7.4. Nel corpo, oltre il corpo: Pippa Bacca e il viaggio che continua

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A Pippa

 

Abito bianco

per andare a nozze con la tua morte

e con quella di noi tutti

Ti sei vestita di bianco

ma siccome la tua anima mi sente

ti vorrei dire che la morte

non ha la faccia della violenza

ma che è come un sospiro di madre

che viene a prenderti dalla culla

con mano leggera

non so cosa dirti

io non credo nella bontà della gente

ho sperimentato tanto dolore

ma è come se vedessi la mia anima

vestita a nozze

che scappa dal mondo

per non gridare.

Alda Merini

 

 

È questa una delle due poesie che Alda Merini ha dedicato a Giuseppina Pasqualino di Marineo, più conosciuta con lo pseudonimo di Pippa Bacca, nipote di Piero Manzoni, artista assassinata a soli 33 anni il 31 marzo 2008 in Turchia, mentre stava compiendo il viaggio-performance Spose in viaggio - Brides on Tour, che avrebbe dovuto avere come meta finale Gerusalemme.

La poesia allude all’abito da sposa che l’artista ha indossato lungo tutto il percorso, al ribaltamento del suo intrinseco significato: non più simbolo di purezza, di amore, di celebrazione dell’unione tra essere umani, ma abito tradito nella sua funzione e nel suo intimo significato, custode ultimo della vita dell’artista e macabra testimonianza delle tracce di una morte violenta. Una poesia che la scrittrice ha dedicato alla giovane senza averla conosciuta personalmente, ma avendone appreso il percorso dopo la morte, intuito le motivazioni profonde, il portato emotivo e le finalità che il progetto si proponeva di perseguire: «Io ho sentito il bisogno di questa donna di sposare il mondo intero, di sposare la cattiveria e la violenza, che è stato un atto di suprema follia, che è quella dei santi, credo…».

La lettura di questo testo da parte di Alda Merini e le sue considerazioni personali fanno parte di un’opera filmica che mi ha consentito l’avvicinamento alla storia di Pippa Bacca, accendendo un desiderio di approfondimento e conoscenza non solo per la sua ultima performance, ma per il suo percorso artistico complessivo, avviato alla fine degli anni Novanta, diversificato nei linguaggi e stroncato nel suo processo di crescita e definizione. Ho dunque ʻincontratoʼ e conosciuto Pippa nella primavera del 2012, durante un lavoro di ricerca tra produzioni audiovisive sperimentali e al confine tra i linguaggi, e questo grazie alla visione de La sposa – The bride/la mariée (2012, 41’), realizzato dal giovane cineasta francese Joël Curtz: un film documentario intenso che con grande sensibilità e rispetto ricostruisce il progetto Spose in viaggio, nato prima da un’idea personale di attuazione solitaria di Pippa e poi sviluppato in collaborazione con l’artista-performer Silvia Moro. Il film affronta il progetto da una prospettiva ampia, circolare, basandosi su un’alternanza di racconti e rimandi, in parte impiegando materiali audiovisivi che le due artiste hanno registrato durante il viaggio, incorniciandoli e intrecciandoli in un racconto corale, tutto al femminile, in cui la madre di Pippa, le sorelle, la compagna-collega dell’ultimo viaggio, alcune amiche, tutte restituiscono al contempo la propria testimonianza rispetto alla genesi e al background della performance, offrendo elementi, pensieri, ricordi legati a Pippa, per illuminarne il suo essere donna e artista.

Attraverso il suo documentario Joël Curtz non solo le rende omaggio, ma imbastisce una muraglia difensiva dagli attacchi e dalle critiche che il progetto aveva ricevuto soprattutto dai media di ambito italiano, i quali avevano etichettato il viaggio-performance come una provocazione d’artista, un’azione fuori controllo che nei suoi margini di incertezza lasciava spazio a una pericolosità incalcolabile e imprevedibile, dando adito alle accuse di una morte ʻcercataʼ.

Seppure non articolandone troppo i dettagli, le testimonianze che Curtz ha raccolto fanno capire che Spose in viaggio era basato su una meticolosa pianificazione avviata nel 2006, e che prevedeva un percorso con una serie di mete e una rete di contatti e appuntamenti ben definita. L’idea peculiare era quella di compiere gli spostamenti in autostop, una modalità di viaggio che Pippa, insieme alle sorelle e alla madre, aveva sempre praticato, sia nella vita quotidiana che in alcuni progetti artistici [fig. 1]. L’autostop come concetto di vita, di collaborazione gratuita, di condivisione di un’esperienza, di scambio con l’altro, con lo sconosciuto. Sul sito di Brides on Tour le artiste hanno scritto: «Il viaggio è da sempre un mezzo e un fine, è una scelta di vita o, per alcuni, è la metafora della vita stessa. Viaggiare con mezzi poveri mette in relazione il viaggiatore con la popolazione locale; viaggiare in autostop fa sì che uno straniero si metta nelle mani di altri viaggiatori, ma ancor più spesso dei locali o di chi dello spostamento ha fatto il suo mestiere. La scelta del viaggio in autostop è una scelta di fiducia negli altri esseri umani, e l’uomo, come un piccolo dio, premia chi ha fede in lui». Affidarsi agli altri, dunque, in modo totale, credendo nella sintonia umana, nella naturale predisposizione al bene [fig. 2].

