7.3. Decostruire l’algoritmo. Machinima di donna

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Machinima: privare lo spazio videoludico del suo specifico, l’interattività, ed utilizzarlo come materia prima per un’opera video. Il nome è una contrazione tra ‘machine’, che ne sottolinea la natura algoritmica, e ‘cinema’, che ne descrive le proprietà estetiche. Il risultato? Un video che a prima vista può sembrare un lavoro di animazione, ma che in realtà è basato su principi totalmente diversi. Il videogioco stesso non è un’animazione, ma un sistema interattivo all’interno del quale sono presenti oggetti animati. Le tecniche di animazione, infatti, hanno il loro focus sul come gli oggetti si muovono. Videogioco e machinima, invece, utilizzano oggetti che hanno già delle proprie regole di animazione. Le opere di machinima sfruttano paesaggi, personaggi ed algoritmi di un videogioco come elementi di scena (qui sta l’affinità con il cinema), attraverso un lavoro di risemantizzazione (secondo la lezione ready-made) e di ri-montaggio del materiale video che in qualche modo è già esistente (tecnica assimilabile al found-footage). Il machinima nasce e si diffonde attraverso la rete, vedendo coinvolti i cosiddetti prosumers all’interno di una cultura mediale partecipativa, in particolare nel contesto delle fandom. La genesi della tecnica risale agli anni ‘90, nel pieno di una fermentazione creativa di massa nella quale gli stessi creatori «non si riconoscono nella figura dell’ “artista” professionista o amatore che sia» (Tanni, 2020), in condizioni che sono state terreno fertile per la disciplina net.art alla quale, in qualche caso, lo stesso machinima può far riferimento.

Le opere di machinima hanno spesso a che fare con tematiche sociali, affrontate attraverso il rovesciamento delle rappresentazioni e delle possibilità algoritmiche offerte dal videogioco. Esempio forte quello di Peggy Ahwesh, che rielabora in chiave femminista Tomb Raider (1996-2018), videogioco la cui famosa eroina Lara Croft è considerata un prodotto di male gaze. Nella produzione machinima ad opera di donne, la decostruzione degli stereotipi è attuata nella sua stessa realizzazione: affiancarsi al videogioco, metterci mano, smontarlo, ricomporlo, significa contrastare l’idea che tecniche e linguaggi videoludici siano prerogativa maschile. Dato il tema del Forum di quest’anno, dedicato alle video artiste, si tralascerà l’aspetto fandom dei machinima, che necessiterebbe di approfondimenti a parte. Ci si limiterà, pertanto, ad alcune produzioni (di donne, naturalmente) che abbiano continuità con il discorso dell’arte.

1. Unready-madevideoludico

La nascita del machinima colloca le sue radici nell’ambito cracker, modder, nella registrazione di trailer e demo di prodotti videoludici e delle performance di gameplay, ovvero nel momento in cui è possibile modificare e registrare il videogioco. Si può però parlare di veri e propri machinima, termine coniato da Hugh Hancock e Paul Marino, solo negli anni ‘90, quando si utilizzano degli schemi tipici della produzione cinematografica e televisiva (Marino 2004): personaggi e personagge di gioco come attori e attrici, ambienti digitali come scenografie, uso del montaggio, elaborazione narrativa, gestione della telecamera. Machinima è «audiovisivo digitale creato grazie all’appropriazione e alla manipolazione di un videogioco, rigetta la caratteristica essenziale del testo originale: l’interattività» (Bittanti 2017). L’aspetto di riappropriazione di materiale di consumo riguarda la sempre più affermata figura del prosumer, ovvero quel consumatore che è anche produttore di contenuti (Toffler 1980), relativamente ai fenomeni delle audience creative (Fanchi 2014) e della cultura convergente (Jenkins 2006); le produzioni frutto di riappropriazione sono da un lato parte integrante di un sistema consumistico (Bruns 2012) e contemporaneamente collegabili ad un discorso utopico di commons-based peer production (Benkler 2006). Tali elaborati hanno cioè la possibilità di essere sfruttati dalle case produttrici come strumento di promozione (o al contrario tali produzioni possono essere scoraggiate), ma allo stesso tempo essere rivendicate dai sostenitori della free culture (Lessing 2004) come forme di liberazione creativa. Ciò si lega inevitabilmente alla diatriba copyright, motivo per il quale non è sempre facile pubblicare machinima. Le principali piattaforme che promuovevano il genere sono, infatti, attualmente inattive: www.machinima.com fondato da Hugh Hancock, non ha più accesso pubblico e The Machinima EXPO, festival virtuale il cui fondatore è Paul Marino, è fermo dal 2015. Non si può dire, però, che questa tecnica sia stata dimenticata. La più popolare web serie Red vs. Blue, creata nel 2003 da Burnie Burns, è ancora in produzione e, proprio in Italia, c’è chi si impegna attivamente nel promuovere l’uso del machinima nell’arte. Matteo Bittanti cura dal 2005 GameScenes, progetto che ha l’obiettivo di far riconoscere le forme videoludiche nell’arte, e dal 2018 cura il Milan Machinima Festival, evento di respiro internazionale dedicato esclusivamente alle opere machinima.

