Barbablù entra fragorosamente in Spagna sulla scia del trambusto rivoluzionario del 1868. Emilia Pardo Bazán, illustre e prolifica rappresentante della narrativa della Restaurazione, ricorda l’evento con i toni polemici di chi non simpatizzò con le derive anticlericali e blasfeme della rivoluzione: «la revolución había traído consigo la más espantosa decadencia del gusto […] Arreciaba la epidemia de can-can y bufos; no se oía tocar sino el Ojo huero o los rigodones de Barba Azul: Offenbach reinaba» (Pardo Bazán 1886, p. 29). Ad affermarsi è dunque una versione comico-satirica del mito, l’opera buffa Barbe-Bleue di Jacques Offenbach e libretto del celebre duo Henri Meilhac e Ludovic Halévy (in tre atti e quattro quadri), che nel 1866 fece il suo debutto al Théâtre des Variétés parigino.
Il pubblico spagnolo non era nuovo alle operette di Offenbach poiché già dal 1855 le applaudiva come zarzuelas. Fu però Francisco Arderíus, fondatore nel 1866 della compagnia dei «bufos madrileños», sul modello dei «bouffes parisiens» di Offenbach, a diventare dopo la rivoluzione «el paladín de Offenbach en Madrid» (Mejías García 2017, p. 458) [fig. 1]. La fama che l’illustre compositore si conquistò in questi anni in Spagna, terra che, tra l’altro, egli scelse come ‘campo neutrale’ durante la guerra franco-prussiana (1870-71), viene senz’altro confermata dai calorosi omaggi che la stampa madrilena gli tributò alla sua morte, nel 1880:
Ha muerto el genio de los Bufos parisienses, el popular músico Offenbach, el autor de La Gran Duquesa, La Bella Elena, Barba Azul, Orfeo en los infiernos, Genoveva de Brabante y tantas obras famosas, que han recorrido triunfalmenle los teatros europeos. Su vida artística fue una continua carcajada: su nombre tenía una significación y un eco tan alegres, que la noticia de su fallecimiento produce una sensación extraña, por la asociación de las ideas lúgubres de la muerte con el recuerdo de la música ligera y juguetona del maestro (La ilustración española y americana, 8 de octubre de 1880).
Tra i tanti successi (dal 1855 al 1905 si rappresentano una cinquantina di opere di Offenbach tradotte a Madrid e a Barcellona), Barbe-Bleue è l’opera con più versioni spagnole. Nel 1869 approda prima al Teatro de la Zarzuela di Madrid, con la dicitura «arreglada al teatro español» di Antonio Hurtado e Francisco Luis Retes, poi a Barcellona, nella versione proposta dall’impresario Arderíus, firmata da Miguel Pastorfido e dal futuro grande parodista Salvador María Granés. Dello stesso anno è anche un adattamento di Ángel Povedano, ma non si ha notizia di rappresentazione. A conferma dell’immediato successo dell’opera ricordo che già tra il 1869 e il 1870 si realizzarono due pastiche e la parodia Patilla verde [fig. 2].
Il Barbablù di Offenbach, per dirlo con le parole del musicologo Mejías García, è «una de sus más interesantes y acabadas partituras de ópera bufa […] un texto bien construido, coherente dramatúrgicamente y en el que van de la mano, sin estridencias, elementos tan dispares como lo siniestro (inevitable por el argumento), lo erótico y la sátira del poder» (Mejías García 2017, p. 456). Siamo ben lungi dal cupo e mostruoso tiranno che uccide le sue numerose mogli per punirle della loro curiosità; questo Barbablù è un allegro giovane (vestito di raso bianco sulle scene parigine del 1866), un incallito donnaiolo ma con certi scrupoli morali che gli impongono di sposarsi prima di soddisfare i suoi desideri, e di sbarazzarsi delle mogli col veleno procuratogli dal suo alchimista Popolani, visto che non può ricorrere al divorzio. Il suo antagonista è un personaggio altrettanto curioso e strampalato: il re Bobèche, autoritario e tronfio. Una fin troppo chiara satira del potere, quella satira che era la valvola di sfogo tollerata da Napoleone III, «che ben conosceva l’arte di allentare la briglia» (Della Seta 1993, p. 264). Bobèche fa uccidere dal Conte Oscar quelli che ritiene essere i corteggiatori della regina. In realtà né Popolani, né il conte uccidono le vittime designate: le mogli vivono all’insaputa di Barbablù dentro un panteon che ha la forma di un lussuoso boudoir, e che costituisce un piacevole harem per Popolani. Il finale viene sancito da una sarabanda matrimoniale tra le presunte vittime dei due nobili aguzzini, venute allo scoperto, e Barbablù si riprende l’ultima moglie abbandonata.
