2.2. Dall’ombra. Sulle tracce di Rina Macrelli, tra cinema, televisione e femminismo

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«Per ora ti abbraccio, non ripeto le cose dette al telefono per non tornare a piangere. Guardati ogni giorno i giornalieri e rifletti. Se vuoi fare il film in fretta devi riflettere in fretta, correggerti in fretta. Non rinunciare a niente di fondamentale». È la chiusa di una lettera dattiloscritta conservata presso l’Archivio storico del Comune di Carpi all’interno dell’Archivio professionale di Liliana Cavani, nella busta relativa alla produzione di I cannibali. Riporta luogo e data: Los Angeles, 16 febbraio 1969. La firma è semplicemente ‘Rina’.

Rina Macrelli è negli Stati Uniti, aiuto regista di Michelangelo Antonioni per Zabriskie Point. La collaborazione con Cavani è iniziata da tempo per i lavori affidati dalla Rai alla regista: l’esordio è per l’inchiesta La casa in Italia (1964), per la quale Macrelli cura le indagini, approfondisce gli argomenti, incontra le persone, scrive, segue le riprese. Ricorda Cavani: «Rina era una donna molto intelligente, precisa, energica. Tra noi ci si intendeva bene. Era perfetta come aiuto regista». È un lavoro prezioso che Macrelli svolge fino ai primi due film della regista, Francesco d’Assisi (1966) e Galileo (1968).

La lettera si è offerta dapprima, naturalmente, per lo studio sul cinema di Cavani. Ma la scrittura di Macrelli colpisce l’attenzione, diviene un invito ad andare oltre, a mettersi sulle sue tracce. Così si scopre il profilo di una donna che ha attraversato cinema e televisione, letteratura e storia, poesia e femminismo, caratterizzando ogni sua ‘impresa’ con un segno autoriale fatto di cultura, professionalità, ironia, audacia, risolutezza. Come restituiscono le pagine della lettera americana. «Eccoti le mie impressioni sulla sceneggiatura»: senza liturgie entra nel vivo del lavoro con commenti alla sceneggiatura, che esplodono in brevi dissertazioni, con qualche affettuoso richiamo; interviene anche in questioni più tecniche, come l’utilizzo di determinati obiettivi. Emerge ovunque la fondatezza della professionista, la conoscenza del cinema, della specificità del linguaggio e dell’autorialità contemporanea. La sua scrittura conquista: limpidezza, precisione e brio restituiscono familiarità con un variegato contesto culturale, non solo cinematografico, in cui lei si muove con scioltezza. «Appena rientro in Italia – conclude – se lavori ancora ti vengo a trovare e magari a darti una mano, e intanto scrivimi». Ma le riprese di Zabriskie Point proseguono, Macrelli resta negli Stati Uniti e non raggiunge il set di Cavani. Si conclude così tra la regista emiliana e la sua assistente romagnola una collaborazione intensa, della quale il lavoro più significativo è probabilmente La donna nella Resistenza (1965), primo documento filmato dedicato alle donne nella lotta al nazifascismo. Macrelli compie le indagini preliminari, incontra le ex partigiane, seleziona le personalità più interessanti, programma il lavoro, assiste sul set. «Tutta la preparazione è stata fatta da Rina – racconta Cavani – che aveva selezionato le donne giuste per l’intervista, che corrispondevano cioè a quello che volevamo: entrambe cercavamo donne forti, che avevano agito, che volevano esserci e raccontare, senza retorica, la propria esperienza».

Allo stesso modo, senza retorica, farà Macrelli anni dopo nel raccontare di sé, della partecipazione al movimento femminista e della sua militanza lesbica. Sono gli anni Settanta quando irrompe infatti nella storia, e nella parola di Macrelli, il dato biografico più personale, con forza così esplicita che sembra prendere il sopravvento sulle sue attività professionali. Crediamo piuttosto che si possa rintracciare un continuum tra le due dimensioni, evidenti gli elementi di porosità tra attività professionale e politica: i dettagli diventano segnali di scelte, che paiono orientare un percorso, esplorativo sotto ogni punto di vista.

È il 1957 quando Macrelli inizia a lavorare nel settore dell’audiovisivo come interprete, aiuto regista, autrice, sceneggiatrice. Come testimonia il documentatissimo volume I talenti di Rina Macrelli tra creatività e impegno (Fontana e Nicolini 2021), le attività – anche fuori da cinema e televisione – che hanno caratterizzato la sua storia sono molteplici, apparentemente lontane le une dalle altre tanto da rendere difficile l’individuazione di un baricentro. Crediamo però che guardare in campo lungo la totalità permetta di cogliere tracce significative, dettagli che si collegano, delineando unità, continuità e coerenza di un’esperienza fuori dal comune, che racconta anche della storia delle donne nel nostro Paese – tra politica, impegno professionale e affermazione della propria soggettività.