Alla base del progetto c’era dunque l’idea della relazione con l’altro, un rapporto da intendere come incontro, confronto, condivisione. Un ʻessere in dueʼ di irigarayana memoria, come rispettoso scambio e valorizzazione delle differenze.

Come la relazione stabilita con Silvia Moro che, nelle sue testimonianze all’interno del film, racconta la proposta che lei stessa aveva fatto a Pippa di sviluppare un progetto intorno al numero 2: il numero che nell’antichità era attribuito alla ʻgrande madre terraʼ, il numero del femmineo, simbolo del ventre materno che accoglie la vita nel suo farsi, simbolo delle ovaie, dei seni, numero della riconciliazione degli opposti, della ricerca dell’armonia.

Le artiste decisero insieme che due dovevano essere le spose in viaggio (con abiti appositamente studiati nel significato e nell’uso, ma di questo parleremo poi), entrambe portatrici di un messaggio di unione, di gioia e amore condiviso, attraverso un percorso che, come un raggio luminoso di speranza e di pace, avrebbe dovuto attraversare undici paesi afflitti da guerre (Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia, Bulgaria, Turchia, Libano, Siria, Egitto, Giordania e Israele, con destinazione finale Gerusalemme).

L’autostop come gesto di affidamento al prossimo e il farsi simbolicamente spose dell’umanità tutta erano parte di un’idea di contatto e comunione con l’altro che si attuava, oltre che nel compiersi del viaggio stesso, anche attraverso due modalità performative che vedevano impegnate in modo differente le due artiste: Pippa Bacca offriva alle ostetriche incontrate nelle città dei vari paesi attraversati una lavanda dei piedi, un’azione di matrice cristiana, un gesto che si proponeva come un tributo di rispetto, riconoscenza e gratitudine verso le donne impegnate ad aiutare le nascite, soprattutto in paesi in cui la guerra annulla brutalmente la vita. Nelle documentazioni di queste azioni, che Curtz ha incluso nel documentario, è possibile notare l’atmosfera intima degli incontri, ascoltare le domande che Pippa poneva alle ostetriche, sentire la gioia da lei provata nel poter esprimere la propria gratitudine [fig. 3]. Silvia Moro era invece coinvolta in incontri con donne delle varie comunità locali, invitate a ricamare il suo vestito da sposa ognuna secondo la propria tradizione, in modo tale da trasformare l’abito in un simbolico luogo di incontro e dialogo tra le donne-spose dei paesi martoriati.

Curtz inserisce nella sua opera estratti documentari del viaggio e degli incontri-performance realizzati dalle due artiste, lascia parlare le immagini registrate senza aggiungere commenti, intrecciandole con le testimonianze successivamente raccolte, dalle quali emergono alcune criticità che avevano portato a quella che avrebbe dovuto essere una provvisoria separazione delle due, in previsione di una riunione a Beirut. A chiudere il film sono le immagini del funerale di Pippa e, infine, le sconvolgenti sequenze girate dall’assassino con la telecamera a lei rubata, in cui vediamo la scena di due sposi che ballano alla loro festa di matrimonio.

La visione de La Sposa è stato un punto di partenza importante per la conoscenza di Pippa Bacca e del suo ultimo progetto, un’esperienza artistica in cui il corpo si è prestato a diventare un’entità performativa portatrice di molteplici significati. E questo non solo considerando il corpo dell’artista nella sua concretezza e presenza, trasformato, attivato e coinvolto in una serie di esperienze e relazioni, ma anche nel potente effetto di riverbero di valori positivi che proprio l’annullamento del suo corpo ha scatenato.

Tra i vari aspetti che credo vadano indagati per capire il senso e il ruolo che esso ha assunto, penso sia importante innanzitutto mettere nella giusta cornice di riferimento la tipologia di performance che era stata progettata. Qualcuno ha parlato di life-art, sottolineando giustamente come spesso nei lavori di Pippa Bacca il confine tra arte e vita vera fosse sottilissimo, se non inesistente. Giorgio Bonomi ha definito il progetto Brides on Tour come un «viaggio estetico», collocando quella che avrebbe potuto essere un’esperienza ordinaria nella straordinarietà dell’alveo artistico.

A mio avviso, più che provare a definire una discendenza storico-critica nel panorama della performance art, credo che per capire l’originalità e l’eccezionalità dell’esperienza di Pippa Bacca sia necessario spostare la riflessione sul progetto comprendendolo nel suo valore di azione sociale e politica: in tal senso la trasformazione simbolica del corpo (la sposa come maschera sociale) e le performance-partecipazioni attivate (anche prima del viaggio), oltre ad avere (nel suo caso) anche una matrice cristiana, concepivano il corpo come un mezzo di comunicazione universale, capace di attivare una drammaturgia condivisa tra lei (e Silvia Moro) e l’umanità incontrata.

È proprio guardando da questa prospettiva che si può comprendere come l’uccisione di Pippa Bacca non abbia ribaltato o invalidato i principi e la finalità promosse dal viaggio-performance: la vita non ha annullato l’arte, la morte fisica non ha interrotto la comunicazione. Al contrario, il tragico evento sembra avere amplificato e reso eterni quei concetti che hanno definitivamente trasformato l’artista-performer in una sposa-martire, il cui tenace messaggio d’amore ha trovato continuità anche nelle opere di molti altri artisti, scrittori, musicisti [fig. 4].

 

Bibliografia

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