1. Urano (Universo)
Con una lente di sua costruzione, l’astronomo e musicista William Herschel scopre – nel lontano 1781– un pianeta, Urano. È uno dei corpi celesti più lontani e inospitali della galassia, fatto di gas irrespirabili, vento e ghiaccio ma bellissimo a vedersi. Nella mitologia,Urano è il figlio che Gaia (la Terra) ha concepito sola, senza inseminazione né accoppiamento. Il sogno di un tale concepimento non eterosessuale è ripreso da Platone che,nel Simposio,fa riferimento allevicissitudinidella divinità per definire un amore rivolto allo stesso tempo verso la donna e l’uomo, una passione al contempo‘celeste’ e ‘volgare’, ‘sensuale’ e ‘intellettuale’. Karl-Henrich Ulrichs, giurista tedesco,vi si è ispirato per patrocinare il termine ‘uranista’ nonché la definizione del‘terzo sesso’, una spaccatura nell’epistemologia del concetto di genere che lo consacra oggi come iniziatore dei movimenti per i diritti delle persone non binarie. Nell’ambito della storia dell’arte, fu forse Claude Cahun la prima ad interessarvisi, definendosi lei stessa come figlia di Urano, incarnando la terzità e rendendo la propria immagine simbolo dell’intervallo fra i generi. Arriviamo a noi e a Paul B. Preciado – filosofo, curatore e attivista transgender – che oggi, attraverso quelle che sono raccolte come le «cronache della traversata», si descrive come un inquilino di Urano, un funambolo del confine, il perenne convalescente delle ferite inflitte dalle molteplici piaghe di un qui o di un lì, al di là o al di qua della frattura che la nozione dibinarismo ha a lungo imposto (Preciado 2019). Urano, per Preciado, è la figura cancellata che emerge nell’unione di qualche migliaia di puntini (gli anni luce che ci dividono dai luoghi più remoti della galassia), il luogo conquistato che segnail passaggio radioattivo (cioè raggiunto a suon di iniezioni) da Lei a Lui, da Beatriz (la B. del nuovo passaporto) a Paul, il nome del suo corpo definito come una «macchina rivoluzionaria» (p. 29). Da Atene, come osservatore-testimone del fallimento del governo di Tsipras, e nel pieno dell’esodo indotto (tra le altre) dalla guerra civile siriana, Preciado (che si trovava in Grecia per preparare, come curatore dei programmi pubblici, l’ultima edizione di Documenta) parla di sé come un «migrante del genere» e– in quanto uraniano,abitante di un «appartamento» su di un perenne crocevia –, chiama alla traversata dei confini tra «i generi filosofici, le frontiere epistemologiche, tra i linguaggi documentari, scientifici, narrativi, le frontiere del genere, tra le lingue e le nazionalità, quelle che separano l’umanità e l’animalità, i vivi e i morti, le frontiere tra il presente e la storia» (p. 44).
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Stampa (Svizzera)
Ora, l’orizzonte di questa traversata (con il bagaglio di tutta questa storia) mi sembra espresso e illuminato nella maniera più esemplare dall’opera di un’artista contemporanea, Miriam Cahn, in onore della quale Preciado ha avuto modo di scrivere un saggio pamphlet, dal titolo Transuranic flesh, racchiuso nel catalogo della mostra itinerante dell’artista – I as Human – che ha viaggiato tra il 2019 e il 2020 al Kunstmuseum di Berna, alla Haus der Kunst di Monaco e al Museo di Arte Moderna di Varsavia (Dzienwanska 2019, pp. 195-198). Facciamo dunque un balzo – o una traversata – che ci porterà da Basilea, luogo di nascita di Miriam Cahn, a Stampa, qualche chilometro più in là in Svizzera vicino al confine italiano, dove da qualche anno Cahn ha installato il suo studio. Cominciamo con il lanciare una bomba: Miriam Cahn ‘è’, e allo stesso tempo ‘non è’, un’artista femminista. D’altra parte il suo percorso sfugge all’imbrigliamento storico e tassonomico,perché è ibrido, e la sua vita piena di accidenti. Cahn nasce a Basilea nel 1949 alla fine della guerra da una famiglia migrante di origine ebrea installatasi in Svizzera dopo la fuga dalla persecuzione (lei stessa, parlando di una serie di opere recenti intitolata Mare Nostrum [fig. 1] farà espressamente riferimento al proprio passato, collegando il progetto europeo di salvataggio di migranti al ciclo ripetitivo delle maree della Storia). In Svizzera, il padre diventerà un celebre mercante d’arte, la madre è musicista, lei è indirizzata a seguire le loro orme ma, complici l’atmosfera di sperimentazione e la rivoluzione del concetto di opera d’arte della fine degli anni Sessanta, si rivolge alla locale scuola di arti e