2. Mulier Ludens

Siamo coscienti che la pervasività delle diseguaglianze (di genere e non solo) nella nostra società coinvolge qualsiasi ambito. È opportuno ricordarlo per ribadire il significato ulteriore che occupa la sola presenza di soggetti marginalizzati. Nella costruzione di archetipi relativi a scienze e tecnologie in generale, la presenza femminile è osteggiata e questo riverbera in molte delle sottocategorie che essi comprendono, videoludicità inclusa (Sciannamblo, 2017). Nell’industria videoludica, tale marginalizzazione riguarda i suoi diversi livelli: è interna al processo produttivo (le donne a lavorare nel settore sono una minoranza), si ripercuote sulla rappresentazione dei personaggi (minore presenza di personagge, ipersessualizzazione e passività di queste) e sulla fruizione del prodotto (fenomeno delle gamergirls e comunità di gaming che soffrono di una sorta di territorialità maschile). Ricordiamo, inoltre, che gli stessi meccanismi marginalizzati coinvolgono espressioni di genere non binarie (Shaw, Friesem 2016), persone non bianche (Malkowski, Russworm 2017) e persone con disabilità (Yuan, Folmer, Harris 2011). Questo quadro può essere utile per comprendere che la realizzazione di opere machinima possono riguardare da vicino la decostruzione degli stereotipi di genere su più livelli.

3. Deae ex machinima

A ricollegarsi immediatamente a quanto appena esposto, il caso di uno dei primi e più noti machinima. She Puppet (2001) [fig. 1] di Peggy Ahwesh è basato sul videogioco Tomb Raider, la cui protagonista Lara Croft ha avuto un forte impatto nell’immaginario, popolarità accresciuta anche attraverso la versione cinematografica incarnata da Angelina Jolie (Lara Croft: Tomb Raider, 2001). Lara Croft è descritta dall’artista come un corpo asessuato eppure ipersessualizzato, da manipolare, guardare, far morire sadicamente senza conseguenza alcuna, considerata dalle giocatrici eroina empowering e dai giocatori simulacro erotico (Ahwesh 2001). In She Puppet la morte di Lara viene ripetuta ossessivamente, raggiungendo la ‘morte estatica’, così definita dall’artista, sfruttando la stessa natura compulsiva del gioco: la morte e la sofferenza della protagonista si ripetono sempre uguali a prescindere dalle dinamiche, mostrandola in un’agonia teatralizzata e sessualizzata, sulla quale si indugia troppo a lungo. «La trasformazione semantica di Lara Croft attuata da Peggy Ahwesh non rispetta la logica del programma senza tuttavia violare le dinamiche algoritmiche predefinite» (Horwatt 2007). Altra critica all’immaginario videoludico femminile è PAY2PLAY (2019) di Cassie McQuater, che utilizza le immagini dei videogiochi anni Ottanta e Novanta come critica alla rappresentazione ipersessualizzata e oggettificata dei personaggi femminili di quel periodo. La forma del corpo virtuale, non riguarda soltanto l’ambito di gioco, ma può assumere valenze metafisiche. In Paradise found (2017) [fig. 2] Lisa Carletta riproduce una versione iper-idealizzata di sé e ne contestualizza ambiente e movimento attraverso un motore grafico, cioè un software necessario alla realizzazione dei videogiochi, riflettendo su come le forme virtuali influenzino la percezione e il comportamento al di fuori dal digitale. La sua opera può essere rapportata non soltanto al concetto cyborg di harawayana memoria e alla messa in discussione degli stereotipi che riguardano il corpo delle donne, ma fa anche riflettere sui limiti del mezzo machinima: machinima non è soltanto riappropriazione di immagini videoludiche, è anche riutilizzo di software ed algoritmi che le producono.

Gli ambienti di gioco, infatti, possono essere utilizzati per mettere alla prova gli algoritmi e i loro sovraccarichi allostatici. La serie The Sims (2000-2014) si presta particolarmente bene a questo scopo. Angela Washko, nella serie Free Will mode (2013-2017) [fig. 3], mostra i risultati di un’intelligenza artificiale messa alla prova come metafora dei costrutti culturali che abitiamo e ci logorano: i personaggi di The Sims(2000) che reagiscono ai loro bisogni primari senza mai mettere in discussione il loro ambiente, anche se questo può ucciderli (A. Washko). Letta Shtohryn in Algorithmic Oracle (2019) utilizza The Sims 3 (2009) per teorizzare una realtà algoritmica e oracolizzabile: partendo da una stessa situazione di gioco, mostra come l’algoritmo sviluppa il corso degli eventi in diverse possibilità, con esiti in molti casi distruttivi. Focalizzarsi sul rapporto tra i personaggi giocabili ed il loro ambiente, può essere un modo di mettere in crisi il concetto di reale. Jacky Connolly utilizza The Sims 4 (2014) per la sua serie da sei capitoli Anhedonia (2017), nella quale affronta il tema della psicosi: nell’opera è reso sfumato il confine tra ambiente dell’avatar e la sua allucinazione, riportando quel dubbio cartesiano che spesso permea la percezione umana.

