tecnica di A. Reduzzi, Milano, Skira, 2012 (in particolare pp. 120-121).