mestieri (oggi si direbbe graphic art o graphic design) diretta da Armin Hofmann. Nel 1973 ottiene il diploma e insegna disegno, nel 1976 la sorella minore commette suicidio: la sua vita cambia (o si definisce radicalmente). Cahn si dedica totalmente al disegno, svolto su carta o su cemento (cioè per strada: si farà anche arrestare per aver imbrattato le pareti dei muri di Basilea o Parigi,si vedala serie di graffiti My Woman-nessismy Public Part [fig. 2]), per scalpellare allo stesso tempo un desiderio di affermazione ed il senso di un rifiuto. Quello verso la supremazia del colore e della pittura a olio, verso la maîtrise che la prospettiva rinascimentale e le idee di quadro e cavalletto implicano,ma soprattuttoverso il concetto di Autore (uomo). Questi argomenti, che come sappiamo venivano in quegli anni messi in discussione, sull’onda dei saggi di Barthes e Foucault, dalle artiste femministe e dall’avvento dell’arte concettuale e performativa (Cahn parlerà sempre del suo lavoro in termini di performance riferendosi al modello di Jochen Gerz, Ulrike Rosenbach, VALIE EXPORT, Marina Abramovic, Vito Acconci), la portano ad affermare un apparente paradosso. La fame di conquista di uno statuto o, meglio, d’un modo d’essereuna donna e un’artista con e senza apostrofo, cioè innanzitutto nella negazione dell’esplorazione di ‘soggetti femminili’ o dell’elaborazione di ‘un’estetica al femminile’. «Volevo diventare un artista, volevo diventare Picasso, Munch, Goya, Michelangelo (…) essere un artista incondizionatamente e assolutamente libera di vivere come un uomo (…) lavorare come un uomo, mai essere al servizio di qualcuno, e mai mai mai ho desiderato di diventare moglie madre musa fidanzata o partner femminile»(Cahn in Bühler 2019, p. 74).L’opposizione tra mondo maschile e femminile è tematizzata nella prima mostra personale dell’artista alla Kunsthalle di Basilea, nel 1983, DAS KLASSISCHE LIEBEN, in cui sono contrapposti, lungo un percorso snodato tra enormi lavori a carboncino,i simboli dei rispettivi ruoli sociali. Il mondo dell’esperienza maschile è rappresentato da missili, navi da guerra, computer e grattacieli, mentre quello femminile da oggetti domestici (anch’essi in scala monumentale): letti, TV, case, tavoli e figure a pezzi (teste, occhi, torsi, bocche disarticolate). Più che tracciare un confine tra i due mondi (quello pubblico e tecnologico del mondo sociale vs quello privato e intimo del focolare), la mostra si configuracome un sistema diporte aperte, in cui le forme ed i simboli si fondono nell’esperienza percettiva dello spettatore o della spettatrice, interdetti all’appercezione unica data dal singolo colpo di sguardoperchécostretti ad adoperarsi ad una lettura per sequenze, una visione che «rimane fondamentalmente aperta e processuale svelando allo stesso tempo all’osservatore il paternalismo intrinseco all’armonia richiusa dell’immagine completa» (Vischer, 1986). La bomba scoppia dunque innanzitutto nell’abbandono del feticcio materiale o tematico, la perdita del controllo sullo spazio o sul soggetto.Se, come affermano in quegli anni Lucy Lippard e John Chandle, l’oggetto d’arte comincia a smaterializzarsi nelle polveri del mito dell’autore, Cahn recupera un mestiere (art and craft per l’appunto), facendo proprio lo spirito del tempo.Si dedicatotalmentealla performance del disegno, anzi letteralmente vi si ‘immerge’, ponendo le basi della metodologia che usa tutt’oggi,fabbricando lei stessa le superfici su cui opera (carta strappata al taglierino, a volte ricucita con lo scotch) che vengono poistese per terra e verso cui Cahn si protende, spesso a occhi chiusi, con massima concentrazione, per poi riemergere senza un’idea precisa del risultato. Questa indecisione, questo perenne stato di transizione delle forme, è riassunta benedai titoli di alcune serie di lavori della fine degli anni Settanta,inizio anni Ottanta: M.G.A.(che sta per il tedesco mitgeschlossenenaugen = ad occhi chiusi), e L.I.S. (lesenimstaub = leggere nella sabbia). Lavori in cui la perdita del controllo sulla prospettiva e sul soggetto (dovuta alla posizione impiegata nella realizzazione) si combina ad uno stile tattilema cieco: leggere nella sabbia, ovvero leggere con le mani, scrivere senza vedere cosa si legge, accecati, quasi irradiati. Una concentrazione ed una dedizione mistico-sciamanica in cui Cahn convoglia l’energia femminile nel ciclo riproduttivo consustanziale alla generazione dell’opera d’arte: non a caso altre serie di questo periodo portano i titoli bl.