Cindy Sherman, a cura di Johanna Burton e apparso in traduzione italiana per i tipi di PostmediaBooks nel 2019, raccoglie una serie di articoli apparsi negli ultimi decenni su October, storica rivista statunitense di teoria e critica d’arte, configurandosi come una lente sull’opera dell’artista dal 1980 ai primi anni Duemila. Non si tratta solamente di un’antologia di testi teorici, ma anche di un’operazione metariflessiva interna alla stessa teoria artistica: la scelta di presentare i singoli saggi secondo un ordine cronologico aiuta, infatti, a comprendere le differenti prospettive metodologiche messe in campo, dal momento che, come vedremo, queste sono spesso strettamente intrecciate al contesto culturale di riferimento.
I primi due contributi, a firma di Craig Owens e Douglas Crimp, sono usciti originariamente nel 1980, e il legame con quel preciso momento storico è percepibile dalla comune impostazione teorica. In entrambi i casi, infatti, le Untitled Film Stills (1977-1980) di Sherman non vengono indagate di per sé, ma ricondotte a un più ampio spettro artistico che i due critici inscrivono all’interno del complesso fenomeno postmodernista. Owens si concentra sugli aspetti ‘allegorici’ dell’arte di quel periodo, in particolare sul cortocircuito mimetico che denuncia l’artificialità stessa della rappresentazione, privata ormai tanto di un referente quanto di un ordine simbolico: ‘l’effetto fotogramma’, su cui si basa l’intera serie delle Film Stills, si coniuga al «travestimento [che] ha la funzione di una parodia, […] rivela l’identificazione dell’io con un’immagine che rappresenta la sua espropriazione» (p. 25). L’analisi di Crimp si concentra sulla specificità della fotografia postmodernista, che gioca sul fronte opposto al concetto benjaminiano di ‘aura’, all’insegna della moltiplicazione delle copie, delle imitazioni, delle finzioni, a tal punto da minare la possibilità di riconoscere la presenza di un originale, di una «vera» Cindy Sherman (p. 39).