5.1. Makeup Yourself: professionalità, saperi e comunità femminili

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Nello scenario ipervisibile della cultura popolare, il corpo è riconosciuto come oggetto del lavoro delle donne: è una loro risorsa, un loro prodotto, un loro brand e il loro punto di passaggio per la libertà e l’empowerment in un’economia di mercato neoliberista (Winch 2015, p. 21, tutte le traduzioni sono nostre).

Così Alison Winch riassume una delle implicazioni della sensibilità postfemminista, che trova espressione nella rappresentazione mediale (e mediata) di sé. Già queste righe stimolano riflessioni su fenomeni contemporanei di grande popolarità, fra cui spiccano i makeup tutorial, fin dagli esordi uno dei principali ‘generi’ di YouTube. In questo saggio intendiamo partire da qui per ragionare sui modi di rappresentazione del corpo e del viso in relazione al formato del video online; sulla costruzione di un’intimità fra Youtuber e utenti; sulla configurazione di figure pubbliche che integrano discorsi sulla soggettività con modelli imprenditoriali femminili. Vogliamo quindi approfondire le negoziazioni fra i processi neoliberisti, che secondo le teorie del postfemminismo tendono a costruire la femminilità secondo binari precostituiti, e le emergenze delle singole posizioni culturali e sociali.

 

1. I makeup tutorial, tra costruzione imprenditoriale della persona e logiche di surveillance

Quando parliamo di makeup tutorial, l’emblema del genere è ClioMakeUp, una «realtà strutturata che presidia l’ambiente digitale nelle sue diverse dimensioni» (https://blog.cliomakeup.com/chi-siamo/ ). Al centro di questa impresa, Clio Zammatteo: make-up artist, beauty blogger, Youtuber e personalità televisiva [fig. 1].

Trasferitasi a New York a studiare makeup, nel 2008 apre il suo canale Youtube e nel primo video (https://www.youtube.com/watch?v=ZYgEQU3gGkw ) spiega l’intento di pubblicare regolarmente tutorial di trucco in italiano, per colmare la mancanza di contenuti di questo tipo non in lingua inglese. Il successo del canale è immediato, così come l’attenzione mediatica che questo stesso successo suscita: nel 2009 Clio pubblica per Rizzoli un manuale di trucco dal titolo significativo Clio Make-up - La scuola di trucco della regina del web; la sua carriera prosegue con altre pubblicazioni, collaborazioni con alcuni brand (tra cui Vogue e Pupa), fino a portare, nel 2012, il format del makeup tutorial su Real Time, con i programmi Clio Make Up e Make-Up Time con Clio. Nel 2017 apre il ClioMakeUp Lab, ufficio per un team di collaboratrici che vanno a formare la redazione del blog https://blog.cliomakeup.com. Qui i contenuti sono diversificati: si va dalla moda alla salute, dal sesso e le relazioni alla maternità. Nello stesso anno, Clio lancia la sua prima linea di trucchi e nel 2018 torna su Real Time per il programma Clio missione mamme, che ha origine dalla propria esperienza di maternità.

Abbiamo aperto questa analisi con il caso di Clio Zammatteo perché, oltre agli importanti numeri registrati (https://blog.cliomakeup.com/chi-siamo/),

Il caso porta in primo piano la commercializzazione del sé e dei propri saperi attraverso un raccordo fra dimensione imprenditoriale e personale tipica del pensiero neoliberista, che porta la costruzione morale dell’individuo a diventare una costruzione imprenditoriale in cui «il corpo politico cessa di essere corpo, ma è piuttosto un gruppo di imprenditrici e consumatrici individuali» (Brown 2009, p. 43). I makeup tutorial richiamano questa identità consumistica dell’individuo: abbiamo infatti delle consumatrici che sviluppano dei saperi, professionalizzano un’attività amatoriale attraverso la standardizzazione delle pratiche e della produzione dei video su YouTube e, in alcuni casi come quello di Clio, diventano imprenditrici che gestiscono imprese. Che le Youtuber in questione sponsorizzino ufficialmente un marchio o che si limitino ad acquistare loro stesse dei prodotti per recensirli e dare consigli di utilizzo alle utenti, la dimensione consumistica rimane centrale, così come quella della figura dell’esperta tipica del paradigma del makeover. Questi modelli sono costitutivi della sensibilità postfemminista, in quanto portano le persone (soprattutto donne) a credere che «la loro vita è mancante o difettosa; che è conducibile verso una reinvenzione o trasformazione seguendo i consigli degli esperti su relazioni, organizzazione o stili di vita e praticando abitudini di consumo efficacemente modificate» (Gill 2007, p. 156). Da questo punto di vista, anche i consigli e i tutorial di Clio non sfuggono alle logiche interconnesse della surveillance e della self-surveillance (Elias, Gill 2017; Gill 2017), cioè lo scrutinio e la misurazione costante (da parte dell’esterno oppure auto-inflitto) delle caratteristiche del proprio aspetto e delle proprie abitudini, e la loro interpretazione come ‘difetti’ da correggere, tra i quali micro-elementi come le discromie facciali, i peli delle sopracciglia o i pori della pelle.

