Corpi in pietra (Convegno internazionale, Università degli Studi diMilano, 3-4 dicembre 2013)

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Il 3 e 4 dicembre 2013 si è svolto presso l’Università degli Studi di Milano il convegno internazionale «Corpi in pietra», organizzato dal Dipartimento di Filosofia in collaborazione con il Centre International de Philosophie di Parigi e l’Università degli Studi di Bergamo e patrocinato dalla Società Italiana d’Estetica. I partecipanti all’incontro, volto a esplorare il tema della monumentalizzazione del corpo (con particolare ma non esclusivo riguardo ai cinema studies), hanno delineato e approfondito la questione dell’animazione dell’inanimato affrontando di volta in volta specifici casi di studio.

La prima sessione dei lavori, presieduta da Andrea Pinotti, è stata aperta dall’intervento di Filippo Fimiani (Università degli Studi di Salerno) intitolato La carne impossibile. Immagine, immaginario, medium. Prendendo le mosse dal celebre saggio di Maurice Blanchot, Les deux versions de l’imaginaire, Fimiani ha incentrato la sua presentazione sulle relazioni tra immagine, maschera funeraria e fotografia, relazioni che coinvolgono diversi discorsi e statuti – antropologici, semiotici, ontologici, mediali – e che sintetizzano un dialogo più che ventennale con la fenomenologia e con la sua ricezione francese (Sartre e Lévinas in testa).

All’intervento di Fimiani è seguito quello di Barbara Le Maître (Université Sorbonne Nouvelle Paris 3), De Jack Torrance en corps fossile, dedicato all’evoluzione teorica della nozione di «fossile» esemplificata attraverso l’analisi concreta di alcuni passaggi chiave di Shining. Nella sua relazione Does Materiality Matter? The cinematic body between the monumental, the mechanical and the ephemeral, Vinzenz Hediger (Goethe-Universität Frankfurt) ha delineato un percorso di natura squisitamente teoretica sui concetti di medium e di cinematic body (il corpo rappresentato e quello esperito tramite empatia), con particolare riferimento alle osservazioni sviluppate da Vivian Sobchack e Christiane Voss.

La seconda sessione del convegno, sotto la direzione di Raffaele De Berti, è stata inaugurata dalla relazione di Antonio Somaini (Université Sorbonne Nouvelle Paris 3), Mummie e maschere mortuarie. L’archeologia del cinema secondo Bazin e Ejzenštejn. A partire dal celeberrimo saggio Ontologia dell’immagine fotografica di Bazin e dalle Note per una storia generale del cinema di Ejzenštejn, Somaini ha mostrato come entrambi gli autori, solitamente assegnati a versanti opposti della storia delle teorie del cinema, individuino nelle mummie e nelle maschere mortuarie l’origine genealogica delle immagini fotografiche e cinematografiche. Barbara Grespi (Università degli Studi di Bergamo) ha presentato il paper Il mimo e il danzatore. L’attore cinematografico e la monumentalizzazione del gesto, in cui si affronta il tema della dialettica – centrale tanto nel cinema comico degli anni Venti quanto nelle coeve teorie della recitazione – fra corpo immobile e corpo in movimento. La lettura critica di Grespi ha fatto emergere come alla museificazione della posa che aveva caratterizzato il cinema degli anni Dieci si sostituisca l’idea biomeccanica di Vsevolod Mejerchol’d, mentre il catalogo del gesto di François Delsarte viene assorbito e reinterpretato, con la mediazione di Lev Kulešov, dalla prima generazione di attori hollywoodiani. Nel suo intervento Elogio funebre: figure post mortem e corpi redenti, in immagine, Luisella Farinotti (Università IULM) parte da una citazione di Leo Carax («Facciamo film per i morti, ma li mostriamo ai vivi») per concentrarsi sulla relazione complessa che lega il «qui ed ora» del nostro sguardo all’«è stato» delle immagini, un rapporto definito dalla qualità paradossale delle immagini analogiche, in cui convivono restituzione e perdita. «Dar vita alle ombre» è del resto, fin dalla nascita delle immagini in movimento, l’obiettivo del cinema: l’utopia di una possibile redenzione dalla morte. La qualità di reliquia vivente del cinema, la sua capacità di riattivazione del passato, non è questione inedita nella teoria, ma certo manca, rispetto alla varietà di studi sul rapporto tra fotografia e morte, una seria ricognizione dell’immagine post mortem.