Rina (Caterina) Macrelli nasce nel 1929 a Santarcangelo di Romagna dove, nel secondo dopoguerra, fiorisce una stagione culturale vivace, con giovani intellettuali e artisti costituiti in gruppo amicale (‘è circal de giudéizi’), destinati ad affermarsi in diversi settori della vita artistica: Raffaello Baldini, Lucio Bernardi, Gianni Fucci, Tonino Guerra, Flavio Nicolini. Rina è l’unica donna del gruppo. Laureata in lingue, si trasferisce a Roma mantenendo sempre un legame forte con le origini, specie per la poesia (si ricorda ad esempio l’organizzazione, nel 1973, del seminario su Tonino Guerra e la poesia romagnola). È il cinema il primo territorio che attraversa: il suo nome è presente, con compiti via via di segreteria, interpretariato, direzione del doppiaggio, assistenza alla regia, in film di René Clement, di Dominique Delouche, di Roger Vadim. è inoltre assistente di Jacqueline Audry, unica regista affermata nel cinema europeo degli anni Cinquanta, della quale si osserva una certa vocazione a discorsi di genere (addirittura queer ante litteram) in particolare con Olivia (1951), che mette in scena l’amore lesbico in un collegio femminile, Huis clos (1954), con Arletty nel ruolo della lesbica Ines, e con La Garçonne (1957). Anche il film di cappa e spada cui Macrelli partecipa non accreditata parrebbe confermare una certa queerness: Le Secret du Chevalier d’Éon (Storie d’amore proibite, 1959). Se la collaborazione successiva con un’altra regista, Cavani, è senz’altro centrale, va ricordato che negli anni precedenti Macrelli è stata impegnata in innumerevoli lavori dell’appena nata televisione. Assistente di Alessandro Blasetti per La lunga strada del ritorno (1962), sviluppa un talento nell’ideazione e scrittura di programmi, occupandosi anche di traduzioni e adattamenti, e lavorando nelle redazioni, in particolare di La TV dei ragazzi, per cui scrive e conduce personalmente, tra 1961 e 1964, la rubrica Mondo d’oggi. Colpisce l’interesse per scienza e tecnica: i titoli (tra i quali Dai confini della vita alla strada per le stelle, Veicoli subacquei rivoluzionari, Centrali atomiche nello spazio) sembrano suggerire una sorta di attrazione per ciò che può essere definito progresso e futuro (di «sensibilità ante litteram per la dimensione lesbotech e cyborg», scrive Paola Guazzo in occasione della morte di Macrelli, 7 novembre 2020).

Un futuro che forse è l’orizzonte in cui dare cittadinanza alla propria soggettività, facendo dell’impegno nei riguardi delle donne una concordanza evidente che pare transitare dalla sfera professionale a quella personale e politica e viceversa: il lavoro diventa così spazio in cui agire da femminista, anche all’interno delle istituzioni. In questa direzione, iniziata in un certo senso con Cavani per La donna nella Resistenza, colpiscono due film televisivi del 1971, di cui Macrelli firma soggetto e sceneggiatura. Il primo è dedicato a Bernadette Devlin (irlandese, femminista radicale e attivista); il secondo, Astronave Terra, attira maggiormente l’attenzione. Combinando parti teatrali, documentarie e di finzione, racconta i primi passi della battaglia ambientalista iniziata dall’americana Rachel Carson. La ricercatrice, da una posizione di isolamento nella comunità scientifica, con la pubblicazione di Primavera silenziosa (1962) riesce a mettere in crisi l’industria dei pesticidi: «Un libro scritto da una donna sta sconvolgendo l’America» è l’esordio della voice off. Il lavoro sorprende: la vicenda, lontana dalla realtà italiana e costruita sulla battaglia legale, non è facile; colpisce anche la presenza di giovani personaggi femminili contrapposti a rappresentanti maschili del potere industriale e giudiziario. L’interesse per figure di donne ‘resistenti’ – che si immagina Macrelli riesca, da autrice affermata, a inserire nei palinsesti – dialoga con l’impegno nel movimento femminista, che la vede protagonista nel Collettivo Pompeo Magno di Roma. Partecipazione ‘inevitabile’ che influenza anche la vocazione di studiosa: si immerge con energia nella storia delle donne e nella valorizzazione dei loro talenti. Lo testimoniano due volumi, entrambi del 1980: L’indegna schiavitù. Anna Maria Mozzoni e la lotta contro la prostituzione di Stato e La vòita d’una dòna, raccolta di poesie in romagnolo di Giuliana Rocchi (i cui versi è lei che per prima nota, curandone la pubblicazione). È però il suo Ridiamo su Proudhon. Alle origini della teoria neo-patriarcale ad attirare l’attenzione. Il pamphlet, non datato ma risalente al 1979 (Fontana e Nicolini 2021) pare nel titolo eco di Sputiamo su Hegel di Carla Lonzi, alla cui esperienza, tra l’altro, pare accostarsi per certi versi quella di Macrelli, considerando l’apparente cesura per entrambe tra impegno professionale e militanza. Il rapporto con l’arte e con gli artisti non a caso forse è un passaggio significativo dell’articolo che Macrelli firma per la morte di Lonzi (Noi donne, ottobre 1982). Le si rivolge direttamente, il tono è appassionato; richiamando il pensiero di Lonzi il testo si chiude con la questione lesbica, ormai centrale per lei, protagonista (come attesta la messe di contributi che firma o nei quali è intervistata) di Vivere Lesbica, gruppo nato all’interno di Pompeo Magno. Apparentemente di passaggio nell’articolo/lettera torna però al cinema, quando, a proposito della potenza evocatrice della parola lonziana, afferma che «si possono fare dai tuoi libri almeno quattordici film». Quasi una dichiarazione: la forza del pensiero e della scrittura si misurano con la capacità di diventare immagine, di essere cinema.