I tutorial sembrano naturalizzare questo (auto)controllo, riconducendo l’empowerment a un sistema individualista: «Sia il postfemminismo che il neoliberismo sono strutturati attraverso una grammatica di individualismo che ha rimpiazzato quasi completamente le nozioni di ‘politico’ o ‘sociale’, o qualsiasi idea di individui soggetti a pressioni, costrizioni o influenze dall’esterno» (Elias, Gill 2017, p. 69). Tuttavia, pur mantenendo queste basi comuni, va comunque riconosciuta una certa diversità all’interno del genere makeup tutorial. Prendiamo Michela Parisi, in arte Mikeligna (https://www.youtube.com/user/mikeligna) [fig. 2]. Come Clio Zammatteo, Mikeligna ha intrapreso un percorso che va dai tutorial online sulla nail art, alla conduzione del programma Nail Lab su Real Time dal 2013 al 2015, impostando importanti collaborazioni commerciali e pubblicando un manuale con Rizzoli. Ma, mentre Clio utilizza il proprio vissuto personale per allargare lo sguardo dei suoi contenuti a questioni anche universalizzabili all’intero mondo femminile (fat shaming, slut shaming, maternità, ecc.) senza necessariamente inserire sponsorizzazioni o recensioni di brand e prodotti, Mikeligna, che pure impronta i suoi contenuti anche su esperienze personali e lifestyle, tiene sempre ferma la collaborazione con marchi attraverso gli haul (video di esibizione degli acquisti fatti, spesso connessi a sponsorizzazioni di prodotti appena lanciati sul mercato) senza riuscire davvero a collegare un’intimità (almeno apparentemente) reale con la più ampia sfera sociale.

Proprio in virtù di queste diversità, per comprendere le negoziazioni tra intimità e rappresentazione, tra individualismo e sguardo sociale, fra imperativi neoliberisti e logiche di empowerment, è importante analizzare i linguaggi e le modalità di creazione di una relazione fra vlogger e utenti.

 

2. Negoziazioni tra professionalità e fiducia

A partire dalla descrizione di Internet, e di YouTube in particolare, come gendered space, Szostak afferma che «le vlogger sono prigioniere all’interno di una complessa negoziazione con la loro stessa rappresentazione» (Szostak 2013, p. 53). Una negoziazione che comprende la gestione di dinamiche di peer pressure (ivi, p. 52) da parte delle proprie follower, che può manifestarsi attraverso il commento, il giudizio e lo scrutinio dei contenuti e del comportamento pubblico della Youtuber, anche e soprattutto quando la vlogger in questione supera l’amatorialità per diventare influencer o professionista. L’occasione di un cambiamento di status della Youtuber è uno dei momenti in cui la ‘pressione tra pari’ si addensa e si esprime attraverso picchi di discussione tra i membri delle community.

Un caso emblematico è il passaggio dalla dimensione intima del vlog e del tutorial sul proprio canale a quella dello schermo televisivo, che come abbiamo visto ha riguardato sia ClioMakeUp che Mikeligna: in questi casi una critica ricorrente riguarda il ‘tradimento della fiducia’, secondo una logica di sovrapposizione tra autenticità e amatorialità, che da un lato sembra stigmatizzare a prescindere la prestazione commerciale, sia essa televisiva oppure online tramite collaborazioni e sponsorizzazioni, dall’altro sanziona il passaggio da una visibilità percepita come circoscritta a una percepita come mainstream [figg. 3- 4].

Nel cambiamento di formato da Youtube alla televisione si intrecciano questioni di costruzione spaziale e di performance: dallo spazio intimo della propria casa a quello più impersonale dello studio televisivo, sebbene decorato in modo da ricordare un ambiente domestico, il corpo e il volto della Youtuber sono ridimensionati e messi in connessione con un’ampiezza che ri-articola la relazione tra loro e lo schermo.

Nel caso dei makeup tutorial come quelli di Clio, quando non vengono più performati su se stesse ma su altre risalta la perdita della dimensione do-it-on-yourself, che è alla base della comunicazione del legame tra pari che struttura i meccanismi di fidelizzazione e fiducia, poiché

 

[i video personali su Youtube] sono confessionali e intimi, come rappresentato dall’attenzione visuale sul viso e sulla retorica personalizzante del ‘tu’ della Youtuber, ma riflettono anche la tensione tra un soggetto pubblico, sviluppato e allineato con l’economia dell’attenzione, e il ‘volto nudo’ (talvolta in senso letterale, come all’inizio dei beauty tutorial) (Berryman, Kavka 2018, p. 86)

Sia nel caso di ClioMakeUp che in quello di Mikeligna il trasferimento delle proprie competenze e della forma del tutorial sul canale Real Time si accompagna a una ulteriore esposizione allo scrutinio, che si è manifestato nel body shaming (nel caso di Clio, che all’avvio del suo programma nel 2012 viene per la prima volta inquadrata ‘per intero’) [fig. 5] e in accuse di plagio e di scarsa competenza (nel caso di Mikeligna e del suo programma Nail Art Lab).