Se, come affermava la scrittrice galiziana, le arie del Barbablù risuonavano per ogni dove, anche certe battute del testo, secondo quanto ho potuto constatare dallo spoglio di vari periodici pubblicati tra gli anni Settanta e gli inizi del Novecento, si erano talmente fissate nella memoria collettiva da divenire un vero e proprio tormentone. Mi riferisco al divertente dialogo tra il conte Oscar e il re Pipino (nome ispanico di Bobèche) in IV, 2 dell’adattamento, molto fedele, di Hurtado:
Rey¿Cómo puede compararse á un rey que tiene ciento veinte millones de vasallos un principillo de tres al cuarto?
ReyYa ves que no es posible! Hace falta un castigo... y le habrá.
CondeEl señor de Barba Azul tiene un cañón.
Rey¡Ah! tiene un cañón.
CondeY vos no tenéis ninguno.
Rey¿Cómo que no tengo?
CondeTodos se han empleado el año pasado en fundir vuestra estatua ecuestre
(Hurtado 1869, pp. 40-41).
Il cannone di Barbablù verrà citato in varie circostanze, tra cui la seconda guerra carlista: «uno de los cañones que tienen los carlistas es conocido entre nosotros con el nombre de Barba Azul» (La época, 1 de abril de 1874). Inoltre, la battuta «Barba Azul tiene un cañón» continua a riecheggiare anche tardivamente come ironico termine di paragone in ambito militare:
Leemos: «Se ha autorizado al ministro de Marina para que adquiera un cañón sin las formalidades de costumbre.» Ya Barba Azul tiene un cañón. ¿Quién le toserá de aquí en adelante? Y no es un cañón cualquiera; ya ven ustedes, un cañón adquirido sin formalidades, tiene que ser un cañón muy poco normal, y va a reírse hasta de sí mismo. Pero ¿dónde va a colocar el señor ministro ese informal cañón? (El Progreso, 14 de junio de 1883).
Ma non solo. Un altro esempio è l’articolo del giornalista Federico Urrecha sulla scrittrice che ho menzionato all’inizio: «La señora Pardo Bazán tiene un drama, como Barba Azul tenía un cañón, con la diferencia de que el cañón de Barba Azul no servía para nada, y el drama de la ilustre autora de La Tribuna a servir para renovar y vigorizar nuestro decadente teatro» (Los Lunes del Imparcial, 10 de septiembre de 1894) [fig. 3].
Sulla scia del trionfo del Barba Azul offenbachiano i teatri madrileni registrarono un susseguirsi di ‘variazioni’ comiche sul tema. Nel 1872 si rappresentò con successo El descendiente de Barba Azul e l’anno dopo il coreografo Giovanni Garbagnati trasformò l’opera in un balletto pantomimico. Su La época del 28 maggio 1873 si segnalano il «lujo y el aparato escénico desplegados por el opulento empresario» in questa nuova edizione «corregida y considerablemente mejorada» dove, in un’ambientazione orientaleggiante (Taid Bajà è il discendente di Barbablù, circondato da visir, odalische, negri eunuchi, soldati arabi), si mescolano motivi cristiani e pagani (Satana, Venere, divinità marine, Nereidi), il tutto arricchito da pipistrelli, uccelli, pesci, elefanti, giraffe [fig. 4].
Nel 1878 viene pubblicata invece Las siete mujeres de Barba Azul, un’opera sì in prosa, eppure legata al mondo del teatro. Anzitutto perché il principe Escamón, che racconta le disavventure matrimoniali del protagonista, era un personaggio effemminato e ritroso al matrimonio della celebre zarzuela El potosí submarino (1870); inoltre, è il critico teatrale Pedro Bofill che la recensisce su El Globo (1 de mayo de 1878) come estremamente divertente e piccante.
Chiude l’Ottocento La nieta de Barba Azul (1899), un monologo in versi scritto da Enrique Ceballos Quintana per la prima attrice María Ceballos che interpreta Rosa, la Barbablù, che racconta le storie dei suoi quattro mariti, tutti morti di malattia, e del quinto prescelto, trovato in un annuncio sul giornale. La rassegna di tipologie sociali e professionali (impiegato, militare, giornalista e oratore, azionista di imprese minerarie, inglese) è ovviamente il pretesto per una lieve e divertente satira di costume.
Il Novecento si apre con El señor de Barba Azul (1903), «refundición di Granés en un acto y en verso, dividido en cuatro cuadros», e La señora Barba Azul (1909) di Fernández Lepina, «bufonada en un acto dividido en tres cuadros». Quest’ultima viene recensita da El País del 20 ottobre 1909 in questi termini:
La señora Barba Azul es una «astracanada» de las más obesas que se han estrenado por esos teatros. Pero gruesa y todo, la gracia es abundante, y puestos en situación de reír perdonamos de buen grado [...] En conclusión La señora Barba Azul no será una obra cómica admirable, pero voto por ella antes que por los melodramas pasionales. La música, de los señores Quislant y Escobar es muy floja, bastante inferior al libro. El señor Alarcón es un actor cómico estimable y llevó con cariño el peso de la obra. Fue el único digno de mención.