Mentre l’esposizione di sé è sempre più determinata il cinema non esce di campo, anzi sembra confermarsi un riferimento significativo. Nel 1982 esce la sua traduzione di Introduction à une véritable histoire du cinéma di Godard, e nel 1985, con il collettivo, Macrelli è impegnata nel progetto Videoviola, indagine nella storia del cinema dal punto di vista lesbico. L’obiettivo è fare sul film uno «smantellamento affine a quello che il femminismo, e la ricerca lesbica all’estero, hanno già fatto sulla letteratura e le altre istituzioni patriarcali. E che però potrebbe avere una portata speciale proprio perché si tratta di cinema». Mette così a fuoco la necessità che anche in Italia il cinema sia considerato spazio di indagine e di problematizzazione per le nuove soggettività. Denuncia ciò che nel cinema ha portato a mettere da parte molte donne, «per disprezzo, per autodisprezzo, per non soffrire, per mancanza di una forza critica contrattuale, di una forza femminista». Il progetto diventa così luogo in cui mettere alla prova uno sguardo critico diverso, fatto sia di conoscenza del linguaggio e della storia del film, sia dei meccanismi di rappresentazione e di affermazione di sé. Uno sguardo che svela, analizza e costruisce percorsi di autenticità, incanalando certo le rabbie ma scoprendo anche un nuovo modo di guardare al film, con quel «piacere, che è il piacere del cinema, della critica fatta insieme, dello stare insieme tra donne».

 

Bibliografia

R. Macrelli, Ridiamo su Proudhon: alle origini della teoria neo-patriarcale, Roma, Edizioni Ciclo-Stile del Movimento Femminista Romano, s.d.

R. Macrelli, L’indegna schiavitù. Anna Maria Mozzoni e la lotta contro la prostituzione di Stato, Roma, Editori Riuniti, 1980.

R. Macrelli, ‘Per una storia del lesbismo: la mia’, Effe, ottobre 1982.

R. Macrelli, ‘Il gesto, la parola la rivolta’, Noi donne, 41, ottobre 1982.

R. Macrelli, ‘Lesbicamente studiando: un punto di vista sulla cultura’, in Le donne al centro. Politica e cultura dei centri delle donne negli anni ‘80, Roma, Utopia, 1988.

G.M. Gori, E' circal de giudéizi. Santarcangelo di Romagna nell’esperienza culturale del secondo dopoguerra, Bologna, Clueb, 2000.

L. Cairns, Sapphism on Screen. Lesbian Desire in French and Francophone Cinema, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2006.

P. Guazzo, ‘Rina Macrelli. Restituzione di un’esistenza lesbofemminista’, Gaynews.it, 12 novembre 2020 <https://gaynews.it/2020/11/12/rina-macrelli-restituzione-esistenza-lesbofemminista/> [accessed 12 September 2021].

P.A. Fontana, S. Nicolini (a cura di), I talenti di Rina Macrelli tra creatività e impegno, Rimini, Raffaelli, 2021.