Come è noto, gli anni Trenta sono stati decisivi nello sviluppo della pubblicistica cinematografica. La crescente popolarità dell’industria dello spettacolo ha favorito un processo di specializzazione delle testate che hanno scelto la propria formula e il proprio pubblico per imporsi sul mercato. La produzione dei rotocalchi di questo decennio d’oro è già stata mappata, evidenziando come la stampa popolare solo raramente si sia occupata di temi al di fuori della cronaca e del divismo.
Cinema Illustrato, Cine Mio e Stelle sono i rotocalchi divistici caratterizzati dalle firme più prestigiose e da una particolare ricchezza e varietà di contenuti. Qui il divismo dominante si configura «non soltanto come stimolo alle curiosità epidermiche degli spettatori dei drammi hollywoodiani, ma anche come incentivo per il lettore ad avviarsi sulla strada di un maggiore approfondimento del cinema nei suoi molteplici aspetti» (De Berti 2000, p. 34). Conducendo un’analisi delle rubriche, emerge anche una certa insistenza sulla promozione di giovani volti per il cinema: quasi una vocazione delle riviste a farsi trampolino di lancio verso l’universo filmico per aspiranti stelline con o senza formazione. Decodificare e storicizzare questa funzione di scouting delle riviste ci sembra interessante per comprendere come il fenomeno del divismo si sia diffuso in Italia anche in relazione al contesto storico culturale dell’epoca fascista: esibendo il seducente mondo di Hollywood, in evidente contrasto con le imposizioni del regime che provava a definire il modello femminile chiudendolo nelle mura domestiche, le riviste chiedevano alle donne di uscire allo scoperto, di provare ad inseguire modelli diversi ed esotici, di mettersi alla prova secondo categorie lontane da quelle imposte, ovvero la bellezza e la spregiudicatezza.
Il settimanale Stelle, pubblicato dall’Editrice Gloriosa dal 1933 al 1938 e diretto da Luciana Peverelli (Rondello 2011, p. 11), è in questo senso un prezioso serbatoio di informazioni utili alla ricostruzione di un immaginario simbolico che si è sedimentato nel tempo e ha favorito la progressiva trasformazione della identità privata in immagine pubblica. Stelle si presenta con una cornice tipografica molto semplice: su ogni copertina si staglia una stella, all’interno della quale ‘scintilla’ il ritratto fotografico di una diva dello schermo [fig. 1]. La sua ispirazione sembra essere il fan magazine americano e, in effetti, la testata dedica molto spazio a Hollywood, nonostante dal 1934 si faccia costantemente riferimento alle norme, in materia di stampa, inviate dalla Autorità per la cinematografia, affinché si punti all’esaltazione della cultura nazionale. Sono molte le strategie narrative che chiamano in causa i lettori, soprattutto di sesso femminile, per renderli protagonisti: articoli, concorsi a premio, réclame pubblicitarie, lettere alla redazione. La rivista, sin dai primi numeri, si propone di scoprire talenti e assume una funzione culturale che manifesta una ricaduta sociale molto forte. Non solo. Spesso si invitano i nuovi volti scoperti dalla rivista a ‘offrirsi’ al pubblico che vuole sapere tutto di loro, esattamente come accade per le star di Hollywood. Dalla Mecca del cinema giungono costantemente notizie relative alla vita privata delle dive e si tende a escludere, nell’ottica della valorizzazione delle risorse nazionali di cui si diceva, una disparità di trattamento editoriale tra star americane e nostrane, pur essendo evidente che «se non ci fossero le nutrite cronache hollywoodiane e le bellissime fotografie che in gran copia pervengono dagli Stati Uniti, sarebbe ben difficile riempire di materiale vario e divertente le sedici pagine di un settimanale» (Alexy 1934, p. 12) [fig. 2]. Se intrinsecamente si esalta l’efficacia del sistema industriale hollywoodiano per la capacità di affascinare le lettrici italiane attraverso il glamour delle immagini fotografiche, è altresì chiara l’inclinazione del rotocalco cinematografico italiano degli anni Trenta a emulare i prodotti americani, non soltanto assimilando le star italiane al modello di quelle internazionali, ma assumendo la funzione di mediazione tra pubblico e sistema produttivo. Da un lato le pagine della rivista sono ricche di articoli che ‘istruiscono’ le lettrici al portamento, al trucco, allo stile e alla moda attraverso le icone più note del cinema d’oltreoceano; d’altra parte attivano dei veri e propri processi di reclutamento, offrendosi quale strumento di promozione.
Le pratiche di lancio delle nuove stelle nel firmamento cinematografico italiano si possono distinguere tra quelle caratterizzate da un latente incentivo ad avvicinarsi allo star system e quelle che esplicitamente offrono opportunità alle lettrici interessate.