-arb. (bluten-arbeit = lavoro mestruale), e.-arb. (eisprung-arbeit = lavoro ovulazione). L’aggettivo ‘femminile’ va dunque inteso in Cahn come sorgente e vettore diun processo generativo che, se da una parte implica una forma diri-centramento sul soggetto (colei che si concentra, crea e dà a vedere) dall’altraconduce poi ad una forma di de-soggettivazionee distruzione, votata all’assimilazione panica ad ogni forma, deformata, dell’Universo. Nel processo che prende vita nel suo studio, a Stampa, Svizzera – un luogo di isolamento quasi monastico (si tratta di un blocco di cemento con due finestre dove l’artista lavora e vive e che si presenta al visitatore come un luogo svuotato e irreggimentato da una forma d’ordine solipsistico e maniacale) l’Io si perde ai confini dell’Universo. Per ritornare da Stampa a Urano, da Cahn a Preciado, è opportuno allora leggere le righe con cui l’artista descrive gli esseri–a volte lei stessa sotto le spoglie di figurine abbozzate, poi piante ed animali–della già citata serie M.G.A., una sequenza di immagini comeradiografie, cianotipi o ombre di esseri dimenticati o lentamente ricordati [fig. 3].«Nell’opera d'arte per come la intendo io il rapporto con la natura significa ripensare, lavorare e agire su ciò che le piante, gli animali, il paesaggio sono per me (cioè: per tutti). Il mio essere pianta, il mio essere paesaggio, il mio essere pietra, il mio essere animale sono la mia parte politica e pubblica, così come il mio essere donna è la mia parte politica e pubblica» (Cahn 1996, p. 21).
2. Corpi / nuda vita/ carne transuranica
Ora, se esiste un minimo comune denominatore tra tutti i lavori di Miriam Cahn (dalle opere su carta degli anni Ottanta, fino ai dipinti cui si dedica a partire dagli anni Novanta) questo è senza dubbio la rappresentazione del corpo (corpo fisico dell’artista impegnata nello sforzo della produzione e spesso autorappresentato [fig. 4]), corpi riprodotti nel rapido processo di traduzione dalla memoria) nello stato di perenne sospensione e transizione tra questo e quello, tra il dentro ed il fuori, tra l’animale e l’umano, tra l’umano e il non umano, tra l’uomo e la donna [fig. 5].Gli oli su tela, che Cahn comincia a produrre per un problema alla schiena che le impedisce la posizione reclinata, ma di cui continua a costruire manualmente il telaio, per poter maneggiare da sola anche i formati immensi, sono fabbricati dunque a misura delsuo corpoma, invece di riguadagnare un posto al vertice nella gerarchia dei supportie specularmente tematizzare l’irruzione dell’Io dell’artista nell’opera, sono trattati come una scelta aleatoria fra le tante. Everything is equally important, titolo di un’altra mostra del 2019 al Reina Sofia di Madrid, è allo stesso tempo un mantra ed il motore di ogni giornata di lavoro: la natura indefinita del soggetto si apparenta alla sceltacasuale del medium e del formato, pellicola super 8, sketchbook, tela monumentale o graffito, cover up di fotografie o sequenze di acquarelli che siano. Sto cercando di mettere in rilievo questa sovrapposizione tra due indefinitezze (i corpi, i supporti) per lasciare illuminata l’unica vera costante nel lavoro di Miriam Cahn, quella cheEric de Chassey, nell’egida di Giorgio Agamben, chiama rappresentazione della«nuda vita».La nuda vita, cioè una fragilità inerente alla vita biologica quando essa non è difesa o perde i propri diritti, dimenticata, offesa, esiliata, spesso sacrificata. Ma allo stesso tempo una condizione che mette in comunione gli esseri, una condizione non singolare ma condivisanello spazio abitato, occupato o fatto di corpi [fig. 6]. In Cahn, la nudità, e spesso la cruda genitalità, è condizione non soltanto della rappresentabilità ma anche della creazione, della messa alla luce, della vita stessa: nudi sono i corpi degli uomo-donna con il velo musulmano[fig. 7], nudi sono i cadaveri o le figure assopite nella fuga dalla guerra, nudi sono i corpi dei bambini e delle famiglie che trovano riparo negli spazi immensi di territori astratti, nude sono le madri che partoriscono nel dolore bambini nudi, nudi sono gli animali, cani-capre con immensi peni o vagine scoperte. Nudi sono gli arti strappati, gli occhi senza colore, bucati da campate di pitture iridescenti, nudi sono i paesaggi, le città, le topografie. ‘I as Human’, l’umanità per Cahn è qui, nell’indistinzione delle forme, nella nudità di un tutto abitato da tutti.