Occorre sottolineare come questo genere di critiche, soprattutto quelle relative all’inappropriatezza di legami di partnership con i brand, siano ormai quasi del tutto superate, in virtù della moltiplicazione di Youtuber e di collaborazioni di questo genere da un lato, e dell’emergere di questioni critiche di altro tipo, come i temi della diversità e dell’inclusività, dall’altro. I contenuti sponsorizzati rispondono oltretutto a una retorica ben precisa, che inscrive sempre l’utilizzo di un determinato prodotto tra tanti altri, e che esemplifica anche il potere contrattuale delle Youtuber, le quali si riservano sempre il diritto di poterne criticare la funzionalità.

 

Conclusioni

In questa analisi è emerso chiaramente il raccordo fra dimensione imprenditoriale e personale, che tiene al centro il corpo delle donne in un paradigma generalmente basato su pratiche consumistiche. Tuttavia, all’interno di tale paradigma, abbiamo anche rilevato una diversificazione di pratiche che ci spinge ad alcune riflessioni sul rapporto tra Youtuber, follower e sfera pubblico-sociale.

Nel passaggio alla professionalizzazione appare fondamentale per le Youtuber il mantenimento degli aspetti di condivisione di interessi e trasferimento di saperi ed expertise che diano l’apparenza che esperta e follower siano allo stesso livello (linguistico, culturale, identitario). Negli ultimi tempi questa dinamica di (ri)conquista della fiducia è alimentata principalmente da Instagram: questo social si è appropriato della logica dell’autenticità attraverso le stories che, essendo naturalmente basate sull’apparenza di una dimensione ‘live’ e trasparente, stanno accentuando l’abbattimento della barriera distanziante della messa in scena.

Un ulteriore fattore rinforzante per la fiducia Youtuber/follower è il mantenimento della propria autonomia rispetto al brand sponsorizzato, come mostrato nel paragrafo precedente. Questo rimarca, anche all’interno della sfera commerciale, l’indipendenza dell’esperta: la Youtuber continua a portare al suo pubblico esperienze e punti di vista personali, che arrivano a sollecitare il discorso pubblico e a esplorare posizionamenti non egemonici – Clio, ad esempio, tratta spesso di inclusività in ambiente beauty/fashion, con particolare attenzione alle identità non cis-gender. Le emergenze delle Youtuber possono quindi veicolare percorsi dal margine e fare emergere posizioni non conformi.

 

Il saggio è stato concepito dalle autrici in stretta collaborazione. Per quanto riguarda la stesura delle singole parti, Paola Brembilla ha scritto I makeup tutorial, tra costruzione imprenditoriale della persona e logiche di surveillance e Chiara Checcaglini ha scritto Negoziazioni tra professionalità e fiducia. Le conclusioni sono state scritte congiuntamente.

 

 

Bibliografia

R. Berryman, M. Kavka, ‘Crying on YouTube: Vlogs, Self-exposure and the Productivity of Negative Affect’, in Convergence: The International Journal of Research into New Media Technologies, v. 24, n. 1, 2018, pp. 85-98, DOI: 10.1177/1354856517736981

W. Brown, ‘Neoliberalism and the End of Liberal Democracy’, in Ead., Edgework: Critical Essays on Knowledge and Politics, Princeton-Oxford, Princeton University Press, 2009, pp. 37-59, https://doi.org/10.1515/9781400826872.37

A.S. Elias, R. Gill, ‘Beauty surveillance: the digital self-monitoring cultures of neoliberalism’, in European Journal of Cultural Studies, v. 21, n. 1, 2017, pp. 59-77, https://doi.org/10.1177/1367549417705604

Gigi, ‘Nail Lab con Mikeligna: Real Time fra critiche feroci e plagio’, in La nostra TV, 6/04/2013, http://www.lanostratv.it/2013/04/nail-lab-con-mikeligna-real-time-fra-critiche-feroci-e-plagio/

R. Gill, ‘Postfeminist Media Culture. Elements of a Sensibility’, in European Journal of Cultural Studies, v. 10, n. 2, 2007, pp. 147-166.

R. Gill, ‘The Affective, Cultural and Psychic Life of Postfeminism: a Postfeminist Sensibility 10 Years On’, in European Journal of Cultural Studies, v. 20, n. 6, 2017, pp. 606-626.

N. Szostak, ‘Girls on YouTube: Gender Politics and the Potential for a Public Sphere’, The McMaster Journal of Communication, v. 8, n. 10, 2013, pp. 45-58.

A. Winch, ‘Brand Intimacy, Female Friendship and Digital Surveillance Networks’, in New Formations, n. 84, 2015, pp. 228-245.