Nel primo caso possiamo far rientrare tutte le strategie affabulatorie prodotte dalla redazione che, con intelligenza e ironia, nel mettere in evidenza aspetti positivi e negativi della notorietà, implicitamente la esalta. Sono pubblicate, spesso, dichiarazioni di attrici alle prime armi che si interrogano sulla durevolezza del successo. Ad esempio, Barbara Monis racconta il suo esordio al cinema nel film Vecchia guardia di Blasetti (1934) mostrandosi turbata per l’incertezza del futuro e rivelando di non voler parlare delle sue speranze perché sono molte e non ce la farebbe a contarle. Le testimonianze delle dive già note al grande pubblico veicolano più direttamente un messaggio ottimistico [fig. 3]. La stessa speranza è alimentata nei Profili delle attrici emergenti che Luciana Peverelli pubblica in una rubrica corredata da splendide foto. Di Bruna Dragoni, già nota nel mondo del teatro d’opera ma appena reclutata per il film Casta Diva di Carmine Gallone (1935), dice che si potrà «contare fra le nostre stelle italiane, una nuova, italianissima, alla quale non manca nessun atout per cominciare una fulgida carriera» (Peverelli 1935, n.20, p. 3). Peverelli dunque dà il suo sigillo di approvazione, esattamente come aveva già fatto con Maria Arcione, elogiandone l’entusiasmo sincero e la pazienza, o con Isa Miranda e Nelly Corradi, quando aveva auspicato con perentorietà: «noi siamo certi che nei nuovi film, due fra le attrici più simpatiche realizzeranno le nostre e le loro speranze» (Peverelli 1935, n. 19, p. 5).
Il modello a cui guardare è, come si è detto, Hollywood, «un immenso laboratorio degno di Cagliostro» (Anon 1935, p. 12) che è chimera di notorietà anche per il pubblico di appassionate lettrici. Un altro dei ponti tra la notorietà e la massa è l’inserto pubblicitario. Tra le pagine del rotocalco appaiono molte réclame di cosmetici e prodotti di bellezza cui fanno da testimonial attrici italiane. In tutti i numeri di Stelle è presente l’inserto promozionale della crema Diadermina, che potrebbe essere considerata il corrispettivo della saponetta Lux nei fan magazine americani, e i cui benefici vengono ostentati da Isa Pola, Dria Pola, Mimi Aylmer e da tante altre dive italiane.
Le giovani lettrici trovano nei modelli di donna italiana e straniera di successo un obiettivo cui puntare, se si possiede bellezza e soprattutto fotogenia. La tendenza a consigliare il miglior modo di apparire e il percorso da intraprendere per una carriera da star si sublima nel racconto che Carlo Veneziani fa, quasi ogni settimana, di una giovane aspirante attrice, «l’auricrinita signorina Suzy», nella rubrica Stelle filanti (Veneziani 1934, p. 2). Di lei, che simbolicamente incarna il sogno di tutte, con tono ironico racconta i tentativi spesso vani di affermarsi, la brama e le illusioni, le ansie ma anche la straordinaria bellezza e le doti di seduzione. Attraverso la rubrica, implicitamente, in lei le lettrici possono immedesimarsi [fig. 4].
A questa funzione incentivante si affianca quella più diretta di reclutamento e segnalazione, da parte di cronisti e inviati, di nuovi volti per il cinema [fig. 5]. Nel 1934, la rivista indice un concorso di fotogenia per aspiranti attori (e soprattutto attrici!, come più volte si ricorda) che mette in premio l’opportunità di partecipare a dei provini. Nell’ottobre di quell’anno il redattore Tigram riferisce dell’esito di un provino che i vincitori del concorso di fotogenia di Stelle hanno sostenuto per il film annunciato con il titolo Luce nel fango [fig. 6]. Per loro l’avventura si è conclusa con un nulla di fatto, tuttavia nella stessa pagina del rotocalco, per non spegnere sogni e ambizioni, sono pubblicate a corredo dell’articolo informativo, fotografie di provini hollywoodiani della Fox, della Universal e della MGM che mostrano i volti sorridenti di giovani bellissime ragazze. Nello stesso numero della rivista, inoltre, Tigram risponde alle lettrici del concorso di fotogenia invitandole a spedire alla redazione fotografie senza ritocco e, a una di loro, Angelina Olivieri, ricorda che «dal giorno in cui si nasce a quello in cui si chiudono gli occhi, si può essere attrice cinematografica: tutto sta ad avere le doti necessarie per diventarlo. Mandaci una tua fotografia!» (Tigram 1934, p. 15) [fig. 7].
Tra le attrici cinedilettanti che maggiormente si sono distinte per le doti di fotogenia è emersa, ad esempio, Thea Daris (Thea d’Aristene) che, proprio per essere stata segnalata dalla rivista, ha potuto essere lanciata nel firmamento delle nuove stelle dal Cine Club di Udine. Daris, comparsa nel film amatoriale in 16 mm Giornate di sole (1934), ha continuato ad essere guidata, all’inizio della carriera e fino all’esordio ufficiale del 1937 sul grande schermo, dai consigli dei redattori di Stelle [fig. 8].
Il concorso di fotogenia non è prerogativa di questa rivista. Nel 1931, per esempio, Cinema Illustrazione aveva indetto un ‘Concorso delle espressioni’ che invitava a inviare fotografie in posa da pubblicare sulla rivista per assecondare, per una settimana almeno, il desiderio di notorietà.