Paul B. Preciado, nel suo saggio su Miriam Cahn, parla di questa umanità nuda inventando un racconto dove i corpi di coloro che sono considerati «meno-che-umani» prendono vita come ibridi fatti di carne transuranica, corpi che potrebbero essere illustrati da un qualunque lavoro di Cahne che, anzi, Preciado chiede a Cahn di realizzare. «Le vagine e gli ani delle donne sono divisi: dal seno maschile sgorga una sorgente atomica da cui vengono alimentate le sopravvissute. I peni degli uomini sono strappati. O viceversa: i peni delle donne sono strappati e le vagine e gli ani degli uomini sono tagliati in due. Un carburante transuranico fluisce dai testicoli delle donne. Le ossa scompaiono. Scompare la capacità di parlare. La pelle scompare. La carne meno-che-umana è esposta. È quasi liquida e acquisisce il colore del plutonio in quattro gradi di ossidazione: rosa, verde, giallo e infine, quando muta, blu fosforescente (…) [fig. 8]. L'urlo esplode contro la tela come una bomba e non rimane nulla se non l'interno del corpo mostrato al mondo come pura esteriorità. Chi oserebbe fare i nostri ritratti mutanti? Chi se non tu oseresti inventare il colore della nostra carne (...)? Io dico: Voglio che tu dipinga l'unico ritratto esistente di me» (Preciado in Dziewanska 2019,pp. 195-197).
È fortificante immaginare questa possibilità politica, per me brillante, riflessa dall’opera di Cahn, in cui il corpo in circolazione nello spazio, che esso sia migrante, non normato, maschile-femminile, uraniano, umano-non umano, in transizione o transeunte si configuri come una risorsa d’azione, un motore di un processo allo stesso tempo di disidentificazione e di comunione tra gli esseri nudi.
Bibliografia
K. Bühler, ‘Miriam Cahn: Declaring War’, in M. Dziewanska (a cura di), I AS HUMAN (catalogo), Varsavia, Museum of Modern Art in Warsaw, 2019, pp. 69-93, per la citazione di Miriam Cahn si veda a p. 74.
M. Cahn, RELATEDNESS, DEPENDENCIES, IRRECONCILABILITIES AND THE WORK THAT IS ART, in WHAT LOOKS AT ME / SURROUNDINGS (catalogo), Darmstadt, Jürgen Häusser, 1996.
M. Cahn, WRITING IN RAGE, Berlin, Hatje Cantz, 2019, la citazione da questo testo non ha un riferimento al n. di pagina.
M. Dziewanska (a cura di), I AS HUMAN (catalogo), Varsavia, Museum of Modern Art in Warsaw, 2019.
P.B. Preciado, ‘Transuranic Flesh’, in M. Dziewanska (a cura di), I AS HUMAN (catalogo), Varsavia, Museum of Modern Art in Warsaw, 2019, pp. 195-198.
P.B. Preciado, Un appartement sur Uranus, Parigi, Grasset, 2019.
T. Vischer (a cura di), STRATEGISCHE ORTE (catalogo), Berlino, DAAD-galerieBerlin, 1986, la citazione da questo testo non ha un riferimento al n. di pagina.