[fig. 5] L’argomento non è originale. In effetti è una divertente parodia del romanzo di Eugène Sue pubblicato a puntate tra il 1841 e il 1842 col titolo L’aventurier ou la Barbe-Bleue, poi in volume col titolo La morne au diable ou L’aventurier. Se è probabile che tale ipotesto fosse noto al pubblico madrileno (Sue, infatti, era molto letto e il romanzo era stato tradotto nel 1845 con il titolo El castillo del diablo o el aventurero), la mia scoperta è stata invece del tutto casuale: simultaneamente alla rappresentazione, nei mesi di settembre e ottobre, El imparcial pubblica una traduzione del romanzo intitolata La sima del diablo. La storia seicentesca, piena di peripezie e colpi di scena, di un avventuriero che vuole essere il quarto marito di una presunta terribile vedova, definita appunto Barbe-Bleue, assume sulle scene le vesti della contemporaneità: gli scenari sono un porto spagnolo, un transatlantico e infine l’America del Sud; si parla di yankees, di re del Petrolio, si scimmiotta l’inglese, si nomina Dion-Butón, il maggiore fabbricante di automobili al mondo nel 1900. La versione comica inaugurata in Spagna da Offenbach viene canonizzata e sfruttata fino al suo esaurimento dal género chico, padrone indiscusso dei teatri della Belle Époque.
Bibliografia
E. Ceballos Quintana, La nieta de Barba azul. Monólogo en verso, original de D. Enrique Ceballos Quintana. Escrito para la primera actriz Srta María Ceballos, Madrid, Florencio Fiscowich Editor (Sucesor de Hijos de A. Gullón), Pez, 40 – Oficinas: Pozas, 2, 2̊, 1899.
F. Della Seta, Italia e Francia nell'Ottocento, Torino, EdT, 1993.
J. Garbagnati, El descendiente de Barba Azul: gran baile pantomímico, cómico, trágico, oriental, en dos partes y nueve cuadros, del maestro y coreógrafo Juan Garbagnati. La música compuesta y arreglada por Mr. G. Betjemann y D. José V. Arche, Madrid, Imprenta de José M. Ducazcal, 1874.
S. M. Granés, El señor de Barba Azul. Opereta bufa refundida en un acto y en verso, dividido en cuatro cuadros por su autor Salvador M. Granés. Música del Maestro Offenbach, Madrid, Salón del Prado, 14, Hotel, 1903.
A. Hurtado, F. L. De Retes, Barba Azul. Ópera bufa en cuatro actos. Escrita en francés por los señores Henry Meilhac y Ludovic Halevy. Música del maestro Offenbach. Arreglada al teatro español por Don Antonio Hurtado y Don Francisco Luis de Retes, Madrid, Oficinas, Pez, 40, 2̊, 1869.
A. F. Lepina, A. Plañiol, La señora Barba Azul. Bufonada en un acto dividido en tres cuadros. Música de los maestros Quislant y Escobar, Madrid, Sociedad de Autores Españoles, Núñez de Balboa, 12, 1909.
E. Mejías García, ‘Una zarzuela de éxito en 1869. Barba Azul de Offenbach’, in M.P. Espín Templado, P. de la Vega Martínez, M. Lagos (coord. por), Teatro lírico español: ópera, drama lírico y zarzuela grande entre 1868 y 1925, Madrid, Universidad Nacional de Educación a Distancia, 2017, pp. 453-476.
E. Pardo Bazán, ‘Apuntes autobiográficos’, in E. Pardo Bazán, Los Pazos de Ulloa, Barcelona, Daniel Cortezo y C. Editores, 1886, pp. 5-92.
M. de Pastorfido, S. M. Granés, Barba Azul. Ópera bufa en tres actos y en verso, arreglada a la música de Offenbach por D. Miguel de Pastorfido y Don Salvador M. Granés, Madrid, Imprenta de Los Sucesos, Huertas, 70, 1868.
A. Povedano, Barba Azul. Ópera burlesca en tres actos y en tres cuadros por Enrique Meilhac y Ludovico Halevy. Música del Maestro Jacques Offenbach, arreglada a la escena española por A. Povedano, Madrid, Imprenta de T. Núñez Amor, Ave-María, 3, 1869.
Las siete mujeres de Barba Azul. Desventuras matrimoniales relatadas por el Príncipe Escamón, Madrid, Imprenta central a cargo de V. Saiz, Calle de la Colegiata n. 6, 1878.