La competizione aperta è antesignana dei concorsi di bellezza che prenderanno sempre più piede negli anni a venire. Non dimentichiamo che è del 1939 il concorso 5000 mila lire per un sorriso (che sarà poi Miss Italia), nato proprio da un concorso di fotogenia ideato dal celebre pubblicitario Dino Villani e da Cesare Zavattini per promuovere un dentifricio della azienda Erba e lanciato dai settimanali Grazia, Il Milione e Il Tempo, che pubblicavano, poi, le foto delle ragazze. Attraverso queste pratiche passa, apparentemente inosservato al fascismo, un desiderio di ribalta e affermazione nel mondo dello spettacolo che non solo contraddice il modello domestico di donna conforme alle aspettative del regime, ma misura l’emancipazione della star italiana per mezzo di coordinate tutt’altro che nazionali. Attraverso il concorso la lettrice si sente partecipe del mondo cinematografico, perché il sogno, pur brillando lontano, tuttavia si fa vicino per la sola scelta di parteciparvi. È probabilmente per questa ragione che la direttrice di Stelle, a partire dal marzo 1935, introduce una nuova rubrica dal titolo Scrivete a Luciana in cui risponde alle generiche curiosità delle lettrici, ma soprattutto continua a dare consigli a chi ambisce a farsi strada nel mondo del cinema.
L’analisi di queste specifiche rubriche delle riviste popolari consente di scrutare l’orizzonte del desiderio e le aspettative delle lettrici che hanno contribuito, in vario modo, a costruire e tramandare un immaginario cinematografico giunto sino a noi. Gli anni fra le due guerre, pur segnati dalla volontà istituzionale di diffondere contenuti moralmente edificanti, incasellando le donne entro il rigido ruolo di angelo del focolare e madre esemplare, sono stati permeati da questa onda di influenza che, tramite modelli hollywoodiani e mezzi di informazione di massa, ha stimolato quel meccanismo desiderante che attraversando provini e concorsi di bellezza troviamo amplificato nelle contemporanee forme di iper-esposizione. La funzione sociale dei rotocalchi, in anticipo sul sostegno al divismo che eserciteranno il cinema e gli altri sistemi di promozione, fino all’auto-oggettificazione femminile generata dai social media, non si è solo risolta nel processo di umanizzazione delle dive: assecondando la morbosità del pubblico, compiacendo la curiosità di chi trova consolazione nel vedere le star condannate allo stesso destino della gente comune, normalizzando il divismo per renderlo accessibile a chi anela quelle altitudini, le riviste hanno contribuito ad alimentare il sogno.
Bibliografia
Alexy, ‘Lettere spregiudicate. Alexy a Isa Pola’, Stelle, 47, 24 novembre 1934, p. 12.
Anonimo, Due reclute. Io, nuova recluta per il film “Vecchia guardia”, Stelle, n. 52, 29 dicembre 1934, p. 7.
Anonimo, ‘Come si crea una stella’, Stelle, 21, 25 maggio 1935, p. 12.
L. Cardone, Con lo schermo nel cuore. Grand Hotel e il cinema, Pisa, ETS, 2004.
A. Giglio Marchetti, L. Finocchi (a cura di), Stampa e piccola editoria tra le due guerre, Milano, Franco Angeli, 1997.
M. Livolsi, ‘Lettura e altri consumi culturali negli anni ’20-’40’, in Editoria e cultura a Milano tra le due guerre (1920-1940), Atti del convegno, 19-20-21 febbraio 1981, Fondazione Alberto e Arnoldo Mondadori, Milano,1983.
E. Morin, Le Star, trad. it. di Milano, ed. Olivares, 1995.
E. Morreale (a cura di), Lo schermo di carta. Storia e storie di cineromanzi, Il Castoro, Milano 2007.
R. De Berti, Dallo schermo alla carta. Romanzi, fotoromanzi, rotocalchi: il film e i suoi paratesti, Milano, Vita e pensiero, 2000.
L. Peverelli, ‘Profilo di Bruna Dragoni’, Stelle, 20, 18 maggio 1935, p. 3.
L. Peverelli, ‘Profilo di Maria Arcione’, Stelle, 9, 2 marzo 1935, p. 13.
L. Peverelli, ‘Stelline italiane’, Stelle, 19, 11 maggio 1935, p. 7.
N. Rondello, ‘La scrittura di Luciana Peverelli tra cinema e mélo’, in L. Cardone, S. Filippelli (a cura di), Cinema e scritture femminili. Letterate italiane fra la pagina e lo schermo, Atti del Convegno di Studi Università di Sassari, 22-23 settembre 2011, Iacobelli Editore, 2011.
Tigram, ‘Concorso di fotogenia’, Stelle, 40, 6 ottobre 1934, p. 15.
C. Veneziani, ‘Stelle filanti. Suzy’, i divi e i sogni, Stelle, 47, 24 novembre 1934, p. 2.