Il 4 dicembre si è svolta la seconda giornata del convegno, aperta dalla terza sessione presieduta da Elena Dagrada (Università degli Studi di Milano). Nel suo Statue animate e corpi pietrificati: un itinerario nel cinema fantastico, Michele Bertolini (Accademia Carrara di Belle Arti) ha approfondito il tema dell’animazione della statua e della pietrificazione del vivente, occasioni di sperimentazione e riflessione sul rapporto fra immagine e flusso, immobilità e movimento, frammento e totalità. Il cinema di genere (soprattutto il fantastico e l’horror) e il cinema d’autore hanno ampiamente sfruttato le possibilità derivanti dagli incroci, dagli scambi e dai rovesciamenti fra corpo vivente e statua, attivando una serie di polarità ‘perturbanti’ tra cui, per esempio, quella di interno organico e pellicola esterna che rovesciano i loro reciproci rapporti, sollecitando l’esperienza di organi interni estroflessi e marmorizzati (come nel film Inseparabili di Cronenberg) o di un corpo vivente riportato alla condizione di un organismo interno (è quel che accade al protagonista di Fuori orario di Scorsese, avvolto dalle bende e dal gesso della scultrice come un feto riaccolto nel ventre materno). Pietro Conte (Università degli Studi di Milano) ha presentato la relazione Cera, fotografia, cinema. E ritorno. Richiamandosi alla celebre sentenza di Malraux, poi ripresa da Bazin, secondo la quale il cinema non sarebbe altro che «l’aspetto più evoluto del realismo plastico», e basandosi sulle osservazioni relative alla distinzione tra «realtà» e «irrealtà» dell’immagine sviluppate da Edmund Husserl intorno agli anni Venti del Novecento, l’intervento ha declinato il tema della monumentalizzazione del corpo in termini di iperrealismo, concentrandosi sul leitmotiv del manichino di cera come sostituto della persona in carne e ossa in film quali Das Cabinet des Dr. Caligari (1920), Das Wachsfigurenkabinett (1924) e Mystery of the Wax Museum (1933).

La quarta sessione, con chair Andrea Pinotti, è stata aperta da Marco Biraghi (Politecnico di Milano), che nel suo Monumenti e memoriali: dal corpo concreto alle generalità personali ha esaminato l’evoluzione novecentesca del monumento architettonico, considerata come un totale sovvertimento delle tradizionali logiche celebrative per la progressiva astrazione delle forme giunta poi, in anni recenti, a una completa smaterializzazione dei corpi. Gian Piero Piretto (Università degli Studi di Milano) si è soffermato su Le statue modello di mondo in Unione Sovietica, affrontando la questione dell’importanza della performatività statuaria nel sistema ideologico-artistico sovietico. Nel suo intervento Fotografare la pietra, Elio Grazioli (Università degli Studi di Bergamo) ha sviluppato la tesi secondo cui fotografare una scultura che ha per soggetti dei corpi significa raddoppiare la dialettica tra le superfici, attivando una sorta di effetto ‘erotico’.

Il convegno è stato chiuso, nel pomeriggio, da una tavola rotonda presieduta da Alessandra Violi e caratterizzata da interventi più brevi, cui hanno partecipato Cristina Baldacci (Corpi effimeri: le ‘candele’ di Urs Fischer), Sara Damiani (Memorie organiche: corpi e monumenti del moderno), Greta Perletti (Il corpo-statua nella cultura elisabettiana), Massimiliano Fierro (Corpi-monumento nel cinema sperimentale), Tommaso Isabella (Figura umana e ornamento in Siegfried Kracauer) e Stefano Taiss (Le statue scomparse dei sacrari militari fascisti).