1. Commozione vs realismo
La poesia della Commedia risiede anche nella commozione del viator per la sorte delle anime incontrate lungo l’ascesa, in quel «ricevere e […] risentire – come scrive lo Auerbach di Dante als Dichter der irdischen Welt – i destini altrui che il suo sentimento forte e delicato e il suo intelletto giudicante avevano adunato» (Auerbach 1929, p. 83). Nell’episodio di Paolo e Francesca, nella «pietade» (v. 140) del poeta pellegrino per i due amanti, tale compassione (che nelle interpretazioni da sempre contende il campo alla compunzione per il peccato trascorso) raggiunge il culmine, manifestato somaticamente dallo svenimento di Dante. «E caddi come corpo morto cade» (v. 142): i cinque bisillabi che chiudono il canto sono l’immagine acustica del pulsare amplificato delle tempie prima del venir meno dei sensi.
Dante in precedenza era già svenuto, ma la similitudine verteva sul sonno, fratello della morte (cfr. Ritter Santini 1998), non sulla morte stessa: «e caddi come l’uom cui sonno piglia» (Inf. III, 136); la funzione rivestita dall’evento era inoltre precipuamente narrativa, onde giustificare il portento del passaggio dell’Acheronte. Nel canto V dell’Inferno, invece, la perdita dei sensi è diretta conseguenza dello struggimento del poeta: «come si strugge la neve al fuoco», commenta Boccaccio, collegando i turbamenti del cuore a quelli della memoria dopo il compimento del viaggio («così la neve al sol si disigilla», Par. XXXIII, 64).
È noto che Auerbach giudicava riduttivo limitare a ciò la poesia della Commedia, la quale, come preciserà in Mimesis, risiede piuttosto nel fatto che «Dante ha trattato con ugual potenza tutte le cose terrene da lui trattate» (Auerbach 1956, p. 218). Sbagliano perciò coloro che enfatizzano la dimensione lirica a svantaggio di quella realistica del capolavoro dantesco: «[…] il problema è veduto in modo troppo ristretto quando ci si ferma, come molti hanno fatto, solo al senso di ammirazione e di pietà che nasce in Dante» (ibidem). Alla schiera di questi ultimi si era da poco aggiunto Walter Benjamin, con una pagina del saggio del 1922 sulle Wahlverwandtschaften di Goethe da contestualizzare all’interno di un dialogo a distanza non privo di significative divergenze (Maggi 2017, pp. 34-50).
Commentando l’ultimo incontro tra Eduardo e Ottilia, Benjamin ricorre all’illustre precedente dantesco: «Appare così la ragione più intima dell’“atteggiamento del narratore” [“Haltung des Erzählers”]. Poiché egli solo può compiere, nel sentimento della speranza, il significato dell’accadere, proprio come Dante accoglie in sé la disperazione degli amanti, cadendo “come corpo morto” [“als fiele eine Leiche”] dopo le parole di Francesca» (Benjamin 1922, p. 588). Dante incarna la figura del narratore in quanto manifesta le proprie reazioni agli eventi rappresentati. In particolare, il sintagma «Haltung des Erzählers» – incunabolo del «narratore» di un noto testo benjaminiano posteriore – è desunto dal Goethe (1913) di Georg Simmel. È altamente significativo osservare che, in questo saggio, Simmel pone l’atteggiamento del narratore in antitesi con il «realismo artistico-formale […] che pone gli eventi e gli uomini su se stessi» (Simmel 1913, p. 188).
Partecipazione agli eventi o realismo, coinvolgimento o distacco? Paolo e Francesca come imagines agentes (Battaglia Ricci 2008, p. 236), dinanzi alle quali le reazioni del viator anticipano e indirizzano quelle del lettore, oppure come protagonisti di un fatto di cronaca che per Dante era ancora attualità, per il tramite del protettore Guido Novello, discendente dei da Polenta ai quali apparteneva l’eroina della vicenda? Adottando le raffigurazioni dello svenimento di Dante come sintomo, la tradizione delle illustrazioni del quinto canto dell’Inferno fornisce un diagramma sorprendentemente nitido, contrassegnato dal prevalere della prima ipotesi interpretativa nell’arco di tempo che va dall’ultimo decennio del Settecento a poco dopo la metà del secolo successivo: l’epoca insomma che si è soliti designare con Goethezeit.
2. Ai margini
Prima dell’Ottocento, l’illustrazione dello svenimento di Dante è assai rara. È presente nell’angolo di un foglio della Biblioteca Nazionale di Torino (ms L.III.17), opera di illustratore francese della metà del Cinquecento (Renzi 2007, pp. 194-198). L’immagine costituisce una delle poche «rappresentazioni continue» del canto V dell’Inferno, dall’apparizione di Minosse, in basso al centro, allo svenimento di Dante, appunto, in alto a destra. Una figurina giace supina, mentre altre tre (Virgilio, per certo, in quanto riconoscibile dall’abito; con i due amanti?) la assistono in piedi atteggiati a costernazione. L’occorrenza è preziosa, ma il fatto che sia collocata all’interno di un’illustrazione complessiva del canto sottrae al suo specifico interesse per il tema dello svenimento.