L’ambiente di gioco può essere interpretato anche come paesaggio, assumendo così le proprietà di gamescape, luogo di meditazione, contemplazione e di esplorazione. Ciò accade nella serie Lost in Thought (2016) [fig. 4], dove Tayla Blewitt-Gray sperimenta la dimensione narrativa offerta dagli spazi videoludici, lasciando vagare lo sguardo e il pensiero della personaggia giocata. Il che mette in evidenza come, a seconda del videogioco utilizzato, soffermarsi sulla parte paesaggistica ribalti l’obiettivo del gioco stesso. Un altro esempio risiede nei machinima di Ashley Blackman, anch’esse basate sulle suggestioni visive del gamescape. In questo caso gli scenari sono estrapolati da Fallout 4 (2015), RPG post apocalittico dove le ambientazioni sono sì determinanti nel gameplay, ma sono di supporto ad un’esperienza di gioco frenetica e violenta. In opere come Swings (2016), Clouds (2016), Crows (2016) e tante altre, l’artista mette da parte la meccanica febbrile del gioco per soffermarsi su dettagli dai movimenti pacati: l’oscillare di un’altalena, lo scorrere delle nuvole, il guardarsi intorno di corvi sui fili elettrici. Eliminare l’azione può essere anche contestazione politica. È il caso di Animated Positions (2017) [fig. 5], nel quale Elaine Hoey utilizza delle immagini ricavate dalla saga Call of Duty (2003-2020), longeva e prolifica serie di sparatutto basata sul tema del dovere militare. Eliminando completamente l’azione del gioco, l’artista trasforma i personaggi in statue semoventi attuando una critica alla violenza e alla nostalgia al nazionalismo.

4. Smontare e riassemblare immaginari, abitare mondi

Abbiamo visto come il machinima sia da considerarsi non una forma d’arte in sé, bensì una tecnica che può essere utilizzata sia nel contesto di contenuti generati da utenti, sia all’interno del discorso video artistico. Non necessariamente gli artisti sono videogiocatori (Bittanti, Peduzzi 2017) e il machinima può essere un materiale occasionale utilizzato per diverse necessità espressive. Qui ci si è soffermati su alcuni esempi machinima di artiste e si è cercato di far emergere diversi processi di ribaltamento. Generare un machinima è soprattutto decostruzione degli algoritmi, sia intesi in senso letterale che come metafora della rottura di uno schema culturale, identitario, rappresentativo. Anche quando manca un riferimento alla cultura videoludica e ai processi di rimediazione, è evidente come l’interpretazione dei machinima non possa prescindere da tali fenomeni. Attraverso la rivisitazione del videoludico, materiale già dato da smontare e ricomporre, le opere prese in esame hanno dato spazio a ragionamenti sul corpo tra virtuale e tangibile , sull’identità femminile, sulla politica e la non violenza, sulla contemplazione, sul limite dell’ambiente virtuale, sull’ecologia algoritmica e sui limiti stessi del mezzo machinima. Ma machinima di donna è anche un’operazione di decostruzione già nel suo farsi: è testimonianza che i mondi tecnologici e virtuali sono immaginati, costruiti, abitati, vissuti anche da chi, in questi mondi, è messa in disparte.

Artiste ed opere citate

Peggy Ahwesh

She Puppet (2001)

https://www.eai.org/titles/she-puppet

https://vimeo.com/9197535

Ashley Blackman

Swings (2016), Clouds (2016), Crows (2016)

http://www.gamevideoart.org/news/2016/7/18/interview-ashley-blackman

Tayla Blewitt-Gray

Lost in Thought (2016)

https://www.taylabg.com/lost-in-thought

Lisa Carletta

Paradise found (2017)

http://www.lisacarletta.com/paradise-found/2017/6/24/paradise-found-preview

Jacky Connolly

Anhedonia (2017)

https://daata.art/art/anhedonia

Elaine Hoey

Animated Positions (2017)

https://www.elainehoey.com/animated-positions

Cassie McQuater

PAY2PLAY (2019)

https://daata.art/art/pay2play

http://www.cassiemcquater.com/

Letta Shtohryn

Algorithmic Oracle (2019)

https://lettashtohryn.xyz/Works

Angela Washko

Free Will mode (2013-2017)

https://angelawashko.com/

 

Bibliografia

P. Ahwesh, ‘Lara Croft: Tomb Raider’, Film Comment, XXXVII, 4, luglio-agosto 2001, p. 77.

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M. Bittanti (a cura di), Machinima. Dal videogioco alla videoarte, Milano, Mimesis, 2017.

M. Bittanti, A. Peduzzi, ‘Machinima. 32 conversazioni sull'arte del videogioco (con questa fanno 33: lascio?)’, Outcast, 16 maggio 2017.< https://www.outcast.it/home/2017/5/12/machinima-32-conversazioni-sullarte-del-videogioco-con-questa-fanno-33-lascio> [accessed 30.08.2020]

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