2.5. Tasso ‘eroicomico’: Gerusalemme fatta a strisce

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Marcello [Toninelli], Rinaldo. La Gerusalemme liberata a fumetti, Rimini, Cartoon Club, 2010 (con appendice storico-didattica, testi di Patrizia Martini)

 

Dopo il successo della Divina Commedia a fumetti, pubblicata per intero sul settimanale cattolico per ragazzi «Il Giornalino» dal 1994 al 1998, il direttore della testata commissionò a Marcello Toninelli la trasposizione di altri poemi a fumetti. Nel 1999-2000 apparve L’Odissea, nel 2001 fu la volta dell’Eneide; finché, nel marzo 2004, all’interno del supplemento Conoscere insieme, comparve la prima puntata della Gerusalemme liberata (fig. 1), poi rinominata Rinaldo. Riduzione fedele al modello dell’ultima versione della Commedia toninelliana pubblicata su «Il Giornalino», il Rinaldo si presentava innanzitutto come dettagliata trasposizione di tutti e venti i canti della Gerusalemme liberata, suddivisi in dieci uscite (due canti per numero, per un totale di 85 tavole); ogni canto aveva un formato di circa otto pagine da quattro strisce ciascuna, ma il ritmo era quello dell’Inferno dantesco: strip di tre vignette con freddura finale. L’espediente narrativo iniziale ricordava invece il Leitmotiv del Paradiso: gli arcangeli in tuta da lavoro guardano infatti dalla «Sala video e tv» del paradiso i quarti di finale dell’incontro cristiani-musulmani.

L’elemento più riuscito della parodia della Gerusalemme è senza dubbio la caratterizzazione dei personaggi: Goffredo di Buglione compare come un vanitoso guerriero intento a contemplare la propria immagine allo specchio («Specchio specchio / venuto di Francia, / chi fra i Crociati / ha più ardire e meno pancia?»), mentre Tancredi e Rinaldo, che fanno la loro prima apparizione nella stessa vignetta, ricalcano i destini di Paperino e Gastone (l’uno è appena scivolato su una buccia di banana, l’altro è nell’atto di raccogliere una moneta d’oro). D’altra parte, Clorinda è una vamp a cavallo con lo sguardo seccato (degna delle più disilluse femmine di Silvia Ziche), e Armida ha le sembianze di una chiromante kitsch e sovrappeso. Il personaggio più iconico è forse la Fortuna (fig. 2): con lo stesso sguardo di Clorinda, ma con un look che ricorda gli eccessi surreali delle dame della famiglia di Teofilatto dei Leonzi di L’armata Brancaleone negli indimenticabili costumi di Pietro Gherardi.

Una buona parte dei motivi comici funziona attraverso il classico rovesciamento dell’epicità del passato nella banalità del mondo contemporaneo: c’è chi vende noccioline al rogo di Olindo e Sofronia (fig. 3); la Morte fa la raccolta differenziata di musulmani e cristiani; quando Aletto si infila nei sogni di Argillano vi trova le veline di Striscia la Notizia. Anche in questo caso, come nella terza cantica della Commedia a fumetti, il problema al quale Toninelli si trova di fronte è quello di coniugare l’intento pedagogico (raccontare a un pubblico di bambini e pre-adolescenti un poema cavalleresco oltretutto meno noto della Commedia) con l’affondo comico, senza peraltro volersi avvalere della parodia linguistica – strumento utilizzato con ottimi risultati nelle riduzioni di Guido Martina, compresa quella della Paperopoli liberata, realizzata con Giovan Battista Carpi. Tutto qui è fondato sul dialogo, Toninelli sceglie di non lasciare alcuno spazio ai versi o alle didascalie. Inoltre, la decisione di mantenere il ritmo a strisce non è facilitata – come invece avveniva per l’Inferno – dal testo di partenza: nella Gerusalemme liberata spesso gli scenari prevalgono sui personaggi, o almeno c’è totale integrazione reciproca; per cui, se lo scenario manca, il personaggio, pure nel suo lato caricaturale, resta ‘monco’. Non a caso alcune delle strisce più riuscite sono quelle ambientate all’inferno, all’inizio del canto IV: dove in un fugace cammeo sfilano anche i due «turisti» Dante e Virgilio (fig. 4). Viceversa, alcuni degli episodi cardine del poema appaiono sacrificati da questo tipo di format: è il caso dello scontro tra Clorinda e Tancredi. Toninelli gli dedica in totale sette strisce, di cui una soltanto riservata al duello vero e proprio (fig. 5). Nelle prime tre, la narrazione è affidata ora al pensiero (con le classiche chain thought bubble) di Clorinda e Tancredi, ora alla voce di un passante, nel tentativo di mantenere il collegamento con personaggi ed episodi solo evocati e non rappresentati, e con la trama generale del poema. È nella quarta striscia (fig. 6) che lo scontro armato si consuma, nel lampo di un fulmineo scambio di battute: «“Ah!” “Muori piromane!”». Seguono le due scene cruciali del canto XIII, entrambe risolte da Marcello con calembour (e un utilizzo mirato del bold-italic lettering, altrove distribuito in modo più casuale). Clorinda chiede acqua sul capo per morire con i capelli puliti; quando Tancredi si accorge che il cavaliere morente è la sua amata sente il terreno scivolare sotto i suoi piedi: «“È un destino beffardo eh?” “No, una cacca di qualche stupida mucca!”». Più riuscito è invece il racconto di Rinaldo nel giardino di Armida: qui la parodia non è fondata sul ricorso alla freddura ma sul rovesciamento di una servitù d’amore in schiavitù domestica (fig. 7). Tutte e quattro le strisce dedicate al tentativo di fuga di Rinaldo si giocano su questo equivoco: il cavaliere prova vergogna non per essere stato stregato dalla potente maga (qui, ricordiamo, non in veste di avvenente fanciulla ma di corpulenta chiromante), bensì per non essersi iscritto al sindacato delle colf; esita a scappare con i compagni perché ha il sugo sul fuoco e una lavatrice da fare; Armida tenta di convincerlo a restare con l’offerta di pagargli gli straordinari, e infine di fargli vedere i mondiali di calcio. Armida e Rinaldo funzionano come un qualsiasi duo comico moglie-marito tipico della televisione degli anni Novanta, anche se tutto il loro potenziale si esaurisce nell’arco di poche strisce.

Complessivamente, il problema più spinoso che si trova davanti Toninelli – e con lui, chiunque voglia ridurre a strip parodica la Gerusalemme – è lo statuto di poema corale del testo di partenza: a differenza della Commedia (ma anche del Don Chisciotte o del Gargantua e Pantagruele), il fumettista non può far affidamento su un singolo personaggio (o, ancora meglio, su una coppia comica) che attraversa l’intera narrazione: ma proprio questo è uno dei cardini su cui si fonda il format della striscia umoristica.

 

Bibliografia

D. Barbieri, Breve storia della letteratura a fumetti. Nuova edizione, Roma, Carocci, 2014.

L. Boschi, L’ultimo dei cavalieri, in B. Jacovitti, Don Chisciotte, Castiglione del Lago (PG), Edizioni Di, 2006, pp. 7-16.

G. Martina, G.B. Carpi, Paperopoli liberata [1967], Milano, Walt Disney Company, 1993.