Ugualmente periferica è la rappresentazione dell’episodio nel Dante historiato (1586-1588) di Federico Zuccari (https://www.uffizi.it/mostre-virtuali/dante-istoriato-inferno#11). Del canto V Zuccari mette in scena Minosse giudicante e le anime dannate travolte dalla bufera, due delle quali sono allacciate in un tenero abbraccio (https://www.uffizi.it/mostre-virtuali/dante-istoriato-inferno#10 ). Commenta Zuccari: «[…] e qui riconobbe Francesca d’Arimino, con la quale ragiona dell’amor tra lei e Paulo suo cugnato e, vedendoli così tormentati per pietà, cadde in terra tramortita [scil: tramortito]» (fol. 6v). La scena dello svenimento non è tuttavia presente in questo foglio, bensì nel successivo, che ha per tema la discesa al terzo cerchio e l’apparizione di Cerbero e delle anime dei golosi. In alto a sinistra, prima della spaccatura nella roccia che conduce al terzo cerchio, s’intravedono ancora le anime dei lussuriosi in balìa della bufera, il corpo di Dante riverso al suolo rappresentato di scorcio e Virgilio in atto di andarsene, il viso ancora rivolto all’indietro ma il piede sinistro già proteso in avanti, quasi a non voler indugiare oltre sulla scena.
3. In primo piano
Il primo a rappresentare in posizione di rilievo lo svenimento di Dante è John Flaxman nel 1793 [fig. 1]. Il poeta vi appare riverso al suolo in posizione supina, quasi inarcato in un’innaturale tensione. È veramente un corpo caduto «di schianto», come espressivamente nel commento di Isidoro Del Lungo all’ultimo verso del canto. Dante è accudito da Virgilio accovacciato, mentre la posa di Paolo e Francesca arieggia l’iconografia della cacciata dal paradiso terrestre: la mano destra di ciascuno degli amanti a coprire il volto in segno di disperazione; le sinistre, l’una a cingere il fianco della donna dai lunghissimi capelli, l’altra quasi ad allontanare da sé il ricordo suscitato dall’incontro con il pellegrino.
La sopraffina tecnica flaxmaniana del disegno al tratto agisce sul foglio di Sophie Giacomelli sullo stesso tema datato 1813. Nel frattempo il soggetto è transitato su tela in un dipinto a olio di Nicola Monti del 1810, di recente acquisito dalle Gallerie degli Uffizi [fig. 2]. Anziché supino, come in Flaxman, Dante vi è rappresentato in posizione prona. L’abbandono del corpo è reso attraverso l’iconografia tradizionale del ‘braccio della morte’, sulla quale è stata di recente attirata l’attenzione a proposito della non lungi da venire impresa illustrativa dei Promessi Sposi (Nigro 2018, pp. 187-208); il dettaglio ritorna nelle illustrazioni di Bartolomeo Pinelli (1824-1826) [fig. 3] e di Ary Scheffer (1835) [fig. 4]. Quest’ultimo condivide con Monti anche la dinamica degli sguardi: quello di Virgilio, rivolto verso gli amanti, e quello di Paolo, orientato verso l’alto. In Monti, Beatrice guarda davanti a sé, trasognata, quasi presaga dell’Euridice di Rilke.
A proposito di Beatrice, una significativa novità è introdotta in una tela di Vitale Sala anteriore al 1823 [fig. 5], ripresa in controparte in una mediocre ma assai diffusa incisione di Gianfranco Gozzini (1846). La donna posa lo sguardo su Dante svenuto, quasi contraccambiando la «pietà» (v. 93) da lei invocata all’atto di prendere la parola; la scena riapparirà di lì a poco, sempre in Pinelli [fig. 3] e in Scheffer [fig. 4]. L’eroina coeva di Michele Bisi (1823) [fig. 6] guarda invece verso l’alto, là dove, secondo Goethe, conduce l’«Ewig-Weibliche».
Maggior dinamismo presenta la scena dell’incisore Pinelli [fig. 3], con Virgilio in atto di sostenere il corpo di Dante in caduta. L’illusione del movimento è accentuata dal drappo che fa vela intorno ai corpi di Paolo e Francesca e dall’ondeggiare dei capelli di quest’ultima, due tra gli esempi più tipici di bewegtes Beiwerk (accessori mossi) studiati da Aby Warburg (1893, p. 19); cosicché il passo dell’eroina riminese assume l’andatura leggera della ninfa.
Nella celebre illustrazione di William Blake (1826-1827) [fig. 7], un’altra delle rare «rappresentazioni continue» del canto, la bufera che trascina le anime dei lussuriosi ha la consistenza dell’elemento liquido, sorta di fiume Alfeo che attraversa le regioni aeree; la ramificazione dentro la quale si muovono i corpi di Paolo e Francesca – non sbattuti dal vento, bensì presi in una danza – ha invece l’aspetto di una vampa, di una lingua di fuoco. Alla sua radice giace inerte il corpo di Dante, come salma sulla pira funeraria. È il Dante «fedele d’Amore» che si riconosce nella vicenda dei due amanti. Questi ultimi sono rappresentati una seconda volta, in cielo, entro una nube circonfusa di luce, segno del trionfo della compassione sulla compunzione. Nell’acquerello, in particolare (Blake ne diede com’è noto anche una versione calcografica), Virgilio stesso risulta accecato dal bagliore che promana dall’alone di luce che circonda gli amanti.
La privazione dello sguardo è anche la cifra con la quale si esaurisce la fortuna iconografica dello svenimento, con l’incisione di Gustave Doré del 1861 [fig. 8]. La posa di Dante ricalca quella vista all’esordio del tema in Flaxman, così come quella di Virgilio accovacciatogli accanto; quest’ultimo, tuttavia, anziché sporgersi premuroso, volge lo sguardo altrove, in direzione opposta a quella del corpo svenuto, al quale lo lega il tenue contatto della mano appoggiata sul petto. Un velo che svolazza nella bufera impedisce al poeta antico di vedere gli amanti rapiti in volo (anche la visuale di Paolo è interamente chiusa da un drappo, più chiaro). L’«atteggiamento del narratore» ha contagiato la sua guida, non più intenta a soccorrerlo, bensì chiusa anch’essa in un commosso dolore.
Bibliografia
E. Auerbach, Dante als Dichter der irdischen Welt, Berlin-Leipzig, Verlag Walter de Gruyter & Co., 1929, trad. it. Dante poeta del mondo terreno, in Id., Studi su Dante, Milano, Feltrinelli 19744 (1963), pp. 1-161.
E. Auerbach, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur, Bern, A. Francke, 1956, trad. it. Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, 2 voll., Torino, Einaudi, 2000.
L. Battaglia Ricci, ‘«Perch’io parti’ così giunte persone, / partito porto il mio cerebro, lasso!...»: imagines agentes nella nona e nella decima bolgia’, in Esperimenti danteschi. Inferno 2008, a cura di Simone Invernizzi, Genova-Milano, Marietti 1820, 2008, pp. 223-238.
L. Battaglia Ricci, Dante per immagini. Dalle miniature trecentesche ai giorni nostri, Torino, Einaudi, 2018.
W. Benjamin, Goethes Wahlverwandtschaften (1922), trad. it. «Le affinità elettive» di Goethe, in Id., Opere complete, a cura Rolf Tiedemann e Hermann Schweppenhäuser, 8 volumi, Torino, Einaudi, 2001-2014, vol. I, pp. 523-589.
F. Farina, ‘Dall’inferno al paradiso: appunti sulla trasformazione di Francesca da Rimini nelle arti visive tra XV e XX secolo’, in Women in Hell. Francesca da Rimini & Friends Between Sin, Virtue and Heroism / Donne all’inferno. Francesca da Rimini & Co. Tra peccato, virtù ed eroismi, Giornate Internazionali Francesca da Rimini, sesta edizione, Los Angeles, 20-21 aprile 2012, Atti del Convegno, Rimini, Romagna Arte e Storia, 2013, pp. 207-226.
M. Maggi, Walter Benjamin e Dante. Una costellazione nello spazio delle immagini, Roma, Donzelli, 2017.
S. S. Nigro, La funesta docilità, Palermo, Sellerio, 2018.
L. Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella «Commedia» di Dante, Bologna, il Mulino 2007.
L. Ritter Santini, ‘Gli angeli del sonno’, in Parigi/Venezia. Cultura, relazioni, influenze negli scambi intellettuali del Settecento, a cura di Carlo Ossola, Firenze, Leo S. Olschki, 1998, pp. 389-410.
G. Simmel, Goethe (1913), a cura e con introduzione di Michele Gardini, Macerata, Quodlibet, 2012.
A. Warburg, Sandro Botticellis «Geburt der Venus» und «Frühling»: eine Untersuchung über die Vorstellungen von der Antike in der italienischen Frührenaissance (1893), trad. it. La «Nascita di Venere» e la «Primavera» di Botticelli. Ricerche sull’immagine dell’antichità nel primo Rinascimento italiano, in Id., La rinascita del paganesimo antico. Contributi alla storia della cultura (Gesammelte Schriften, Leipzig-Berlin, B. G. Teubner, 1932), Firenze, La Nuova Italia, 1966 e 1980, pp. 1-58.